di Giuseppe Zaccagni

Non hanno alle spalle né un Dalai Lama né una diaspora politica ed economica in grado di appoggiarli. Non hanno una “terra” pur se nella loro storia secolare si sono sempre trovati all’incrocio di aree segnate da grandi civiltà: asiatica, indiana e cinese. Vivono sparsi nell’India, nell’Afghanistan, nel Pakistan, nella Cina e in regioni dell’ex Unione Sovietica come Kasachstan, Kirghisia, Usbekistan e Turkmenistan. Ed ora - sull’onda di quanto sta accadendo nel vicino Tibet e nel lontano Kosovo - decidono di uscire allo scoperto e di avviare una loro lotta che blocchi i processi di assimilazione e, di conseguenza, quella perdita di identità strisciante che viene favorita dai grandi popoli che li “ospitano”. Puntano a conservare una propria riconoscibile identità. Si apre la “questione uigura” che riunisce - in una nazione ideale - persone mai censite e tenute ai margini delle società ufficiali. Sempre considerate come “minoranze” inermi e poco significative perché assenti dalla vita nazionale. Eppure gli uiguri - etnia turcofona che vive in gran parte nel nordovest cinese, soprattutto nella regione dello Xinjiang - avviano ora un processo di rinascita e di rivincita annunciando scontri socio-politici a livello multinazionale. Hanno scoperto “Internet” e le loro parole d’ordine e i loro messaggi arrivano ovunque. Non si sentono più ostaggi da spendere in trattative diplomatiche relative ai confini e alle migrazioni. Cominciano a sentirsi uniti e pronti, di conseguenza, a divenire soggetti vitali di crescita civile. Rivendicano territori ed autonomie presentandosi al mondo asiatico anche con il volto politico-militare.

Hanno già un partito - Partito islamico del Turkestan - che è un gruppo uiguro e musulmano che punta alla creazione di uno Stato indipendente islamico nella provincia più a ovest della Cina, lo Xinjiang. Da questa zona tenteranno di provocare ribellioni in India e in Pakistan raggiungendo, senza molte difficoltà, i territori ex sovietici. Intanto alzano il tiro contro Pechino proprio nel momento in cui la dirigenza cinese punta a sostenere che il paese è sotto controllo.

Gli uiguri sostengono che la Cina, con il pretesto di aiutare gli Stati Uniti nella loro guerra al terrorismo, sta duramente reprimendo la loro etnia. Molti uiguri in esilio denunciano, quindi, la sistematica violazione dei diritti umani da parte delle autorità cinesi che reprimono ogni loro forma di espressione culturale. Ma in questa azione di liberazione e di “resistenza” cominciano la lotta con il piede sbagliato. Perchè un loro gruppo separatista minaccia azioni di terrorismo con "tattiche mai impiegate prima" durante le Olimpiadi di Pechino. L’annuncio viene dal sito del Partito islamico del Turkestan - gruppo uiguro musulmano - e contiene la notizia che ora l'obiettivo è quello di colpire "i punti più critici collegati alle Olimpiadi: cercheremo - è detto nel proclama - di attaccare le città nel cuore della Cina". E subito dopo il comandante Seyfullah - leader del Partito islamico - afferma che i suoi uomini sono responsabili per la bomba su un autobus a Shanghai del 5 maggio che aveva fatto tre morti, l'assalto con un trattore-bomba a un commissariato a Wenzhou del 17 luglio e le bombe su tre autobus nella provincia dello Yunnan. In un primo tempo l'esplosione di Shanghai era stata liquidata come un incidente dalla polizia.

I cinesi, intanto, non sottovalutano il pericolo di una ribellione uigura e lanciano segnali di allarme ai paesi confinanti. E per far sentire la voce del potere passano alle esecuzioni. Perché nella Regione autonoma dello Xinjiang vengono fucilati due uiguri ritenuti “terroristi” (Mukhtar Setiwaldi e Abduweli Imin). E vengono poi condannate altre 15 persone dal Tribunale del popolo di Kashgar con pene detentive che vanno dai dieci anni all’ergastolo. Tutti gli imputati sarebbero stati coinvolti nei cosiddetti “fatti di Aktu”: un episodio tutt’altro che chiaro verificatosi all’inizio del 2007 sulle montagne del Pamir, quando la polizia cinese affermà di aver scoperto un campo di addestramento di terroristi islamici e di averne uccisi 18 ed arrestati 17 – quelli processati a Kashgar – dopo un conflitto a fuoco. I “terroristi” avrebbero fatto parte del Movimento islamico del Turkestan, un gruppo di estremisti musulmani che, secondo la Cina, rappresenta la principale minaccia per le Olimpiadi di agosto.

Ora la lotta che viene avviata nelle regioni dove abitano gli uiguri ripropone, a livello mondiale, la tragicità di un processo storico che sembrava annullato. Si torna a “scoprire” che gli uiguri sono in maggioranza seguaci dell’Islam (di qui i contatti con l’estremismo talebano) e del Buddismo. I “dati” che circolano, in proposito, sono impressionanti: ci sono in Cina minoranze che sembravano in sonno e che ora, invece, si uniscono agli otto milioni di uiguri. Ci sono gli zhuang che arrivano a 16 milioni, i miao che assommano a 9 ed altre 55 minoranze di grosso livello numerico. Vengono alla luce proprio in questa vigilia olimpica le insidie di un intero labirinto.

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