di Eugenio Roscini Vitali

Belgrado non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo-Metohija e lo status della provincia non deve essere collegato all’integrazione serba nell’Unione Europea: a dirlo è il presidente Boris Tadic che, in un articolo pubblicato dal quotidiano statunitense Washington Times, parla della separazione unilaterale del Kosovo-Metohija e del processo di autodeterminazione conclusosi con la dichiarazione letta un anno fa dal premier Hashim Tachi come di un’aperta violazione alla Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite e del mancato rispetto del Documento finale di Helsinki. Nel pezzo, intitolato “A judicial approach on Kosovo”, Tadic ribadisce che in un paese democratico la secessione non può essere imposta con la forza e che la posizione serba è dettata dalle norme contenute nella Costituzione e dalla necessità di mantenere inviolati i suoi confini, un elemento essenziale che non può essere ignorato e che ha già indotto gran parte dei paesi membri delle Nazioni Unite a prendere le parti di Belgrado. Durante dell’esercitazione militare Sretenje 2009, svoltasi a Novi Sad il 14 febbraio scorso, Tadic ha confermato la posizione di Belgrado: assumere un ruolo determinante per la stabilità e la sicurezza della regione, senza comunque rinunciare a difendere l’integrità territoriale per la quale è disposto a ricorre a tutti mezzi i giuridici e diplomatici a disposizione. Parlando del della minoranza serbo-kosovara e ricordando che il Kosovo-Metohijae è una questione che riguarda l’intera regione balcanica e la stessa Europa, il presidente ha richiamato l’attenzione sul disegno di legge del nuovo statuto provinciale della Vojvodina, un esempio di autonomia garantita dalle norme della Costituzione che non mette a repentaglio l’integrità della Serbia ma che tutela i diritti di 2 milioni di persone, abitanti di in una provincia dalla complessa struttura etnica ma dall’ampia autonomia.

A dodici mesi di distanza dalla secessione il sogno albanese di un Kosovo indipendente è ancora lontano e ancora più lontane sembrano essere le distanze tra Belgrado e Pristina. Proprio grazie all’ambigua definizione di sovranità controllata, cosa che non ha soddisfatto nessuna delle due parti ed ha costretto la comunità internazionale a mantenere intatte quelle prerogative di governo che sarebbero invece dovute passare in mano a Pristina, il piano Martti Ahtisaari per il Kosovo-Metohijae del febbraio del 2007 si è arenato. Gran parte delle responsabilità di questo insuccesso ricadono sicuramente su chi ha gestito la crisi, chiudendo gli occhi su una prematura dichiarazione di indipendenza per poi correre ai ripari sovrapponendo al processo in atto un secondo documento: il “Piano Ban Ki-Moon”.

Suddivisa in sei punti, la proposta della Nazioni Unite mette infatti in discussione uno dei cardini del progetto kosovaro di autodeterminazione: il presidente Fatmir Sejdiu e il primo ministro Hashim Thaci sono sempre stati concordi nell’affermare che la Costituzione, nata 119 giorni dopo la dichiarazione di indipendenza, si basa in gran parte su quanto proposto dal piano Ahtisaari ed è indirizzata a tutto il territorio kosovaro, compreso l’enclave settentrionale di Kosovska Mitrovica abitato dai serbi. Al contrario, Ban Ki-Moon ha proposto un piano che rimette in discussione l’integrità territoriale dell’ex provincia serba e l’autorità nazionale istituita con il placet degli Stati Uniti, come nel caso della polizia che nelle zone serbe dovrebbe far capo all’Onu e in quelle albanesi all’Eulex, la nuova missione dell’Unione Europea in Kosovo, o dei tribunali territoriali, che in pratica dovrebbero applicare una sola legge ma con due strutture interpretative diverse, o i confini, che continuerebbero ad essere vigilati dalla missione KFOR della Nato. Tutti punti che contribuirebbero a dividere ulteriormente una regione già divisa e che renderebbero il Kosovo-Metohijae un protettorato permanente della comunità internazionale.

E’ quindi ovvio che a questo punto Pristina non sia assolutamente intenzionata a portare avanti un’azione volta a ripensare all’indipendenza kosovara come un grande errore, una posizione che il premier Thaci ha ribadito allo stesso capo della UNMIK, Lamberto Zannier, e che tende a rilanciare il piano Ahtisaari. Di tutt’altra opinione è invece Belgrado che nel rinvio dell'attuazione della proposta Ban Ki-Moon vede un grave pericolo d’instabilità politica e sociale, una minaccia contro la minoranza serba che spera nella divisone del territorio tra un nord serbo e un sud kosovaro. Nell’applicazione del documento proposto da Martti Ahtisaari, la Serbia ritiene infatti che ci siano non poche ombre, fatti che pongono dei limiti invalicabili alla democratizzazione dell’ex provincia: ad esempio la Commissione nata per lo studio e l’attuazione della Carta costituzionale non comprende più al suo interno i tre rappresentanti del minoranza serbo-kosovara e i tre inviati di Belgrado e, a nove mesi dall'approvazione della Costituzione, devono essere ancora indette quelle elezioni che erano uno dei punti cardine del piano Ahtisaari, elezioni promesse più volte dallo stesso presidente Fatmir Sejdiu ed ora rinviate al 2011.

C’è poi la denuncia fatta dai deputati dell’assemblea dei comuni serbi del Kosovo-Metohijae, che in una riunione svoltasi a Zvecani, località a nord di Mitrovica, hanno annullato tutti gli atti istituiti dal governo presieduto da Hashim Tachi ed hanno sancito la sovranità serba nella parte settentrionale della regione. I serbo-kosovari, che riconoscono come uniche missioni legittime l’Unmik e KFOR, si riferiscono in particolare ad una implementazione non in linea con la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza: la recente formazione delle Forze di sicurezza del Kosovo, le unità permanenti destinate a sostituire il Kosovo Protection Corps (Kpc), il sevizio di sicurezza nato dalla demilitarizzazione dell'armata di liberazione albanese (Uck) ed istituito nel settembre 1999 dall’Onu come forza di protezione civile.

Mentre Hashim Thaci ipnotizza la maggioranza albanese e per le vie di Pristina viene festeggiato il primo anno di indipendenza, la separazione unilaterale diventa sempre più difficile, un problema complesso che ne le Nazioni Unite ne l'Unione Europea sono in grado di risolvere. Al sostegno americano al Kosovo, Belgrado risponde con l’appoggio incondizionato di Mosca che, per voce del capo della diplomazia, Sergej Lavrov, ha confermato l’intenzione russa di non riconoscere il nuovo status del Kosovo-Metohija se non in base a quanto determinato dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza. Una posizione che il Cremlino potrebbe usare per cercare di riportare la Russia in Europa senza cadere nella trappola dello scontro frontale con gli Usa e superare le resistenze di Bruxelles sulla proposta presentata il 4 giugno scorso dal presidente Dmitrij Medvedev: stipulare un nuovo accordo sulla sicurezza nel vecchio continente che vieti l’uso della forza, rispetti la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi indipendenti e garantisca il controllo sugli armamenti.


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