di Carlo Benedetti

Non è certo un ritorno a Bretton Woods, a quella conferenza che si tenne dal 1 al 22 luglio del 1944 nella piccola cittadina statunitense del New Hampshire (dove si stabilirono regole e linee fondanti per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo), ma è certo che ora, a Washington, dove i leader del G20 (un club di Paesi che insieme determinano l'82 per cento dell'economia mondiale e oltre il 60 per cento della popolazione del pianeta) si sono riuniti per ricercare quella cosiddetta “via d’uscita” da una crisi violenta - vero tsunami generale - si scopre che l’avventura non è finita pur se si notano all’orizzonte alcuni progressi. Washington, quindi, come sede di nuovi mercanteggiamenti e di nuove fasi di studio? La cronaca, in tal senso, (mentre Mosca segue con pragmatica preoccupazione gli eventi) ci riferisce che i leader mondiali riuniti in terra americana (e precisamente nella sede del famoso National Building Museum della capitale) si sono impegnati nel “capire” le ragioni e i motivi della crisi monetaria contemporanea. E, in tal senso, si sono dati un nuovo appuntamento da organizzare entro il 31 marzo 2009 (una sorta di idi di marzo, con sede probabile a Londra quando la presidenza di turno del G20 passerà nelle mani del premier britannico Gordon Brown) con l’obiettivo di attuare, in concreto, un piano anticrisi capace di garantire una maggiore e diversa trasparenza nel campo dei mercati globali. Senza cedere a tentazioni protezionistiche e a colpi di coda che potrebbero destabilizzare le strutture sociopolitiche. In pratica si andrà verso la data di marzo promuovendo compromessi che dovrebbero mettere in cantina eventuali lotte per l’egemonia.

Il piano d’azione attuale prevede, in linea di massima, misure a lungo termine come quelle che si riferiscono al completamento dei negoziati del Doha Round da concludere entro il 2008 e l'invito, successivo, a non cedere a pressioni protezionistiche. I leader del G20 (da Medvedev a Bush - Barak Obama non si è presentato - “non sono ancora il presidente” - da Sarkozy sino a Berlusconi) si sarebbero poi accordati anche per chiedere una migliore cooperazione internazionale nel monitorare i mercati: un obiettivo questo che dovrebbe essere raggiunto con la creazione di meccanismi di “early warning”.

Successo parziale, quindi, per questo vertice che, fortemente voluto dal presidente di turno dell'Unione europea Nicolas Sarkozy, dovrebbe far uscire dalle secche quella crisi che dai mercati mondiali della globalizzazione sta entrando con violenza nelle imprese e nell’economia del “capitalismo reale”, con conseguenze che al momento sono inimmaginabili. Sempre in margine a questo consesso in terra americana va rilevato - lo notano anche molti osservatori russi - che prima o poi bisognerà giungere al giro di boa. E cioè che si dovrà attuare un nuovo equilibrio tra mercato e Stato.

E soprattutto che il dollaro, che dalla seconda guerra mondiale è stata l’unica valuta nel mondo, non potrà più a lungo essere l´unico riferimento valutario. Perché ciò che era vero nel 1945 non può esserlo oggi. E non è un caso se i cosiddetti paesi Bric - Brasile, Russia, India e Cina - proprio nel corso del meeting di San Paolo, in Brasile, hanno detto di volere maggiore voce nelle decisioni politiche globali per soppiantare il dominio del gruppo dei sette maggiori Paesi industrializzati.

Quanto a Mosca, gli insegnamenti che vengono dai summit economici trovano ampia eco negli istituti di politologia. Dove si studiano, ad esempio, quei risultati ottenuti in seguito allo sfascio del Comecon o sulla base del neoliberismo selvaggio. Una sola cosa appare certa a Washington: il neoliberismo non potrà più essere spacciato come la dottrina economica unica. Sotto le macerie di Wall Street, insieme ai manager, c’è finita anche la presunta superiorità dell’economia virtuale.

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