di Mario Braconi

Anche se sono passati ormai sei anni dall’invasione dell’Iraq, molti in Inghilterra non si sono rassegnati: la partecipazione del loro Paese ad una guerra assurda proprio non riescono a tollerarla. Ed Davey, responsabile Esteri dei Liberaldemocratici, lo ha detto chiaro e tondo in un’intervista a BBC News Channel: “I politici che a suo tempo hanno preso queste decisioni, incredibilmente discutibili, dovrebbero essere chiamati a risponderne. Purtroppo il governo laburista ha costruito un muro di segreti che, dal 2003 in poi, di fatto ha impedito alla verità di filtrare. Continuiamo a chiedere una commissione di inchiesta sulla guerra in Iraq: il governo, che a parole sembra sostenerla, non l’ha mai messa all’ordine del giorno”. Sembra che Ed Davey, e con lui tutti gli inglesi che si sono opposti alla guerra e sono curiosi di sapere come vengano prese decisioni così gravi e tragiche in un paese democratico, dovranno armarsi di pazienza ed aspettare: il Ministro della Giustizia britannico, e “blairite” di provata fede Jack Straw, con un colpo di mano tutto politico ha opposto il veto governativo alla pubblicazione dei verbali delle sessioni di governo del 13 e del 17 marzo 2003, quelle cioè nelle quali veniva discussa la legalità (!) del conflitto in Iraq.

Il Freedom of Information Act 2000 (conosciuto anche con l’acronimo di FOI) è la legge del Regno Unito attraverso la quale il cittadino può far valere nei confronti degli organismi pubblici il suo “diritto di sapere”. Le questioni relative all’applicazione di questo diritto vengono sollevate dall’Information Commissioner di fronte ad un apposito tribunale, l’Information Tribunal. Orbene, a fine gennaio l’Information Tribunal ha ordinato ai Ministri di rendere pubbliche le verbalizzazioni dei consigli dei ministri nei quali, nel 2003, si era discussa le legittimità dell’invasione dell’Iraq.

Un’eccezione, dato che gli appunti delle sessioni del governo in Inghilterra sono secretate per trent’anni; in questo frangente, invece, il Tribunale ha deciso di dare il via libera perché “la decisione di impegnare le forze armate nell’invasione di un altro paese è un momento [politico] cruciale” - specialmente quando sono stati seriamente messi in discussione i processi decisionali del governo in quella fase. Qui il riferimento è al “Butler Report”, un’inchiesta pubblicata nel 2004 da Lord Butler, le cui conclusioni erano, tra le altre, le seguenti: l’Iraq non costituiva una minaccia più grave di altri paesi; l’intelligence ha avuto un ruolo limitato nel determinare la legalità del conflitto; la decisione di Blair di andare in guerra era figlia dell’11 settembre, non di un (inconsistente se non inesistente) programma bellico di Saddam Hussein.

Richard Thomas, l’Information Commissioner, si è detto soddisfatto della decisione del Tribunale, visto che “l’interesse pubblico a diffondere queste informazioni ha un peso superiore all’altro interesse pubblico di mantenerla riservata. Così si aiuta la gente a comprendere nel dettaglio le scelte del governo.”

Dopo il via libera dell’Information Tribunal, per impedire la pubblicazione, al governo restavano due strade: opporsi all’Alta Corte (High Court) entro 28 giorni, facendo leva su argomentazioni di diritto, oppure, entro 20 giorni, imporre un veto alla pubblicazione, utilizzando la scappatoia offerta dalla Section 53 del Freedom Of Information Act. Jack Straw ha optato per quest’ultima soluzione, sia pure non a cuor leggero: “Bisogna trovare un equilibrio tra la trasparenza e il mantenimento della nostra attuale struttura di governo democratico”, si è giustificato il Ministro, che ha evidentemente un’idea dell’interesse pubblico diametralmente opposta a quella di Richard Thomas: “Il danno prodotto dalla pubblicazione delle minute in questa circostanza”, chiosa il Ministro, “avrebbe surclassato qualsiasi interesse pubblico alla loro divulgazione”.

La decisione Jack Straw ha scontentato un po’ tutti: i colleghi, che hanno accolto il suo discorso con una salva di grida (“vergogna!”); le ONG, che hanno definito “disastroso” il veto, ricordando come Ministri convinti della bontà delle proprie argomentazioni avrebbero dovuto evitare di giocare sporco, preferendo un ricorso all’Alta Corte per tentare di rovesciare un verdetto evidentemente scomodo; e la stessa Information Commissioner, che ha dichiarato alla BBC che “non c’è niente di peggio dell’uso del veto per azzerare i progressi fatto in questi anni nella direzione di una maggiore trasparenza ed apertura del Governo da quando è stato emanato il Freedom of Information Act.

E in effetti, benché secondo il notista politico della BBC, Nick Robinson, negli appunti delle sedute del governo vengano verbalizzati solo gli interventi senza specificare chi sia la persona che parla, è chiaro che il 13 e il 17 marzo del 2003 si è detto qualcosa che è meglio che i cittadini continuino ad ignorare. Soprattutto, sembra esistano sospetti sul modo in cui l’allora Primo Ministro Tony Blair gestì le relazioni del Lord Goldsmith, allora “senior legal advisor” del Governo, chiamato a valutare la legalità del conflitto in Iraq.

In una prima nota a Blair, datata 7 marzo 2003, Goldsmith avrebbe avanzato seri dubbi sulla legittimità di imbracciare le armi in assenza di una seconda risoluzione ONU. Eppure, in un secondo documento, del 17 marzo 2003, l’advisor abbandonò ogni perplessità, mettendo il suo imprimatur sul conflitto, miracolosamente divenuto legittimo.

Sono molte le cose che restano da capire: come mai la prima relazione (quella critica e argomentata) non fu mai mostrata ai membri del Governo e fu anzi pubblicata sulla stampa solo nel 2005, mentre quella del 17 marzo (entusiasticamente favorevole) fu loro somministrata in fretta e furia mentre veniva diffusa anche all’Esercito e diffusa sui media? Come si spiega la vergogna di un senior legal advisor del Governo che in dieci giorni rovescia il suo verdetto in modo tanto clamoroso? Finché persisterà l’omertà del Governo, pronto ad opporre i suoi veti al giusto desiderio (e diritto) di sapere dei cittadini, si può solo indovinare…

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