di Eugenio Roscini Vitali

“Un attacco biologico o nucleare potrebbe essere sferrato in qualsiasi angolo del mondo ed in qualsiasi momento”; lo afferma la Commissione sulla prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa e sul terrorismo, organo bipartisan del Congresso americano nato sulla base delle raccomandazioni fatte dal gruppo di esperti che indagò sull’attacco dell’11 settembre 2001. Il rapporto, presentato il 2 dicembre scorso al vicepresidente Joe Biden, lancia un allarme preoccupante: ci sono buone possibilità che entro il 2013 potremmo assistere ad un attacco biologico e che i germi letali usati dai terroristi potrebbero uscire illegalmente dai laboratori che maneggiano questo tipo di batteri. Ed è per questo che i 260 esperti che hanno collaborato con la Commissione, presieduta dagli ex senatori Bob Graham e James Talent, raccomandano alle autorità un maggior controllo e maggiore prevenzione. Ma si può veramente parlare di nuovi nemici, scienziati coinvolti nell’integralismo più estremo, tecnici senza scrupoli che hanno da sempre affollato la fantasia dei registi e degli scrittori o invece questa è una nuova strategia studiata per insinuare nuovi dubbi e nuove paure? Oltre a parlare di minaccia nucleare e di attacchi radiologici, il report intitolato “The world at risk” punta il dito contro il bio-terrorismo: “I terroristi possono entrare in possesso di armi biologiche ed usarle con maggiore facilità di quelle nucleari. La Commissione ritiene il governo degli Stati Uniti debba intervenire con decisione in modo da limitare la proliferazione di questo tipo di armi”. Per gli esperti la preoccupazione è che l’acquisizione di sostanze patogene e la loro disseminazione in forma di aerosol é tecnicamente meno problematica di quanto si creda, così come in futuro lo sarà la produzione e l’assemblaggio di armi o dispositivi contenenti elementi di uranio o plutonio. Lo studio focalizza anche un altro aspetto del problema: la possibilità per il denaro o semplici motivazioni ideologiche possano spingere qualche scienziato a collaborare con i grandi gruppi terroristici internazionali.

Gli esempi a riguardo non mancano, basti pensare al microbiologo e vaccinologo Bruce Edwards Ivins e alle spore di antrace usate contro gli Stati Uniti nel 2001: cinque morti e 17 persone contagiate dal batterio a causa della polvere contenuta nelle lettere recapitate a personaggi politici e ad alcune redazioni di giornali. Dopo anni di indagini i sospetti dell’FBI arrivarono a Fort Detrick, nel Maryland, dove lavorava il Dr. Ivins, studioso impiegato presso l’Istituto dell’esercito americano di ricerca sulle malattie infettive (USAMRIID). Morto suicida il 29 luglio scorso, il ricercatore è rimasto il principale indiziato di quello che è stato definito uno dei più gravi e preoccupanti attacchi biologici dei nostri tempi, dimostrazione pratica del fatto che, se trattate in modo da poter essere inalate, le spore prodotte dal batterio possono diventare un’efficace arma batteriologica, anche se di difficile diffusione.

Riguardo al bio-terrorismo c’è poi l'attentato del 20 marzo del 1995 alla metropolitana di Tokyo, attacco che provocò 12 morti e oltre 6000 intossicati. In quel caso fu utilizzato il Sarin, gas nervino che, oltre ad essere incolore e inodore, a temperatura ambiente diventa estremamente volatile. Compiuto dalla setta religiosa Aum Shinrikyo, l'attentato faceva parte di un piano escogitato da Shoko Asahara per rovesciare l’Imperatore e prendere il potere. Nell’ora di punta, cinque membri della gruppo lasciarono cadere sul pavimento dei vagoni della metropolitana alcuni sacchetti di gas nervino che a contatto con l’aria si disperse nell'ambiente circostante dando il via alla strage. L'intossicazione da sarin, letale anche in concentrazioni minime (0.01 milligrammi di prodotto per kg di peso corporeo è sufficiente a provocare la morte in circa un minuto), può avvenire infatti sia per inalazione che attraverso contatto cutaneo, e un’adeguata concentrazione di vapori è addirittura in grado di attraversare la pelle, rendendo così inutile l'uso delle maschere antigas.

