di Carlo Benedetti

MOSCA. I titoli in russo: “Sopravvivere sino alla vittoria”, “Quale pace ci attende?”, “Tsinkvali è il nuovo mercato della Russia”, “Ma abbiamo degli alleati?”, “Quale mondo dopo Tsinkvali”, “Kosovo si, Ossezia del Sud no”, “La guerra del Caucaso deve ancora venire”, “Per cosa e come combattiamo”, “Prove di genocidio”, “Ossetini, un saluto da Stalin”, “Giocare a scacchi con la morte”. E a seguire i titoli in georgiano: “I russi vogliono annetterci”, “La guerra scongelata”, “Loro sono 150milioni e noi 5”, “Il mondo civile è con noi”, “In Georgia le Olimpiadi della Russia”, “Scacco matto per il Cremlino”, “La Russia va cacciata dal G8”, “Gli Usa sono dalla nostra parte”, “Non è più sufficiente gestire l’esistente”, “Delitto e castigo, per la Russia”, “Le mani del Cremlino sulle nostre ricchezze”. Tutto stampato e impaginato con fotocolor: mostrato giorno per giorno, nel quadro generale di una verità che è vera solo per chi la scrive. Nell’arena generale restano i fatti della guerra gestiti dagli Stati Maggiori e le questioni reali del rapporto politico-diplomatico gestite dalle nomenklatura governative. E così, più passano le ore più si scopre che sul teatro caucasico si sta svolgendo un vero e proprio gioco d’azzardo che ricorda le regole della roulette russa. Non si sa se nel cilindro ci siano o no i proiettili e, soprattutto, se ci sia almeno una “camera” vuota.

La situazione, pertanto, si fa sempre più complicata, perché fatto il conto delle vittime e censite le distruzioni - tutte di marca georgiana - la parola deve passare necessariamente alle diplomazie. Entrano in gioco russi e georgiani, ossetini e americani, esponenti dell’Unione Europea e specialisti di varia estrazione politica. Tutti convinti del fatto che la verità consiste nel fatto che la verità cambia. E di conseguenza i cronisti internazionali che si trovano a seguire il bollettino del fronte caucasico devono essere anche pronti a rileggere gli appunti più volte e a ricostruire i fatti seguendo le manovre diplomatiche e tutti gli aspetti della contingenza.

Partiamo, ad esempio, dallo “status” futuro delle due regioni oggetto del conflitto: la Georgia e l’Ossezia del Sud. Sappiamo che il presidente georgiano Michail Saakasvili non ha voluto sottoscrivere nell’accordo di tregua con la Russia, una parte relativa al problema dello status delle repubbliche separatiste dell’Abchasia e dell’Ossezia del Sud. Ha insistito per togliere dal documento ogni menzione a riguardo e il russo Medvedev non si è opposto. Non per remissività, ha chiarito il suo ministro degli Esteri Sergeij Lavrov, ma perché è un “problema inevitabile”. Ma subito - praticamente in opposizione a queste decisioni - i due leader separatisti, l’abchazo Serghei Bagapsh e il sudosseto Eduard Kokoity, hanno ribadito che non intendono aprire negoziati con la Georgia; e il governo di Tsinkvali, anzi, ha ribadito la richiesta di annessione alla Russia.

E così si torna al punto e a capo. Con la Russia che dopo aver ottenuto una sua vittoria nel campo (mettendo in azione una macchina militare che non va mai sottovalutata) cerca di ricucire sempre salvando la faccia. E così l’intera vicenda non è più solo un problema legato a uno sgradito e odiato interlocutore come Saakasvili. Il problema consiste nel fatto che la Russia deve pur sempre fare i conti con una realtà geopolitica come la Georgia che esiste ed ha i suoi contatti internazionali. Una Georgia che - con o senza le realtà dell’Ossezia del Sud, l’Abchasia e l’Adzaria - ha un suo ruolo nel bacino sud del Caucaso. Tanto più che accanto a Tbilissi opera l’amministrazione statunitense. E Mosca non può fare a meno di notare che stanno tornando sempre più a soffiare i venti della guerra fredda e che la geopolitica americana sta sfoderando le sue carte nell’arena dello spazio ex sovietico.

Ecco ad esempio che nell’ambito degli scenari di breve, medio e lungo termine - che si muovono dietro la crisi georgiana - si rileva che l'amministrazione Bush e i suoi alleati stanno prendendo in considerazione l'espulsione della Russia dal G8, il congelamento della sua integrazione nel Wto o nell'Ocse e, più a breve termine, la cancellazione delle prossime esercitazioni militari congiunte Russia-Nato.

