di mazzetta

Sul finire del 2003 è scoppiato il maggiore scandalo sulla proliferazione nucleare della storia. Uno scienziato pachistano, A.Q. Kahn, fu accusato di gestire una rete internazionale dedita alla vendita di hardware e software utile alla costruzione di armi nucleari. In realtà Kahn era da anni accusato di questi traffici, ma senza conseguenze. Quella volta invece le prove erano troppo evidenti e la denuncia troppo sonora per far finta di niente, provocando grande imbarazzo sia in Pakistan che negli alleati Stati Uniti, che erano perfettamente al corrente dei traffici, ma che li tolleravano come hanno sempre tollerato tutto il programma atomico pachistano. La storia di Kahn non è però quella di un avido pazzo che gira per il mondo vendendo segreti atomici, ma quella ben più densa di significati della “bomba atomica islamica”, un progetto annunciato pubblicamente negli anni '70 che vede associati da allora diversi paesi islamici: Pakistan, Arabia Saudita, Libia ed Iran, che da allora ad oggi hanno finanziato il programma atomico pachistano. L'accordo prevedeva e prevede che il Pakistan sviluppi un moderno programma atomico e che poi fornisca i paesi associati tecnologia o armi atomiche a richiesta. Per portare al successo il programma atomico pachistano, Kahn ha costruito attraverso i decenni un catena di società che vanno dall'Europa al Sudafrica, da Dubai alla Malaysia, ciascuna specializzata nella costruzione o nel reperimento di particolari o singole attrezzature. Lo scandalo scoppia proprio perché in seguito all'accordo che sancisce la distensione tra Libia e Stati Uniti, il governo di Gheddafi consegna agli americani macchinari e tecnologia del tutto simili a quelli che possiede l'Iran, per il possesso dei quali è indicato al mondo come una minaccia planetaria.

Dell'inquietante circostanza per la quale la Libia di Gheddafi fosse dotata di quelle stesse cosucce però non ne ha discusso nessuno, non negli Stati Uniti, non l'Europa e ancora meno l'Italia, dove ben pochi sanno che la Libia stava montando un programma nucleare a pochi chilometri dai sacri confini. Nell'occasione Gheddafi non manca però di fare un dispetto: i suoi ufficiali dichiarano all'AIEA che il fornitore del programma atomico è il Pakistan.

La parte più inquietante del progetto della “bomba atomica islamica” è però quella che attiene alla possibilità per i paesi associati di ricevere ordigni nucleari made in Pakistan e questa è ancora meno esplorata e discussa dai media e dalla politica. Un vero peccato, perché la possibilità che Gheddafi si armi con atomiche dopo aver rottamato il programma nucleare libico non è per nulla scongiurata, così come sarebbe interessante da discutere la possibilità che Iran ed Arabia Saudita detengano già un piccolo arsenale atomico.

Possibilità molto concreta nel caso dell'Arabia Saudita, che non spiegherebbe altrimenti l'acquisto e i tentativi d'acquisto di qualche decina di missili a medio-lungo raggio che, privi di testate nucleari, perdono di senso tattico riducendosi a costosi petardi. C'è poi il fatto indubitabile che, nel consiglio che presiede al programma atomico pachistano, c'è un principe saudita a tutela del maggior investitore; e ci sarebbe da chiarire anche la periodica migrazione di scienziati nucleari pachistani in Arabia Saudita o l'avanti e indietro di cargo militari che dal Pakistan hanno fatto la spola con le basi saudite.

Tutto questo però non esiste, tutta la narrazione sul caso è stata ridotta alla rete criminale diretta da un capro espiatorio, individuato in Kahn. Kahn però non è uno stupido e, quando Musharraf lo mise agli arresti e lo accusò offrendolo in sacrificio alle apparenze, replicò duramente, sostenendo di aver agito con il governo e su indicazione del governo e di essere pronto a mostrare tonnellate di documenti per provarlo, documenti saggiamente portati al sicuro dalla figlia all'estero. Kahn godeva e gode di enorme popolarità: in quanto “padre della bomba” pachistana ed islamica è un eroe del nazionalismo pachistano che con l'atomica ha messo fine all'inferiorità strategica nei confronti della odiata India. Ma è anche un eroe della masse arabe, perché come disse Ali Bhutto, padre di Benhazir Bhutto, la bomba pachistana rappresenta la risposta alle atomiche cristiane, ebree ed indù, un asset strategico irrinunciabile in un mondo nel quale tutti i potenziali nemici dell'Islam sono dotati di armi atomiche.

La cosa è finita in farsa, con Kahn e Musharraf che sono andati in televisione in prima serata ad inscenare un teatrino imbarazzante. Kahn ha confessato di essersi comportato male per avidità e Musharraf ha dichiarato al popolo che perdonava l'eroe che aveva sbagliato. Kahn è finito così ai domiciliari e la questione si è chiusa. Agli americani e agli ispettori dell'AIEA Musharraf non ha concesso di interrogare Kahn per motivi di sicurezza nazionale e tutto si è risolto in un nulla di fatto.

In questi giorni il governo di Alì Zardari, vedovo Bhutto, è in grosse difficoltà. Si moltiplicano gli attentati e la violenza, mentre il governo cerca di fare quello che faceva Musharraf: combattere un po' gli islamici per compiacere gli americani senza passare per traditore o servo dell'impero. Così dopo una serie di insuccessi clamorosi, il debole premier ha pensato di guadagnare benevolenza presso i conservatori ed i nazionalisti, liberando Kahn dai domiciliari. Questi è riapparso sulla scena pubblica carico come non mai, dicendosi incurante di cosa possano pensare all'estero della sua liberazione e annunciando che a lui interessa solo l'opinione dei pachistani.

Fine dello scandalo, dentro e anche fuori del Pakistan, nonostante in numerosi paesi siano stati aperti pesanti e complessi procedimenti giudiziari a carico degli associati al network. In Sudafrica, l'unico condannato, Gerhard Wisser, ha preso diciotto anni, ma per lui solo obbligo di dormire a casa la notte per questo periodo, avendo raggiunto un accordo con il procuratore e collaborato all'indagine. Peggio è andata in Svizzera, con gli elvetici che sono rimasti con un pugno di mosche in mano dopo che una serie di interventi da parte di vari governi hanno coperto di immunità gli indagati o distrutto migliaia di documenti per ragioni di “sicurezza”. In Germania restano le briciole di un processo contro un gruppo di persone e società che ha venduto alla Libia materiale utile al programma atomico, forse un industriale resterà con il cerino in mano, ma non è detto.

Quello che impressiona in questa storia è il bassissimo grado di attenzione che suscita presso i media occidentali. Basta pensare a quanto si discute del programma nucleare iraniano e al fatto che in quell'occasione nessuno riesca mai a nominare le responsabilità del Pakistan o a quanto si sia mai discusso del programma atomico di Gheddafi o delle atomiche saudite, per rendersi conto che sulla storia è calato un pesante velo di silenzio a condonare alleati e complici. Altrettanto evidente è che, come da tradizione, la narrazione pubblica sugli armamenti nucleari continui ad essere pesantemente artefatta, plasmata su realtà di comodo utili a tenere il dibattito pubblico a distanza di sicurezza questioni inquietanti.

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