di Eugenio Roscini Vitali

L’antisemitismo è una delle tante forme di xenofobia che si celano all’interno della nostra società, un male oscuro che per secoli si è nutrito di preconcetti e false credenze e che ancora oggi rimane un tema di sconcertante attualità. L’origine di questa avversione è sicuramente di carattere religioso, ma a partire dalla metà del XIX secolo ha assunto il modello di odio razziale: il “deicidio” imputato agli ebrei, per lungo tempo astratta immagine teologica che ha alimentato il mito dell’omicidio rituale di Pasqua, assume le connotazioni del moderno razzismo e l’ebreo diventa artefice di una perversa logica del complotto, per questo fonte di disordine sociale e minaccia. E’ verso la fine del Novecento che la diffidenza ossessiva nata con le crociate si ammanta di ragioni pseudo-scientifiche e l’odio verso gli ebrei registra un’agghiacciante impennata, quel salto di qualità che nell’arco di cinquant’anni darà origine al tragico epilogo della Shoah. Nonostante quegli orribili fatti e per quanto la società civile lo abbia condannato, l’antisemitismo convive ancora nella nostra cultura; un fenomeno di lunga durata che riemerge, anche se in forme diverse. E così, l’antigiudaismo diventato antisemitismo si trasforma in antisionismo; cambiano le giustificazioni, le regole della propaganda, ma il fine rimane lo stesso. Lo dimostrano i dati rilevati dall’Agenzia ebraica, che in un report pubblicato il 22 gennaio scorso parla di un’impennata del 300%: nel periodo che va dalla fine di dicembre 2008 alla prima metà del gennaio 2009 l’istituto avrebbe registrato a livello mondiale 250 azioni volte a colpire le comunità, i simboli religiosi e gli stessi cittadini di origine ebraica. La sconcertante impennata, giustificata in parte come reazione all’operazione “Piombo fuso”, triplica gli 80 casi segnalati nello stesso periodo dell’anno precedente e si riferisce ad atti vandalici e a violenza quasi sempre perpetrati da gruppi o elementi isolati dell’estremismo islamico, consumati soprattutto in Europa occidentale.

In Francia e in Gran Bretagna i casi più gravi: prese di mira le sinagoghe, i cimiteri, le istituzioni giudaiche e la proprietà privata. Prendendo in esame il paese transalpino, quello europeo con la più alta concentrazione di popolazione musulmana (cinque milioni) ed ebraica (600mila), nel periodo che va dal 27 dicembre, data in cui i carri armati israeliani hanno attraversato il confine palestinese, al 18 gennaio, giorno della tregua, gli atti di odio razziale più rilevanti sono stati 55. Un dato che conferma una tendenza in crescita e che porta la media annua francese dai 32 casi del 2002 a 193 del 2008. Oltre alle dimostrazioni di protesta contro le conseguenze catastrofiche dell’operazione Piombo fuso, Parigi è stata testimone di aggressioni davanti alle scuole, di folli graffiti e scritte come “morte agli ebrei” sui muri delle banlieues; lanciate bombe molotov contro le sinagoghe di Villeneuve-Saint-Georges e Saint Denis, sobborghi settentrionali della capitale francese.

Svastiche e insulti contro gli ebrei francesi sono comparsi intorno alle sinagoghe di Mulhouse e Lille e sulla porta della sede dell'Unione degli ebrei per la resistenza ed il mutuo soccorso (URJE) del decimo arrondissement di Parigi; una vettura è stata lanciata e poi data alle fiamme contro il cancello di una sinagoga di Tolosa. Attaccate anche le comunità ebraiche di altri paesi: lanciato un oggetto in fiamme all’interno degli uffici della congregazione di Helsingborg, in Svezia; atti di vandalici contro la sede di un gruppo religioso e contro un luogo di culto a Malibu, in California; slogan inneggianti le camere a gas sono stati scanditi ad Amsterdam; scritte sui negozi di Istanbul come “vietato l'ingresso agli ebrei, i cani sono benvenuti”; commenti, graffiti ed atti di antisemitismo in Austria; a Bruxelles è stato incendiato il portone centrale del tempio ebraico Beth Hillel; dall’inizio dell’operazione Piombo fuso vengono registrati 24 episodi a sfondo antisemita contro la comunità ebraica inglese, compreso il tentativo di incendio di una sinagoga a Brondesbury, nel nordovest di Londra.

