di Mario Braconi

Nel 1901, l’immunologo Karl Landsteiner, mentre era assistente di ricerca presso l’Istituto di Patologia di Vienna, scoprì che esistono tre tipi di sangue umano A, B, e 0; un anno più tardi, due suoi colleghi si imbatterono nel quarto tipo, AB. Grazie a Landsteiner il sangue di ognuno di noi viene oggi classificato come appartenente a questo o quel gruppo sulla base della presenza o meno di determinati antigeni (A o B) sulla superficie dei globuli rossi - come dice la parola stessa, gli antigeni sono sostanze che presiedono alla creazione di anticorpi e alla preparazione della risposta immunitaria dell’organismo. La portata della scoperta di Landsteiner è stata epocale, dato che ha consentito di operare trasfusioni senza uccidere il paziente (cosa che prima era la regola): l’emogruppo di appartenenza condiziona infatti la possibilità di donare o ricevere il sangue di un’altra persona (ad esempio gli appartenenti al gruppo 0 possono donare sangue a tutti gli altri, mentre i gruppo A e i gruppo B, oltre, rispettivamente, ad altri gruppo A e gruppo B, possono donare solo ad individui AB). Non vi sono dubbi, dunque, che l’appartenenza ad un gruppo o all’altro, determinata geneticamente, sia un dato rilevante solo dal punto di vista medico. Eppure, in Giappone, e non da poco tempo, si continua a credere che esista una correlazione tra gruppo sanguigno e personalità; di qui a sostenere che il gruppo sanguigno possa influenzare le capacità di successo di un individuo sul lavoro, in politica, nelle relazioni personali ed affettive, il passo è breve. Prova ne sia l’incredibile successo di una collana di manuali (uno per ogni gruppo sanguigno) che nel Paese del Sol Levante ha venduto oltre cinque milioni di copie: tutti e quattro i manuali (ve ne è uno per ogni gruppo sanguigno) sono nella lista dei 10 libri più letti nel 2008.

Fin qui sembrerebbe una variante orientale della generale attrazione verso ogni forma di favola deterministica (dalle banalità degli oroscopi ai dogmi “laici” liberisti, marxisti e psicoanalitici) che tanto successo ha riscosso e continua a riscuotere in numerosi ed eterogenei strati sociali sparsi per l’universo mondo. Eppure questa piccola follia nipponica è particolarmente pervasiva: tra i giochi che i bimbi giapponesi possono far “girare” sulla consolle portatile Nintendo DS, ad esempio, ce n’é uno personalizzato per gruppo sanguigno, mentre discutibili teorie basate sull’emogruppo sono alla base del plot di una serie TV in cui un gruppo di donne cerca marito nonché dei criteri con cui la squadra olimpica femminile softball si è allenata lo scorso anno.

Ancora: a quanto riporta Associated Press, le agenzie per cuori solitari, e, inevitabilmente, gli specialisti delle risorse umane giapponesi, includono l’emogruppo tra gli elementi attraverso cui vagliare la compatibilità personale ed organizzativa dei loro clienti. Ironicamente, mentre il Ministro della Salute, Welfare e Lavoro, Junichi Wadayama, stigmatizza il dilagare di questa demenza pseudoscientifica, il premier Taro Aso, nel suo profilo ufficiale su Internet, ha specificato che il suo sangue è del gruppo A; il che, a dar retta alle scempiaggini dei best seller giapponesi, farebbe di lui un “perfezionista, forse un tantino troppo ansioso”.

La tesi, ribadiamo una volta di più, del tutto priva di qualsiasi base scientifica, secondo cui ad un dato emogruppo corrispondano caratteristiche caratteriali ed antropologiche predeterminate si rivela, sotto un profilo semantico, particolarmente rozza e pericolosa: quanti eccidi, quanti crimini contro l’umanità sono stati commessi grazie alle mefitiche suggestioni legate ai miti del sangue e della razza?

Durante il periodo Meiji (1848 - 1912) molti giapponesi venivano inviati in Germania a studiare: quando rientrarono in patria, i giovani di quella generazione, assieme alla conoscenze scientifiche, si portarono dietro anche un virus pericoloso: quello delle idee razziste. In Germania fu il medico Emil von Dungern (1867-1961) a dare alle scoperte di Karl Landsteiner una interpretazione pericolosa: nel suo libro “Antropologia dei gruppi sanguigni”, teorizzò il primato delle razze con sangue di tipo A (occhi azzurri e capelli biondi), su tutte le altre: tutte le etnie caratterizzate dalla prevalenza del tipo sanguigno B (capelli e occhi scuri) erano destinate a soccombere. Questa accozzaglia di scempiaggini parascientifiche trovò un pubblico ricettivo in Giappone.

A dispetto della sua mancanza di credenziali nel campo (era solo un professore di filosofia che non si era mai allontanato dal Giappone), delle obiezioni di veri scienziati e di articoli critici comparsi sulla stampa, il fascino delle “scoperte” di Furukawa Takeji (1891-1940) resta notevole anche ai giorni nostri. Secono Furukawa, l’umanità deve essere suddivisa in due categorie: i passivi (gruppo A o AB) e gli attivi (gruppo 0 e B). Le conseguenze di questa banale “filosofia” bipolare sono talmente chiare che non occorre perderci su troppo tempo: c’è qualcuno destinato a subire e qualcun altro prescelto per comandare! Fu così che negli anni 30 nei questionari per aspiranti impiegati cominciò a comparire anche lo spazio per il gruppo sanguigno, quale indicatore delle potenzialità del candidato a raggiungere posizioni di responsabilità.

Dopo un periodo di relativa stasi negli anni Cinquanta e Sessanta, la febbre per il gruppo sanguigno si riaccese all’inizio degli anni Settanta grazie a Masahiko Nomi, dapprima noto commentatore sportivo di Sumo e successivamente acclamatissimo “guru” della compatibilità “ematica” (il suo libro “Quello che i gruppi sanguigni rivelano sulla compatibilità”, pubblicato nel 1971, ha conosciuto ben 200 ristampe ed è ancora oggi tra i best seller di lungo periodo). Sembra in effetti che queste sciocche teorie siano qualcosa di più (e di peggio) di un passatempo innocente, da assimilare alla lettura di un oroscopo da noi in Occidente: esse contengono al loro interno un progetto di ingegneria sociale da incubo.


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