Le conclusioni cui è arrivata la Commissione combaciano con quelle presentate il mese scorso dal National Intelligence Council (NIC) che nel report “Global Trends 2025” parla di una effettiva globalizzazione delle conoscenze scientifiche e della capacità del terrorismo di accedere con facilità alle biotecnologie e al nucleare. Per gli americani la possibilità di un attentato nucleare rimane una grave preoccupazione, soprattutto vista la forza e mezzi a disposizione del terrorismo e la quantità di progetti e di tecnici oggi in circolazione. In questo contesto uno degli scenari più complessi e delicati è certamente il Pakistan, paese in possesso della “Bomba-A” e delle tecnologie necessarie alla sua produzione, da tempo in una situazione di particolare instabilità politica e, non da oggi, territorio dove il terrorismo internazionale gode di grandi appoggi, tutti fattori che lo rendono uno degli obbiettivi ideali per al-Qaeda.

Per quanto riguarda il nucleare, Islamabad è già stata al centro dello scandalo che riguardò il giovane scienziato Abdul Qadeer Khan, ingegnere metallurgico che negli anni Settanta, approfittando dell’impiego ottenuto presso la URENCO, società di ricerca europea impegnata nel settore dell’arricchimento dell’uranio, trafugò i progetti necessarie alla costruzione della bomba atomica pakistana. Lo stesso Khan che nel 2004 confesserà di essere coinvolto nel traffico internazionale di tecnologie e materiale atomico con i governi di Libia e Iran e ancor di più Corea del Nord, alla quale avrebbe inoltre fornito il gas necessario all'arricchimento dell'uranio; un caso internazionale nel quale fu anche coinvolto l’ingegnere svizzero Urs Tinner, sospettato insieme al padre e al fratello di contrabbando nucleare.

Attualmente l’arsenale pakistano conta di 85 testate atomiche e sul piano della ricerca la Cina ha intensificato con Islamabad una collaborazione iniziata negli anni Settanta, che ha permesso la realizzazione di diversi laboratori e complessi: Kahuta, centro studi dove oltre al nucleare vengono sviluppati i vettori missilistici a lungo raggio; Khushab, reattore ad acqua pesante e centro di ricerca per le produzione di plutonio e tritium (idrogeno radioattivo); le centrali di Karachi e Ch’asma ed altri siti in fase di costruzione. Ma in questo senso il Pakistan non è il solo a rappresentare un pericolo. Oltre che negli Stati Uniti, Russia, Cina, Inghilterra, Francia e Israele, i tecnici capaci di sviluppare un’arma atomica li troviamo in India, Corea del Nord, Iran, in molti laboratori dell’Europa Occidentale ed Orientale, in paesi che si sono avvicinati o si stanno avvicinando al nucleare e in 14 paesi dell’ex Unione Sovietica, da dove Mosca avrebbe già prelevato circa 6 mila armi tattiche.

In 50 anni di corsa agli armamenti nucleari sono state costruite circa 130 mila testate. Per scopi militari sono state prodotte più di 2200 tonnellate di uranio altamente arricchito (HEU) e più di 250 tonnellate di plutonio. Numeri spaventosi se si pensa che per la fabbricazione illegale di armi nucleari l’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica di Vienna (IAEA) definisce quantità significative 8 chili di plutonio e 25 di uranio U-235 contenuto in HEU, mentre le autorità americane parlano addirittura di poco di più di un chilo di plutonio e di tre chili di uranio. Minaccia o paura ingiustificata quindi?

Gli ultimi otto anni di amministrazione Bush ci hanno insegnato che ormai ogni dubbio è lecito e allora viene spontaneo ripensare al film di Terry Gilliam: l'esercito delle 12 scimmie. La minaccia terroristica sicuramente rimane inalterata, lo dimostrano i fatti di Bombay dove un pugno di estremisti ha messo in scacco un intero sistema, ma non è che approfittando di questo nuovo allarme qualcuno deciderà di farci vivere un altro decennio di ansie e fobie? E magari scatenare altre guerre sulla base di bugie colossali?

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