Rispetto agli anni Novanta sono diversi i grandi paesi europei dove l’opinione negativa sugli ebrei, così come nei confronti dei musulmani, è peggiorata. I numeri parlano di un antisemitismo diffuso, influenzato da una confusione ormai cronica che associa le responsabilità oggettive del governo israeliano e l’azione sionista contro i palestinesi all’ebreo. Ma ci sono anche casi come la Bielorussia, dove le dichiarazioni contro gli ebrei arrivano da personaggi pubblici e il governo permette la vendita e la distribuzione di libri e periodici antisemiti, fenomeni preoccupanti che si associano a casi di profanazione di cimiteri e di monumenti in memoria delle vittime della Shoah; o quello della Cina, dove il bestseller “La guerra monetaria” descrive il modo in cui gli ebrei si propongono di dominare il mondo e manipolare il sistema finanziario internazionale.

Teorie della congiura che ci riportano indietro di quasi un secolo, all’8 maggio 1920, quando il giornale londinese Times pubblica un articolo dove garantisce l’autenticità di un libretto intitolato “I protocolli dei savi anziani di Sion”, nel quale si svelerebbe l’esistenza di un complotto giudeo-massonico per istaurare il dominio ebraico sul globo; in realtà un libello satirico copiato da un pamphlet diretto contro Napoleone III, “Dialoghi negli inferi fra Montesquieu e Macchiavelli”, pubblicato nel 1865 da Maurice Joly. Ma che l’antisemitismo sia un sentimento in fase crescente lo dimostra anche il sondaggio pubblicato dall’istituto di ricerca Pew: tra il 2004 e il 2008 in Francia il pregiudizio razziale contro gli ebrei è passato dall’11 al 20%; in Germania, dal 20 al 25%; in Russia, dal 25 al 34%; in Polonia, dal 27 al 36%; in Spagna si è addirittura arrivati al 40% mentre in Svizzera Romanda lo scorso anno sono stati registrati circa 100 episodi di antisemitismo, 60 in più rispetto al 2007.

Prima dell’operazione militare israeliana su Gaza gli eventi che avevano causato una sensibile crescita di questo fenomeno erano stati due: il primo in occasione dell’occupazione americana dell’Iraq; il secondo quando il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, si era rivolto al mondo parlando della Shoah come un mito, come grande menzogna. Nello stesso anno il sentimento antiebraico era cresciuto anche in Europa Orientale, soprattutto in Ucraina, dove gli incidenti erano passati da 20 a 40. A differenza delle altre volte, l’operazione Piombo fuso ha però scatenato una reazione di massa quasi inattesa: in 22 giorni di guerra l’aviazione e l’esercito di Gerusalemme hanno causato la morte di oltre 1300 arabi, 700 dei quali civili; un massacro che ha lasciato spazio a parallelismi estremi e che in alcuni casi è stato addirittura paragonato agli orrori dell’Olocausto.

Anche se in forma meno aggressiva, il pregiudizio antiebraico è anche un fatto di casa nostra, un mix di classico odio xenofobo verso una minoranza, di angosciante fobia verso un ipotetico complotto giudeo-massonico, di antico preconcetto religioso. Una ricerca condotta dal Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano mostra un quadro sostanzialmente equilibrato, con il 56% di italiani che si considera relativamente estraneo a posizioni antiebraiche e il 44% che mostra invece qualche pregiudizio. Tra questi ultimi il 10% ritiene gli ebrei non del tutto italiani; l’11% li considera ricchi e potenti, manipolatori delle leve politiche e finanziarie del paese e più fedeli ad Israele che al paese di appartenenza; il 12 % è convinto che strumentalizzino la Shoah per giustificare la politica dello Stato ebraico. Il restante 12% è invece legato ad una serie di stereotipi negativi, sia classici che contingenti, che li classifica come antisemiti anche se il pregiudizio non è del tutto definito ed è decisamente inferiore a quello rivolto coltro altre minoranze.

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