di Michele Paris

La possibile diversa spartizione del voto cattolico nelle imminenti presidenziali americane rispetto al 2004 è un’altra delle tante eredità negative che l’amministrazione Bush ha lasciato quest’anno al candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain. Anche se tradizionalmente schierati in grande maggioranza a favore dei democratici, gli elettori cattolici americani avevano in realtà contribuito in maniera fondamentale alla vittoria repubblicana quattro anni fa, facendo spostare l’ago della bilancia verso il presidente in carica in una manciata di stati chiave. I cattolici negli Stati Uniti costituiscono circa un quarto dell’intero corpo elettorale, ma la loro presenza si concentra per lo più in alcune aree del paese strategicamente importanti nell’Election Day. In stati come Michigan, Pennsylvania, Missouri e Ohio – stati che complessivamente assegnano 69 voti elettorali e, in particolare gli ultimi due, ancora in bilico tra Obama e McCain – l’elettorato cattolico ammonta infatti a circa un terzo dei votanti. Senza contare poi la popolazione cattolica di origine ispanica estremamente numerosa in altri quattro “swing states” come Colorado, Florida, Nevada e New Mexico. All’indomani delle elezioni del 2004, i cattolici democratici e progressisti avevano iniziato a costruire un’organizzazione che ben presto ha raggiunto i livelli di energia mostrati da quelli conservatori. A determinare lo spostamento favorevole a Bush in quell’anno era stato sostanzialmente un manipolo di vescovi che alla vigilia delle presidenziali aveva contribuito a influenzare la maggioranza dei votanti cattolici, concentrando le critiche della chiesa verso il senatore democratico John Kerry praticamente su un unico argomento, l’aborto. In molte parrocchie aveva inoltre iniziato a circolare una sorta di guida al voto (chiamata “Catholic Answers”), nella quale si elencavano le cinque tematiche non negoziabili nella scelta del candidato da appoggiare: ricerca sulle cellule staminali, clonazione, eutanasia, matrimoni omosessuali e aborto.

Già due anni più tardi erano cominciati a giungere però i primi risultati confortanti per i democratici. La conferenza dei vescovi americani aveva infatti vietato ogni genere di guida da destinare agli elettori delle parrocchie e nell’autunno del 2007 era stata poi rivista la posizione della Chiesa cattolica in merito alla necessaria individuazione di posizioni condivise da parte di un candidato su certi argomenti, con la conseguente libertà concessa agli elettori di votare per un politico favorevole all’aborto se vi erano altri fondati motivi per farlo. L’inversione di rotta forniva ampio spazio agli attivisti democratici per tornare ad estendere la propria influenza nel mondo cattolico statunitense e per presentare i programmi sociali adottati dal partito come una strada efficace per ridurre il ricorso all’aborto.

L’approccio cattolico ai vari candidati così è cambiato totalmente. Gli elettori hanno iniziato a scorgere un percorso comune con il Partito Democratico sui temi del razzismo, della tortura, dell’immigrazione, dell’assistenza sanitaria, della guerra, nonché recentemente dell’economia e degli effetti della crisi sulle fasce sociali più deboli. Tutto ciò ha determinato un chiaro spostamento dei cattolici, i quali secondo i più recenti sondaggi sembrano premiare Barack Obama molto più di quanto non fecero con Kerry nel 2004. Quattro anni fa il senatore democratico dell’Illinois era riuscito a conquistare il 47% dei voti cattolici, a fronte del 52% del metodista George W. Bush. Le più ottimistiche rilevazioni statistiche attuali assegnano invece fino al 55% dei consensi dei cattolici a Obama contro il 35% di John McCain, mentre le più caute indicano una situazione di sostanziale parità, situazione quest’ultima che sarebbe comunque sufficiente a permettere un’affermazione democratica in alcuni stati in bilico.

Se da un lato l’annunciata evoluzione del comportamento degli elettori cattolici non fa che conformarsi a quella generale delle altre comunità, frustrate dalla situazione economica e dalle scelte dell’amministrazione Bush, il dibattito all’interno del mondo cattolico americano è indubbiamente caratterizzato in questi ultimi anni anche da un ripensamento intorno alle priorità da assegnare nella definizione del proprio modo di vivere il rapporto con la religione e, di conseguenza, alle scelte politiche che ne derivano.

Le strada per Obama non si presenta tuttavia completamente in discesa per quanto riguarda l’appello agli elettori cattolici. Nel corso delle primarie democratiche, il voto cattolico era infatti andato in gran parte alla sua rivale Hillary Clinton, specialmente nelle contee e negli stati dove massiccia era la presenza operaia. La condanna esplicita poi di alcuni vescovi cattolici di esponenti democratici di spicco, come quelle dirette nelle ultime settimane alla speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi e allo stesso candidato alla vice-presidenza Joseph Biden, accusati di andare contro la dottrina della Chiesa sul tema dell’aborto, hanno poi alimentato i dubbi dei cattolici più conservatori, già animati da un ritrovato entusiasmo in seguito alla scelta di Sarah Palin come running-mate di McCain.

La presenza di Biden nel ticket democratico ha d’altro canto influito in maniera positiva nell’allargare il consenso dei cattolici per il senatore dell’Illinois, specialmente tra la working-class della nativa Pennsylvania. Un compito quest’ultimo affidato anche al lavoro delle organizzazioni sindacali, facilitate dalla recessione economica incombente nell’evidenziare la vicinanza di molte istanze della dottrina cattolica alle posizioni più liberal del Partito Democratico. Tra i cattolici bianchi delle cittadine operaie del Midwest e tra gli ispanici del sud-ovest un altro fattore da misurare per il possibile successo di Obama sarà però anche quello razziale.

La storica elezione del primo presidente di colore negli Stati Uniti potrebbe così dipendere in definitiva dalle scelte che opereranno in novembre alcune minoranze di elettori, magari in alcuni singoli stati, come appunto i cattolici in Ohio o in Pennsylvania – ma anche gli ispanici in Florida o in New Mexico, gli ebrei sempre in Florida, gli indipendenti in New Hampshire o in Missouri, i repubblicani delusi in Virginia o in North Carolina – e da quanto e in che modo influirà su di loro quella combinazione di fattori che ha dominato la campagna elettorale per la Casa Bianca fin dall’inizio: crisi economica, guerra in Iraq, sicurezza nazionale, amministrazione Bush, questione razziale.

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