di mazzetta

Un funzionario egiziano ha dichiarato che l'esercito egiziano e quello sudanese, nel corso di un'operazione congiunta, hanno liberato in Ciad i turisti rapiti il 19 settembre nell'alto Egitto. Cinque tedeschi, cinque italiani, un rumeno e otto egiziani tra guide ed autisti del gruppo sono ora in viaggio verso casa. La metà dei rapitori avrebbe trovato la morte nel corso dell'operazione, a questi vanno aggiunti altri sei appartenenti al gruppo uccisi un paio di giorni prima dalle forze sudanesi. All'operazione avrebbero contribuito anche i servizi segreti italiano e tedesco. Grande disagio è trapelato dal governo del Ciad, che ha negato decisamente che i rapitori siano stati intercettati in territorio ciadiano. La circostanza è significativa, poiché molte fonti avevano indicato i rapitori in uno dei numerosi gruppi operanti in Sudan (il JEM) e supportati dal dittatore del Ciad Idriss Deby Itno. Non è chiaro se siano gli stessi autori del rapimento o se quelli li abbiano poi ceduti a questi, ma la traiettoria dei loro spostamenti è significativa. Ben difficilmente dei criminali egiziani sarebbero scappati verso il Ciad. Il governo del Ciad, indicato da molte fonti come il primo motore della crisi del Darfur, è sotto accusa in numerosi fori internazionali. Le accuse sono pesanti e numerose e vanno dall'arruolamento dei bambini nell'esercito fino alla trasgressione dell'accordo con il quale la Banca Mondiale ha finanziato l'oleodotto che ha permesso alla EXXON di portare il petrolio estratto in Ciad fino al Golfo di Guinea.

Il dittatore ciadiano è sopravvissuto a due attacchi alla capitale Ndjamena negli ultimi due anni. Nel corso dell'ultimo attacco, ormai assediato nel palazzo presidenziale è stato salvato dall'esercito francese, che già era intervenuto l'anno prima bombardando i ribelli. La partita in Darfur è un gioco tra il governo del Ciad e quello del Sudan, un gioco nel quale Deby ha grosse responsabilità. Era il 2003 quando un gruppo di ribelli del Darfur attaccò l'esercito sudanese, che poi reagì spazzando impietosamente la regione e mettendone in fuga gli abitanti.

Il governo allora era impegnato nei colloqui di pace con l'SPLA di John Garang, attraverso i quali si è giunti alla pace tra Nord e Sud del paese al termine di una guerra durata oltre venti anni. Venti anni durante i quali il Sud cristiano è stato armato dai britannici attraverso associazioni caritatevoli che raccoglievano denaro in occidente per “riscattare i cristiani ridotti in schiavitù dagli islamici”, in realtà per comprare armi britanniche contrabbandate nel paese dopo averle fatte passare per l'Uganda come pezzi di ricambio.

L'accordo di pace ha portato alla divisione del potere tra il governo di al Bechir e i rappresentanti del Sud cristiano in vista di un referendum con il quale il Sud Sudan potrà decidere la secessione da Karthoum. John Garang, iscritto nella lista internazionale dei terroristi, è opportunamente rimasto vittima di un incidente aereo. L'accordo è stato fondamentale per permettere al petrolio sudanese di raggiungere i mercati. Le infrastrutture sono state costruite dai cinesi, mentre il petrolio è estratto da un gran numero di compagnie internazionali, tra le quali BP e TOTAL. La narrazione dominante dice però che il petrolio sudanese finisce tutto in Cina e c'è anche un perché.

All'indomani dell'11/9 il Sudan è diventato un alleato di ferro degli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato ha più volte elogiato i servizi sudanesi per il contributo alla war on terror, le prigioni sudanesi sono state incluse nel tour delle rendition e i volenterosi torturatori sudanesi si sono dati da fare con gli ex alleati “islamici”. Una parte dell'Occidente però non ha colto questa novità e ha continuato ottusamente ad accusare il regime “islamico” di Karthoum dei peggiori crimini, fornendo una chiave di lettura fondata sull'estremismo religioso inutile e fuorviante. Chiave di lettura che continua ad essere spesa da numerose organizzazioni e personaggi dell'umanitarismo occidentale, che continuano a battere sul genocidio dei cattivi islamici. In realtà il governo di al Bechir è un governo che nasce da un colpo di stato militare e solo in seguito sposa l'islamismo qaedista, salvo poi cambiare di nuovo posizione e divenirne feroce avversario.

Il Darfur è una regione abitata da numerose etnie, tra le quali numerosa è quella degli Zagawa, la stessa del presidente ciadiano Deby. Le tensioni all'interno dell'etnia, che in maggioranza ha “scaricato” Deby, sono presto trascese in guerra aperta. Gli avversari di Deby impiegano da anni il Darfur come retrovia della guerra al dittatore, mentre questi finanzia e arma altri gruppi in funzione di contro-insorgenza, accusando il governo sudanese di sostenere i suoi nemici. Difficile attribuire torti e ragioni, ma una cosa si può affermare per certa ed è che in Darfur non esiste un conflitto animato da “islamici” e nemmeno da odio per le popolazioni diverse in quanto di pelle nera.