Si delinea un situazione complessa e sfumata che vede avanzare sempre più un personaggio come il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, da sempre su posizioni anti-russe. E’ lei che si fa portavoce delle posizioni più oltranziste sostenendo che la crisi georgiana rischia di innescare una "importante" crisi diplomatica tra Russia e Stati Uniti. Tutto questo perchè per la Casa Bianca la reazione di Mosca in Georgia sarebbe stata "sproporzionata". E il consigliere nazionale aggiunto alla Sicurezza, James F. Jeffrey ha subito aggiunto che se la Russia dovesse continuare nella sua escalation militare questo avrebbe un impatto “importante” sulle relazioni americano-russe.

Vuol dire che si è al limite anche per il fatto che non si comprende bene cosa voglia dire, per gli americani, aver raggiunto il “limite”. Intanto le vicende che caratterizzano la realtà del territorio caucasico dimostrano che le popolazioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abchasia (un crogiuolo di popoli, stirpi, lingue, culture e religioni diverse) continuano a considerare avventurista la politica del governo georgiano che solo a titolo di "piccola potenza imperialista" vuole governare i piccoli paesi abitati in modo massiccio da russi e solo da piccole minoranze georgiane. Paesi tutti che vogliono riunirsi alla Grande Madre Russia e che oggi più che mai ricordano alla comunità internazionale che gli Usa e l'Ue che si sono affrettati a riconoscere l'indipendenza del Kossovo, storicamente legato alla Serbia, non possono ora opporsi al desiderio dell'Abchasia e dell'Ossezia del Sud di riunirsi alla Russia e quest'ultima alla parte nord del proprio Paese.

Sin qui le analisi sul fronte diplomatico mentre la parola passa anche agli esperti militari che - a proposito di teoria della roulette russa - cominciano a fornire dati e informazioni che gettano nuova luce sull’intero campo dove si svolge il “gioco” tra Mosca e Tbilissi. Nessuno punta la “pistola” verso la propria testa perchè tutti vogliono prima fare il conto delle armi in gioco. E i conti sono anche noti.

La Russia in questo conflitto ha impegnato una forza di 2000 uomini nelle truppe di interposizione; 70.000 sono gli effettivi della 58ma armata del Caucaso del Nord; 610 i carri armati; 2000 i mezzi pesanti corazzati; 125 le batterie dell’artiglieria; 450 le postazioni missilistiche mobili; 800 gli uomini dei gruppi tattici e dei paracadutisti; 120 gli aerei bombardieri; 70 gli elicotteri da combattimento.

L’Ossezia del Sud, intanto, ha messo in campo il suo esercito con 3000 soldati e 10mila uomini della riserva; 50 carri armati del modello T-72 e T-55; 120 mezzi corazzati; 100 postazioni mobili dell’artiglieria pesante; 20 postazioni missilistiche del sistema “Grad”; 3 elicotteri da guerra del tipo Mi-8; 130 postazioni missilistiche terra-aria del tipo “Igla” e “Strela”.

Ed ecco i dati della Georgia, paese che nel giro degli ultimi cinque anni ha aumentato del 30% le sue spese militari ricevendo armamenti americani. 30.000 sono gli effettivi delle forze armate di Tbilissi; 100mila gli uomini della riserva e 80mila quelli pronti ad essere richiamati; 2000 soldati georgiani si trovano in Iraq pronti ad essere trasferiti nel Caucaso; 230 i carri armati del tipo T-72 e T-55; 200 mezzi corazzati leggeri; 450 postazioni di artiglieria leggera; 50 lanciamissili dei sistemi “Grad” e “Uragan”; 16 aerei da combattimento Su-25; 20 aerei militari del tipo “L-39” e “L-29”; 12 aerei senza pilota di produzione israeliana; 30 elicotteri “Mi-8”; 12 elicotteri di produzione americana del tipo “Bell-212” e “UH-1H”; 3 battelli dotati di lanciamissili; 2 motoscafi per trasporto truppe da sbarco; 10 guardiacoste; 10 aerei da caccia del tipo “Mirage”.

Per ora le armi sono a riposo. Ma è chiaro che la Russia non accetterà più mosse a sorpresa da Saakasvili, che Mosca considera un “criminale” da condurre dinanzi ad un Tribunale Internazionale con l’accua di genocidio. Ed è chiaro che da oggi in poi Tsinkvali è sempre più “russa” e vicina al Cremlino. Questo vuol dire anche - sul piano tattico - che i georgiani hanno perso. A tirarli fuori dalla situazione in cui si sono cacciati ci dovrà ora pensare Condoleeza Rice che ha annunciato una sua visita a Tbilisi. Nessuno, invece, penserà a tirar fuori la Russia dalle cattive acque in cui si trova quanto a collocazione ed appoggi internazionali. Perchè, al momento, non ha ricevuto appoggi da paesi come Bielorussia, Armenia, Tagikistan, Usbekistan, Moldavia, Kirghisia, Azerbajgian... Per non parlare dell’India e del Vietnam. Al fianco di Mosca si ritrovano solo vecchi compagni: Fidel e Raul Castro.

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