di Carlo Benedetti

MOSCA. I “fatti” sono noti e incontestabili. La Georgia ha attaccato l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. Ha distrutto la città di Ksinvali. I soldati georgiani delle forze di pace hanno ucciso i loro colleghi russi. Tutto è avvenuto l’8 agosto quando alle 00,00 le truppe di Saakasvili, presidente di Tbilisi, hanno attaccato gli ossetini e i soldati della Russia. Da quel momento è guerra. Con il Cremlino che incassa una presa di posizione che viene dal Congresso americano e che va a favore della “tesi” russa relativa alla colpevolezza georgiana: attacco all’Ossezia del Sud e ai militari russi delle forze di pace. Ma nonostante tutte queste dichiarazioni di livello diplomatico, Mosca non accenna a passi indietro, pur se mostra attenzione alle critiche che negli Usa vengono rivolte all’amministrazione americana che ha creduto in Saakasvili. Il Cremlino non cede. E fa sapere che i suoi missili strategici saranno puntati contro le basi in Polonia e nella Repubblica Ceca se lo scudo antimissile Usa sarà dispiegato nell’Est europeo. Lo dice il comandante delle truppe missilistiche russe Nikolai Solovtsov. Il quale precisa che se gli Usa porteranno avanti il loro progetto con Varsavia e Praga, ''noi saremo costretti a prendere misure corrispondenti che non permetteranno a nessuna condizione di ridimensionare il potenziale russo di deterrenza nucleare”. E questo vuol dire, ovviamente, che la crisi caucasica viene collegata direttamente al rapporto della Russia con la Nato e con gli Usa.

Quanto alle relazioni Mosca-Tbilisi - dopo un mese di guerre calde e fredde - c’è da rilevare che si è svolto a Mosca un summit “di lavoro” ospitato nel magnifico castello di Maindorf, presso Barvikha, alle porte della capitale. Qui il presidente francese Sarkozy, accompagnato dal presidente della commissione Europea Barroso e dall'Alto commissario per la sicurezza e la cooperazione in Europa Solana, hanno discusso con il presidente russo Medvedev e - tutti insieme - sono giunti ad alcune conclusioni: le forze russe si ritireranno completamente dal territorio georgiano entro un mese e entro il primo ottobre saranno dispiegati in Georgia almeno 200 osservatori della Ue.

Il leader del Cremlino, accettando le proposte occidentali, ha precisato che il ritiro sarà completato dieci giorni dopo il dispiegamento degli osservatori internazionali. E sempre Medvedev ha annunciato che il 15 ottobre a Ginevra (sotto l’egida dell’Onu) comincerà un "dibattito internazionale" sull'Ossezia del sud e sull’Abkhazia. Tutto questo vuol dire che si è ad un punto conclusivo? No. Si è solo ad un punto a capo, dal momento che l’orizzonte si mostra ancora carico di nubi, con il presidente George W. Bush che blocca l’approvazione di un accordo con la Russia sul nucleare civile. E così allo slogan storico della Francia di Sarkozy - Libertè, egalitè, fraternitè - va aggiunto quello tipico della realpolitik del Cremlino: “Con la Russia bisogna fare i conti”.

Il duce di Tbilisi ne sa qualcosa. Perchè la Russia non molla. Continua a denunciare l’aggressione militare e ribadisce di aver compiuto un atto giusto e definitivo. Quello che si riferisce al riconoscimento delle due nuove realtà caucasiche (dove ora l’armata russa appronterà basi militari permanenti con 7600 uomini) deve essere considerato come “irreversibile e definitivo”. Ed è questa una decisione che si rafforza anche in conseguenza del fatto che a Tbilisi, proprio in queste ore, si fa vivo il partito di opposizione che chiede le dimissioni del presidente Saakasvili per "la decisione irresponsabile di bombardare l'Ossezia meridionale".

C’è in proposito un preciso documento (reso noto con una lettera aperta pubblicata dal giornale georgiano Rezonansi, nella quale un centinaio di intellettuali sostengono che la politica “prepotente e antidemocratica” del presidente ha portato allo scoppio della guerra con la Russia) in cui il partito “Nuovi diritti” chiede che il capo di stato georgiano, rieletto a gennaio scorso, lasci l'incarico e chiede anche elezioni parlamentari e presidenziali anticipate. "La ragione per cui la Georgia si trova oggi in questa posizione difficile è la decisione del presidente Saakasvili di bombardare e assaltare Tskinvali, capitale dell'Ossezia meridionale“ spiega il presidente del partito David Gamkrelidze (43 anni, conservatore e monarchico, contrario al sistema presidenziale, alleato del Patriarca della Chiesa ortodossa georgiana, favorevole all’adesione alla Nato ma nello stesso tempo sostenitore di buone relazioni con la Russia ndr) aggiungendo che quanto avvenuto “va paragonato ad una trappola per topi che è stata preparata per la Georgia e sulla quale il Presidente era stato avvertito dagli Stati Uniti, dall'Europa e dalla società georgiana. Saakasvili non ha ascoltato nessuno e ha deciso di bombardare Tskinvali, causando la perdita di territori che controllavamo".

Mentre da Tbilisi si susseguono le notizie sull’accentuazione dell’attività delle opposizioni, il Cremlino continua a ribadire che la sua decisione - politica e diplomatica - è basata sul diritto internazionale e insiste nel sottolineare che differisce in modo radicale dalla situazione creatasi in Kosovo dove il processo di indipendenza è stato - scrivono i commentatori russi - “imposto dall’esterno”. Medvedev si fa forte di questa impostazione e, approfittando della tribuna internazionale del “summit”, ricorda che quando sorse il “caso” del Kosovo, molti all’ovest si affrettarono a sostenere l’esistenza di un caso sui generis. “Ma in questa ottica - dice oggi Medvedev - ogni caso di riconoscimento dell’indipendenza, per sua natura, è un caso sui generis. In riferimento alla decisione della Russia di riconoscere la sovranità dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, essa è destinata, infatti, a prevenire il genocidio, lo sterminio di questi popoli e di aiutarli a rimettersi in piedi”.