Non a caso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha chiesto ufficialmente a Deby di cessare ogni appoggio al JEM (Justice Equality Movement), una formazione di “ribelli del Darfur” di ispirazione islamica e legata ad Hussein al-Turabi, un tempo sodale di al-Bechir quando Osama Bina Laden era benvenuto in Sudan e pi a lungo detenuto. Il JEM si è reso responsabile negli ultimi mesi di attacchi ai campi dei rifugiati, agli operatori umanitari e anche di un clamoroso attacco suicida alla capitale sudanese, represso nel sangue dall'esercito regolare.

A dimostrazione del curioso modo di inquadrare la situazione del Darfur da parte dei media occidentali, c'è la missione EUFOR. Si tratta di una missione europea, in predicato di trasformarsi in operazione dell'ONU, intitolata al soccorso del profughi del Darfur, che però non sta in Darfur e nemmeno in Sudan, ma in Ciad e Repubblica Centrafricana. In Ciad ci sono 290.000 profughi del Darfur, ma anche 700.000 profughi interni, in fuga dalle rappresaglie di Deby, speculari a quelle dei terribili janjaweed sudanesi, ma completamente sconosciute in Occidente. Anche in Repubblica Centrafricana c'è quasi mezzo milione di profughi, in questo caso in fuga dal dittatore locale, Bozizè. Questi è giunto al potere con il sostegno di Deby e della Francia e quando questi ha cominciato ad essere in difficoltà si è trovato pure lui ad affrontare una rivolta interna.

Rivolta che ha risolto alla maniera di Deby, se è vero com’è vero che una missione ONU nel Nord-Est del paese ha verificato che tutti i villaggi della regione sono stati dati alle fiamme e le popolazioni costrette alla fuga dal solito menù di stupri e massacri. La missione EUFOR è stata accusata dalle ONG presenti in loco d’incapacità nel difendere i rifugiati e in effetti dai bollettini emessi da EUFOR sembra che le forze europee (quasi tutti francesi) siano state molto impegnate nell'addestramento delle nuove forze speciali di Deby, rimasto in solitudine dopo che l'esercito è passato in massa con la ribellione.

La missione EUFOR si è rilevata una copertura politica alla presenza dei militari francesi che sostengono le due feroci dittature e all'ONU in molti hanno pensato che fosse i caso di cambiare registro. Nascerà così MINURCAT, destinata a rilevare EUFOR. Questo balletto delle forze di pace non si esaurisce qui, è rivelatore il fatto che in Darfur sia già presente da tempo una forza ONU, così come è rivelatore il fatto che questa sia boicottata un po' da tutti. Per la missione ONU in Darfur non si sono trovati soldi, truppe e logistica, così è finita che ottomila volenterosi forniti dall'Unione Africana si siano trovati a presidiare una regione grande come la Francia potendosi spostare solo su camion e fuoristrada.

A complicare le cose c'è la nuova ricchezza di Deby, generata dalla vendita del petrolio. Una vendita che non sarebbe mai stata possibile se la Banca Mondiale non avesse stanziato i fondi per lo sviluppo al fine di costruire l'oleodotto sopra ricordato. Un accordo che scatenò polemiche, poiché i fondi non andavano ad altro sviluppo che a quello degli affari della EXXON, peraltro in grado di finanziarsi da sola l'oleodotto. Perplessità superate grazie ad un accordo troppo frettolosamente definito come “storico”, in base al quale Deby si impegnava ad investire la maggior parte dei proventi petroliferi in spese sociali. La settimana scorsa di fronte all'evidenza per la quale Deby ha speso quei proventi in lussi ed armamenti, la Banca Mondiale ha rotto l'accordo, anche se ormai il danno è fatto. Un'esito scontato, tanto da far dubitare della buona fede nell'operazione.

Sempre nella stessa settimana si è scoperta una fornitura di armamenti a Deby (in teoria sotto embargo) da parte del Belgio, cosa che ha irritato i francesi più di quanto non abbiano fatto i massacri dei suoi concittadini. Una serie di ipocrisie senza fine, cavalcate recentemente anche dal Procuratore del Tribunale Penale Internazionale Luis Moreno Ocampo, il quale trovandosi investito da uno scandalo non ha trovato di meglio che annunciare la sua intenzione di incriminare il presidente sudanese per genocidio. Peccato che lo abbia solo annunciato senza presentare prove e senza formalizzare le accuse. Un atteggiamento irrituale che ha sollevato le ire dell'Unione Africana e di numerosi paesi, che hanno fatto sentire la loro voce all'ONU. Voce che però non è giunta ai tanti commentatori (anche italiani) che indicano ormai il presidente sudanese come imputato in un procedimento per genocidio che non esiste e che difficilmente vedrà la luce.

La storia africana è ancora una storia d’ingerenze coloniali, propaganda e disinformazione a sostegno dello sfruttamento delle risorse locali, attraverso la promozione di governi criminali. Alle opinioni pubbliche occidentali sono trasmesse narrazioni falsificate al fine nascondere le continue guerre per procura nelle quali i paesi e le compagnie occidentali conquistano e controllano i mercati armando dittatori sanguinari.

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