di Eugenio Roscini Vitali

Neanche in guerra il fine giustifica i mezzi e tanto meno giustifica le cluster bomb lanciate dagli eserciti russo e georgiano durante il conflitto scoppiato l’estate scorsa, armi di distruzione di massa rimaste inesplose sul terreno che stanno colpendo la popolazione civile in modo irreversibile. La denuncia arriva da Human Rigth Watch che durante il secondo congresso sulle armi convenzionali, in particolare sulla parte riguardante il Protocollo V sui residui esplosivi di guerra, ha presentato dati allarmanti circa la costante minaccia a cui è sottoposta la popolazione civile. Fino ad ora sarebbero almeno 17 le vittime e decine le persone ferite da questo tipo di ordigni, numeri registrati da dall’organizzazione internazionale per i diritti umani che segue costantemente l’evolversi della crisi e che da ottobre sta ispezionando le zone colpite dal conflitto. L’uso delle cluster russe, quelle che hanno causato maggiori incidenti, è stato documentato in sei località, mentre quelle georgiane, bombe a grappolo di fabbricazione israeliana, sarebbero state rilevate in nove città e villaggi. Nonostante gli obiettivi colpiti risultino densamente popolati e malgrado l’allarme lanciato dal direttore del settore armi di Human Rights Watch, Steve Goose, Mosca continua a negare. Secondo Goose, in Georgia i russi avrebbero fatto un uso indiscriminato di cluster e a conferma di questo sarebbero state presentate prove inoppugnabili: sul distretto di Gori, ottanta chilometri ad ovest di Tblisi, sarebbero state sganciate grandi quantità di bombe RBK-500U, dispenser di fabbricazione russa contenenti sub-munizioni AB-2.5 RTM che una volta arrivate sul terreno non sarebbero esplose, non tutte almeno, come previsto dalla convenzione sugli armamenti.

I fatti vengono confermati dalla testimonianza di un’altra organizzazione umanitaria, la Norwegian People’s Aid, secondo la quale il 35 per cento delle sub-munizioni che il 12 agosto hanno colpito la città di Ruisi non sono esplose. I danni fino ad ora causati sono gravissimi e malgrado il tentativo di bonifica messo in atto dalla popolazione, sul terreno rimangono migliaia di ordigni inesplosi. Ai morti si aggiungono decine di civili rimasti feriti e mutilati in modo permanente, i terreni agricoli sono impraticabili e la perdita dei raccolti sta portando gli abitanti della regione alla fame.

La violazione del diritto internazionale non è però un delitto solo russo: le zone contaminate dall’esercito di Tblisi sono anch’esse densamente popolate, ma non è chiaro se l’uso a danno dei civili sia stato intenzionale o casuale (cosa tra l’altro poco consolante). I razzi usati dai georgiani, cluster di produzione israeliana Mk-4 GRAD LAR-160 con sub-munizioni M85, hanno colpito le città di Tirdznisi e Shindisi e le località limitrofe ed hanno fino ad ora causato la morte di due civili e il ferimento di altri tre. Secondo le autorità georgiane il fatto che all’impatto con il terreno gran parte degli ordigni sia rimasto inesploso potrebbe essere legato ad un problema tecnico, un malfunzionamento per il quale dovrebbe essere interpellata la stessa azienda costruttrice.

Tblisi ha dichiarato che questo tipo di razzi, gli unici in dotazione all’esercito, sarebbero stati usati contro le truppe russe durante l’attacco a Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del sud, ma alcune organizzazioni non governative che operano nella regione avrebbe rilevato la presenza di un gran numero di M85 anche intorno alle principali città della Georgia meridionale. Da canto suo, Human Rights Watch ha nuovamente invitato Israele ad interrompere la produzione e la vendita delle munizioni a grappolo ed ha esortato le autorità russe e georgiane a fornire tutti i dati necessari alla bonifica dei territori bombardati, incluso il tipo degli ordigni utilizzati, la quantità e gli obiettivi sui quali sono stati sganciati.

Per il prossimo 3 dicembre si sono dati appuntamento ad Oslo i 107 paesi che a il 28 maggio scorso avevano sottoscritto la bozza d’intesa sul trattato internazionale che dovrebbe mettere definitivamente al bando le munizioni a grappolo: tra coloro che non aderiscono ci sono gli Stati Uniti, che da soli possiedono più di 700 milioni di bombe a grappolo (stima del Cluster Munition Coalition), la Cina, la Russia, l’India, il Pakistan e Israele. Per quanto riguarda l'Italia, aderire al Trattato non basta: come ha ricordato Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, oltre allo sforzo diplomatico è infatti richiesto un impegno concreto e cioè che la Finanziaria 2009 non azzeri il fondo istituito a seguito della Convenzione di Ottawa. Il dramma delle vittime di questa “sporca” guerra non può essere ignorato adducendo giustificazioni quali le difficoltà finanziarie e di bilancio di un paese avanzato come il nostro.

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