di Eugenio Roscini Vitali

La parola chiave è sempre la stessa: dialogo. Ricerca di una soluzione condivisa, confronto mirato a superare posizioni contrapposte, speranza di pace sulla quale costruire il futuro di un popolo. Dialogo, termine a volte abusato ma al quale nessuna persona di buon senso potrebbe mai opporsi, soprattutto in Palestina, dove polemizzare su una simile proposta significa andare contro gli interessi nazionali. E allora tutti al Cairo dove il 9 novembre prenderà il via la conferenza nazionale di riconciliazione, un difficile tentativo cui prenderanno parte le quindici maggiori fazioni palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania. Da una parte ci saranno Fatah e i 12 gruppi laici che fanno capo all’Autorità nazionale palestinese (Anp); dall’altra Hamas, il grande movimento religioso fondato nel 1987 da Ahmad Yasin e Muhammad Taha, e l’organizzazione militante palestinese della Jihad islamica, gruppo combattente nato negli anni Settanta per iniziativa di Fathi Shaqaqi. La posta in gioco è alta, soprattutto se si ripensa Guerra civile palestinese scoppiata nel 2006, un conflitto fomentato dall’esterno e combattuto dalle due maggiori fazioni palestinesi per controllo militare dei Territori. Ora, a poco più di un anno dalla fine di quegli scontri, Hamas e Fatah si ritrovano seduti intorno ad un tavolo per discutere ancora volta la reciproca legittimità a governare uno Stato che, soffocato dalla morsa israeliana e lacerato al suo interno da anni di contrasti politici, ideologici e di potere, rischia di dividersi ancor prima di nascere.

Ufficialmente la questione investe un argomento squisitamente tecnico, e cioè l’applicazione dell’articolo 34 dello Statuto dell’Anp, emendamento approvato da Fatah e mai riconosciuto da Hamas. Proprio sulla base di questa modifica, che sancisce la contemporaneità delle elezioni parlamentari e presidenziali, il presidente Abu Mazen ha deciso di non lasciare la carica neanche dopo l’8 gennaio, giorno della scadenza del suo mandato. Con una risoluzione che contribuisce al allontana Gaza da Ramallah, l’Autorità nazionale ha annunciato infatti l’intenzione di promulgare le elezioni presidenziali non prima del 25 gennaio 2010, data in cui si terrà la consultazione per il rinnovo del Consiglio Legislativo palestinese.

Nei giorni scorsi, per cercare di rilanciare il dialogo, i vertici di Hamas hanno messo in libertà 17 detenuti politici, uomini di Fatah catturati durante gli scontri avvenuti a Gaza, quando il movimento islamico, delegittimato dallo stesso Abu Mazen, prese il controllo politico e militare della Striscia. L’occidente ha sempre catalogato Hamas come un'organizzazione terroristica e per questo non ha mai riconosciuto il governo guidato da Ismail Haniyeh, esecutivo nato dopo la vittoria elettorale del 25 gennaio 2006 con la quale il movimento islamico si assicurò il controllo del Consiglio Legislativo e una maggioranza di 76 seggi su 132. Di questa delegittimazione hanno approfittato sia Abu Mazen che Fatah, che non ha mai accettato la sconfitta e tanto meno l’idea di condividere con l’organizzazione islamica il controllo dell’apparato istituzionale ed amministrativo dei Territori.

Nel condurre la sua battaglia personale contro Hamas, Abu Mazen ha stabilito con Israele una serie di intese militari che puntano a snidare dalla Cisgiordania ogni forma di fondamentalismo islamico. In cambio Gerusalemme sta portando avanti il trasferire all'Anp del controllo di alcune città: Jenin, Nablus, Hebron, dove sono già presenti 700 poliziotti palestinesi che comunque non sono abilitati ad intervenire nelle zone dove abitano i coloni israeliani, ed in futuro Tulkarem, Qalqiliya, luoghi dove l’Anp ha deciso di combattere con ogni mezzo chiunque si schieri dalla parte di Hamas.

Per molti palestinesi la politica di subordinazione impostata da Abu Mazen, che per certi versi sposta l’asse dello scontro israelo-palestinese all’interno dei Territori, rappresenta una sorta di sottomissione, una resa incondizionata a chi continua ad assediare la Striscia di Gaza e punta spostare i confini al di là dei quartieri arabi di Gerusalemme.

La spaccatura è tale che la stessa unità del popolo palestinese appare ormai compromessa; l’idea di un doppio Stato arabo sta diventando sempre più concreta, soprattutto ora che Abu Mazen sembra deciso a non lasciare le redini del potere. Di questo ne è perfettamente cosciente il gruppo dirigente di Fatah che si ritrova a fare i conti con una base sempre più irrequieta e frammentata, composta da gruppi religiosi e laici che non hanno mai accettato la politica di rinuncia promossa dall’Anp.

Ad accusare la dirigenza palestinese di essere un’agenzia di sicurezza delle truppe di occupazione israeliane non sono solo Hamas e la Jihad Islamica; a loro si è aggiunto il braccio armato di Fatah, le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, e tutte quelle le organizzazioni radicali che da tempo chiedono la “testa” di Salam Fayyad, il primo ministro imposto da Abu Mazer nel giugno 2007 e nominato in sostituzione di Haniyeh sulla base di una emergenza nazionale costruita intorno alla sconfitta elettorale del 2006.

In veste di mediatori gli egiziani hanno invitato le parti a formare un governo di unità nazionale, come indicato durante le fasi di preparazione del piano di riconciliazione, ma allo stato attuale la possibilità più concreta è che dall’incontro del Cairo scaturisca una doppia presidenza con Abu Mazen a Ramallah e un esponente di Hamas a Gaza. Secondo Hamas lo Statuto dell’Anp è chiaro: l'incarico ad interim di presidente dell’Autorità nazionale deve essere attribuito al Capo del Consiglio legislativo palestinese, Abdel Aziz Dweik. Dato che Deweik è rinchiuso in un carcere israeliano tocca quindi al suo vice, Ahmed Baher, attualmente presidente del parlamento facente funzioni, prendere il posto di Abu Mazen.

Il 9 novembre comunque in agenda non ci sarà solo la questione riguardante l’articolo 34 e la fine del mandato presidenziale: si dovrà discutere in merito alla partecipazione di Hamas e della Jihad Islamica palestinese all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), cosa alla quale Fatah si oppone fermamente; Hamas non è poi disposto a sciogliere la sua milizia e lasciare che Gaza cada nelle mani di un servizio di sicurezza che dipende direttamente dall’Anp, un organo di polizia che Abu Mazen vorrebbe ricostruire in funzione anti-Hamas e che gli permetterebbe di rientrare a Gaza da vincitore.

Tutti argomenti che difficilmente saranno risolti, soprattutto perché c’è chi spinge a favore del divide et impera (l’esclusione di Hamas dalla Conferenza di Annapolis ne è un chiaro esempio) e perché in fin dei conti la questione palestinese non è più fatto così globale come lo era una decina di anni fa; sta purtroppo diventando un problema regionale che sta lentamente perdendo l’interesse della comunità internazionale.

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