di Fabrizio Casari

Sono centoquarantatre, al momento, le vittime dell’attacco terroristico dei guerriglieri islamici a Mumbai. L’intervento dei reparti speciali ha “bonificato” l’area dell'Hotel Taj Mahal, ma la liberazione di tutti gli ostaggi ancora non ha avuto termine. Hanno scelto hotel e locali di lusso per vittime a cinque stelle, contando proprio di far leva mediatica sulla distanza abissale tra quelle isole di ricchezza e l’India dei diseredati, che muoiono come mosche sotto gli indici di crescita a due cifre del Pil indiano. Come da copione appare d’incanto la mano di Al-Queda nell’operazione militare, ma le informazioni in tal senso sono ancora da verificare fino in fondo e sono invece molte le obiezioni possibili a quest’ipotesi. Certo invece, è che la tecnica militare utilizzata rimanda più alla Monaco del ’72 che non alla New York delle Torri gemelle nel 2001. E sul palcoscenico indiano recitano attori diversi anche da quelli dei film già visti negli ultimi anni, fatti di autobombe, commandos suicidi e piccole unità dinamitarde scatenate in lungo e largo per l’Asia minore e il Medio Oriente, modalità tipiche del martirio degli adepti di Al-Zawairi. La tecnica militare utilizzata per l’occasione è invece quella tipica della guerriglia: vede la presenza di un piccolo esercito frazionato in piccole unità, bene armate e capaci di muoversi rapidamente ed in modo coordinato per colpire più obiettivi contemporaneamente. Non hanno nessuna remora ad aprire il fuoco su chiunque, conoscono alla perfezione i luoghi dove l’azione si svolge e sono visibilmente addestrati a resistere agli attacchi delle teste di cuoio il più a lungo possibile; non solo per tentare di uscire in qualche modo, per provare a sganciarsi una volta finita l’operazione, ma anche per occupare la scena mediatica internazionale oltre ogni possibilità di rimozione. E’ un’azione di guerra preparata con cura e realizzata con micidiale, criminale efficienza.

I terroristi che tengono assediata Mumbai da oltre 45 ore sono stati ''sicuramente bene addestrati da qualche parte'', ha affermato in una conferenza stampa, a volto coperto, il comandante delle teste di cuoio della Marina indiana, intervenuta per liberare gli ostaggi. Palese il rimando, per quanto indiretto, al vicino Pakistan che, anche dopo l’uscita di scena di Musharraf - nei fatti l’alleato più affidabile degli Usa, fino a quando agli Usa è convenuto - è accusata di continuare attraverso i suoi servizi segreti l’opera di sostegno sia ai Talebani afgani, sia agli avversari islamici degli induisti, nel tentativo di destabilizzare l’area. Le parole del militare indiano sembrano quindi negare l’esistenza di una guerriglia autoctona per indirizzare verso le più sicure “sponde estere” la genesi del gruppo e lo svolgimento della sua azione di guerra. Ma anche qui sembra difficile sposare le tesi di Nuova Delhi, giacché in questo momento, proprio per evitare l’accerchiamento, Islamabad appare impegnata in uno sforzo di dialogo con l’India che certo non prevede l’organizzazione di un simile attacco terroristico.

Se fosse Al-Queda ci si troverebbe di fronte ad una sostanziale novità sotto il profilo della tecnica utilizzata e sarebbe evidente l’intenzione da parte di Al-Zawairi di dimostrare un livello ben più alto di quello dimostrato finora dai suoi adepti; non tanto nella capacità di generare vittime quanto nella nuova organizzazione militare, evidentemente frutto di un addestramento che indicherebbe, in qualche misura, se non una modificazione profonda dell’operare del gruppo terroristico, una sua evidente diversificazione della struttura militare a disposizione. Sarebbe un segnale chiaro indirizzato ai governi ed alle forze di sicurezza internazionali, fino ad ora impegnati a prevenire attentati dinamitardi, più che azioni di guerriglia estese. Ma, per ammissione della stessa CIA, “Al-Queda è ormai un gruppo in forte declino”. E un gruppo in declino riuscirebbe ad organizzare e realizzare un simile attacco? Ancora una volta sembra che le responsabilità di Al-Queda siano buone per la parte mediatica della vicenda, ma che la verità forse va cercata altrove.

Perché se invece non di Al-Queda si trattasse? Da un anno a questa parte sono centinaia le vittime di attentati verificatisi in India. L’accordo militare con gli Stati Uniti e le drammatiche condizioni di sopravvivenza di milioni di indiani sono definite dai terroristi il motivo degli attentati. Era il maggio di quest’anno e la “Milizia Islamica” annunciava nei suoi prossimi obiettivi i centri turistici del Paese. Il dilagare della violenza politica in India fino ad ora era stato sottostimato proprio perché l’attenzione mediatica non scatta quando a morire sono gli ultimi. E’ l’appartenenza al club dei ricchi che assegna righe e fotografie alle vittime del terrorismo, non il numero delle stesse.

Ma quali che siano gli autori dell’assalto alla parte a cinque stelle di Mumbay, non si può non registrare come sia cominciata nel sangue e finita nel sangue l’era di George W. Bush. La globalizzazione che la sua amministrazione ha promosso, è stata segnata soprattutto dalle varie nazionalità che quel sangue hanno pagato, tributo pagano ed imperiale ad un governo impegnato soprattutto a sostenere gli affari privati di chi lo componeva, persino più di quelli pubblici che avrebbe dovuto rappresentare. La promessa di sicurezza internazionale esce da questi otto anni di presidenza Bush come la credibilità dell’ancora inquilino della Casa Bianca: a pezzi. Il terrore invece, questo sì, si è globalizzato.

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