“Ed occorre riconoscere anche che l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia hanno più diritti all’indipendenza rispetto al Kosovo, prosegue Medvedev. Gli osseti ed abkhazi abitano sulla loro terra sin dalla preistoria. Lo stesso non si può dire degli albanesi kosovari poiché il Kosovo è storicamente un territorio della Serbia, luogo in cui era nata la struttura statale serba. In fondo gli albanesi in Serbia sono forestieri e già in virtù di questo fatto le pretese dei leader della comunità albanese all’autonomia sono state sempre contestabili”. “Inoltre, - continua il leader della Rusia - esistono dei rigorosi criteri per la definizione dello status sovrano che include aspetti come il territorio, il popolo, il governo ufficiale. In applicazione al Kosovo il problema della struttura statale è, quindi, assai problematico poiché fino a poco tempo fa il territorio era sotto il controllo dell’ONU. Perciò riconoscere il Kosovo come Stato indipendente è assai dubbioso e la proclamazione della sua sovranità si può considerare come un passo scorretto nei confronti del diritto internazionale. Per di più non esisteva nessuna minaccia agli albanesi kosovari. La Belgrado ufficiale aveva dichiarato più volte di essere pronta a dialogare con Pristina e a concederle la massima autonomia nei limiti della Serbia: il che escludeva l’impostazione stessa del problema dell’indipendenza”.

Ora - questa la posizione di Medvedev e della dirigenza russa - la situazione creatasi intorno all’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, è assolutamente diversa. Storicamente i due paesi non hanno mai fatto parte della Georgia. Anzi, ad onta del loro volere, erano state incluse, come autonomie, nella Repubblica Socialista Sovietica della Georgia nell’ambito dell’ex Unione Sovietica. “Ma tale processo - rileva ora Medvedev - può essere considerato convenzionale se si pensa alle realtà che erano esistite nell’Urss. E quando la Georgia uscì dall’Urss, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud dichiararono di non volere essere nella compagine dello Stato georgiano. I paesi occidentali, allora, hanno ignorato questo fatto storico. E tutti sanno che da 17 anni a questa parte le due repubbliche sono state praticamente autonome, anche se in tutto questo periodo di tempo si è svolta la ricerca permanente del compromesso e delle possibilità per l’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia nell’ambito di uno Stato unico con la Georgia. E in qualità di mediatore è intervenuta la stessa Russia”.

Ma dopo l’avvento al potere del regime di Saakasvili Tbilisi ha imboccato la via della “soluzione militare” del problema. All’inizio di agosto le autorità georgiane hanno scatenato un’aperta aggressione contro l’Ossezia del Sud, che ha provocato la morte di civili e distruzioni di massa. “Nelle condizioni createsi - rileva oggi ancora una volta Medvedev - l’unico mezzo di conservare i popoli osseto ed abkhazo è diventato il loro riconoscimento in qualità di soggetto di diritto internazionale, il riconoscimento della loro indipendenza statale”.

Medvedev, nel suo excursus di ordine storico, ha approfittato della presenza a Mosca degli emissari europei per far rilevare anche quello di cui si è resa colpevole la Georgia di Saaksvili nel territorio caucasico. In particolare l’accento è stato posto sul fatto che Tbilisi - pur partecipando ad una serie di convenzioni internazionali per la tutela e la conservazione dei siti di storia e di cultura - non ha rispettato i suoi impegni presi con la Convenzione dell’Aia del 1954, con la Convenzione culturale europea sulla tutela del retaggio archeologico. Ed ha violato, con l’aggressione all’Ossezia del Sud, tutte le convenzioni. Le distruzioni sono avvenute l’8 agosto, quando le truppe russe non erano ancora presenti a Tskinvali. È stata completamente distrutta la riserva di architettura - complesso di eccezionali edifici risalenti al III secolo - dove le esplosioni dei proiettili hanno notevolmente danneggiato la Chiesa di S. Giorgio, risalente ai secoli VIII e IX; la Chiesa della Santissima Vergine del XVII secolo, l’edificio della sinagoga ed altri siti di storia e di architettura. Inoltre, è stato gravemente danneggiato l’eccezionale ambiente di vita umana del popolo dell’Ossezia del Sud. Gli esperti russi hanno trasmesso queste informazioni alla Commissione della Federazione Russa per gli affari dell’Unesco. La Commissione ha rivolto alla comunità mondiale un appello per condannare espressamente il genocidio culturale che ha compiuto il regime di Saakasvili. La Russia intende ora rivolgersi agli istituti internazionali per far effettuare una perizia dei danni che sono stati arrecati al retaggio culturale dell’Ossezia del Sud, nonché per far elaborare piani e metodi di ricostruzione di ciò che si può fare restaurare.

In tutti i documenti che la Russia sta preparando per l’Unesco, sarà formulata questa proposta: sulla base dell’Unesco, radunare esperti georgiani ed osseti e svolgere una conferenza di lavoro per la valutazione del danno e l’elaborazione delle vie della ricostruzione dei monumenti. È opportuno svolgere una conferenza analoga sulla base del Consiglio d’Europa per poi preparare un rapporto definitivo. Tutto questo avrà come sfondo il fatto che in questo momento Saakasvili si trova ad affrontare una guerra interna, quella che parte con le critiche dell’opposizione. Comincia un nuovo capitolo della guerra caucasica?

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