di Eugenio Roscini Vitali

Un delitto eccellete che trasforma il misterioso omicidio del Generale Faisal Alavi, cognato del celebre scrittore britannico Vidiadhar Surajprasad Naipaul, premio Nobel per la Letteratura nel 2001, in un terremoto politico; un caso che rischia di smascherare il doppio gioco di uno Stato che probabilmente inizia a soffrite della sindrome di Stoccolma. Ex comandante delle forze speciali pachistane, Faisal Alavi, viene ucciso il 19 novembre ad Islamabad; a portare a termine l’attacco è un commando formato da due killer che, armati di pistole 9 mm simili a quelle in dotazione all' esercito, bloccano la sua auto e lo trucidano insieme al suo autista. Un’operazione perfetta, veloce, pulita, lontana dagli attentati a cui ci hanno abituato i terroristi e che ci ricorda piuttosto gli omicidi libanesi, un regolamento di conti che mira ad eliminare un personaggio scomodo. Gli investigatori però indicano immediatamente la pista del terrorismo internazionale che dopo qualche giorno viene smentita dalle rivelazioni di Carey Schofield , una giornalista del Sunday Times che pubblica una lettera datata 21 luglio 2008 che il Generale aveva inviato al capo delle Forze Armate, Sajid Kyani. Autrice del libro “Inside the Pakistan Army”, la Schofield aveva ottenuto una copia del documento dallo stesso Alavi che aveva incontro due mesi prima al ristorante Talkingfish di Islamabad. L’ufficiale era a conoscenza di prove circa un complotto che lega il nome di due Generali dell’esercito a personaggi del terrorismo pakistano. Alavi era preoccupato: le confessa di essere in pericolo di vita e in caso di morte vorrebbe che la lettera venisse pubblicata. Quattro giorni dopo Faisal Alavi viene assassinato con otto colpi di pistola; alcune settimane dopo Sajid Kiyani, sovrintendente della polizia di Islamabad dichiarerà che le indagini sono ad un punto morto e che non è possibile identificane gli assassini, tanto meno risalire al movente. A questo punto prende piede il sospetto che qualcuno voglia depistare le indagini e indirizzare le ricerche sulla pista talebana o sul terrorismo quadino. Ma cosa c’è dietro la morte di Alavi?

Dopo lo scoop del Sunday Times è arriva un’ondata di servizi giornalistici pubblicati da gran parte della stampa internazionale. Riguardo all’assassinio che sta portando alla luce le fosche trame pakistane, il più importante quotidiano pakistano in lingua urdu, il Jang, titola: “Il Generale Alavi silurato da Musharraf perché si era opposto ad un accordo con i Talebani”. Questo ci riporta ai fatti di due anni prima, quando l’ufficiale era stato costretto a lasciare il comando dei Servizi Speciali. Nella lettera indirizzata al capo delle Forze Armate, Alavi si riferisce proprio a quel periodo e chiede che venga aperta un’indagine sui motivi che hanno portato al suo allontanamento dalla direzione dei Servizi ed azioni disciplinari nei riguardi dei vertici militari che hanno tramato contro di lui. Tra le righe si parla anche di una decorazione e della riammissione al suo vecchio incarico, unica maniera per riacquistare l’onore perduto. La lettera dell’ufficiale però non ottiene risposta e questo viene interpretato come una condanna a morte.

Alavi era certo che il suo allontanamento dalla dirigenza dei Servizi Speciale fosse stato causato dalle aspre critiche che lui stesso aveva rivolto ai vertici dell’esercito, accusandoli di collusione con il nemico. Il Generale condannava la fallimentare strategia messa in atto da Islamabad contro il terrorismo; era convinto che lungo il confine con l’Afghanistan l’esercito non avesse fatto abbastanza per contrastare i gruppi talebani nei loro attacchi contro le truppe Nato. L’accusa, sostenuta anche da altre fonti, era stata confermata dai servizi di informazione Usa che nel 2005 avevano parlato di legami tra i servizi pakistani e gli islamici, una sorta di tregua sottoscritta dai Generali in cambio di una. Durante la presidenza Musharraf, Alavi aveva tentato di smascherale la tresca ma i suoi nemici erano riusciti a neutralizzarlo facendo trapelare indiscrezioni sulle sue opinione politiche e avevano montato una ipotetica relazione tra il cognato del celebre scrittore britannico e una donna divorziata.

Il sospetto è che nel 2001 una parte deviata dei vertici militari pakistani abbia iniziato a fare il doppio gioco. Da una parte i comandanti dichiaravano guerra al terrorismo, dall’altra sottoscrivevano una sorta di trattato di non belligeranza con le fazioni talebane; tutto questo mentre l’esercito subiva gravi perdite lungo il confine afgano. Secondo fonti di stampa internazionale, nel febbraio del 2005, alcuni ufficiali avrebbero addirittura raggiunto un accordo con i capi dei gruppi tribali del Sud Waziristan, incluso Baithullah Mehsud, il leader dei talebani pachistani coinvolto nell'agguato a Benazir Bhutto. In quel periodo i media parlavano del pagamento di tangenti perché le truppe non fossero attaccate e di uomini in divisa che avrebbero dato garanzie d’immunità ai talebani in cambio di uno stop agli assalti in Pakistan.

Il Generale Faisal Alavi è stato ucciso: ufficialmente i responsabili dell’omicidio sono terroristi; molti commilitoni e analisti credono invece che gli assassini appartengano ad ambienti pachistani collusi con quella parte dell' intelligence e dell'esercito pakistano che non ha intenzione di rinunciare ai vantaggi che derivano da anni di regime. Dalla fine del governo Musharraf, i militari stanno perdendo spazio d’azione e per i denigratori sarà difficile smentire le rivelazioni dell’ex capo dei Servizi Speciali, un ufficiale che per anni ha collaborato con le Forze Operative Speciali Usa (SOF) e con la CIA; a meno che qualcun altro non sia interessato a far credere che Alavi altro non era che un pazzo visionario.

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