di mazzetta

L'esercito pachistano ha conseguito un'importante vittoria militare nella provincia di Bajur, mettendo in fuga qualche migliaio di talebani (afgani, pakistani con qualche arabo e qualche uzbeko di rinforzo) e uccidendone più di mille. Questa sembra l'unica notizia positiva che giunge dal Pakistan da mesi, una vittoria militare tutto sommato modesta. Per il resto è notte fonda per il Pakistan, piegato dalla crisi economica e della disgrazia di ritrovarsi con Azif Zardari alla presidenza in un momento del genere. Zardari non sta seguendo politiche troppo diverse da quelle del suo predecessore Musharraf, le analogie sono anzi impressionanti, ma a peggiorare la situazione c'è ora la crisi e un consenso politico in caduta libera, con il presidente in lite anche con il capo del governo che ha nominato lui stesso. Zardari è in un posto nel quale non dovrebbe stare. Soprannominato “Mister 10%” per via delle tangenti che esigeva su ogni affare pubblico quando la moglie era al governo, Zardari si è fatto undici anni di prigione e sarebbe stato destinato a brigare nell'ombra se un attentato non avesse ucciso la moglie, Benhazir Bhutto, lanciandolo nell'empireo della politica pachistana che ancora oggi è una questione tra grandi famiglie. Alla morte della moglie però Zardari non prese il suo posto alla guida del partito, perché giudicato impresentabile, tanto che si preferì nominare alla carica il figlio, ancora impegnato negli studi e nuovo alla politica, con il padre impegnato in una reggenza in attesa che completi la sua educazione.

Il PPP dei Bhutto vinse le elezioni e formò un governo con Nawaz Sharif, come Bhutto già primo ministro e già esiliato per malversazioni. Era stato grazie ad un complesso accordo, che il generale Musharraf aveva ceduto la guida dell'esercito in cambio della presidenza repubblica, nell'ambito del quale la Corte Suprema rimosse le pendenze giudiziarie di Bhutto e Sharif e per conseguire il quale Musharraf non esitò a silurare un gran numero di giudici della Corte Suprema e a cambiare la costituzione, che avrebbe impedito a Bhutto e Sharif di ricandidarsi in quanto entrambi avevano già servito per due mandati, limite massimo posto dalla costituzione pachistana.

A guastare la complessa manovra benedetta da Washington, che dopo anni e anni era giunta finalmente a capire che con i doppi e tripli giochi di Musharraf la War on Terror non si poteva vincere, è arrivato però l'attentato a Benhazir Bhutto, che ha proiettato sulla scena Zardari in un momento delicatissimo per il paese. Dopo pochi mesi dalle elezioni Musharraf fu infatti costretto a dimettersi dalla nuova carica di presidente, per la quale aveva abbandonato quella di capo dell'esercito, minacciato da una richiesta di impeachment. A questo punto, disgraziatamente, Asif Zardari è diventato presidente del Pakistan.

Da allora l'unico suo successo è stato l'aver ottenuto dal Fondo monetario Internazionale qualche miliardo di dollari per mantenere a galla il paese che minaccia di sprofondare sotto i colpi della crisi, ma per il resto sembra che sia riuscito solo a farsi dei nemici senza risultati apprezzabili. Con il capo del governo (che è del suo partito) è entrato in contrasto quando un suo uomo ha ammesso pubblicamente che gli attentatori di Mumbai provenivano dal Pakistan e lui ha cercato di opporsi al suo licenziamento, senza riuscirci. Con l'esercito è entrato in contrasto sulla politica nucleare, quando ha dichiarato che il Pakistan rinunciava alla dottrina del “primo colpo”, il nuovo capo dell'esercito Kayani (delfino di Musharraf) lo ha zittito sgarbatamente. Con gli americani è entrato in contrasto per aver fatto la pace con i talebani della valle di Swat e per aver tolto dai domiciliari A. Q. Kahn, il padre della bomba atomica pachistana, capro espiatorio dei traffici nucleari pachistani.

Zardari non gode di buona stampa, nemmeno all'interno del suo partito e per ora regge perché in definitiva l'esercito è ancora troppo depresso dall'uscita di scena di Musharraf e dai fallimenti degli anni passati per pensare di risolvere le cose con il tradizionale golpe. Per ora l'esercito sembra seguire la richiesta americana di un maggior impegno nelle aree tribali contro talebani e simili, ma i risultati non sono incoraggianti e le tattiche sono sempre quelle. Una confusione che ha spiazzato pure l'India, che Bush voleva bastione asiatico e che ora si trova ad aver programmato un riarmo del tutto inutile in assenza di nemici spendibili, posto che ora anche la Cina sembra essere stata ammessa a dire la sua sull'Afghanistan e che il Pakistan non è certo in grado di sostenere la parte dell'arci-nemico minaccioso.

A proposito di deja-vu pachistani, è questa la quarta volta negli ultimi anni che l'esercito attacca le aree tribali per poi concludere una pace e risarcire le tribù in cambio di vaghe promesse sull'ostacolare gli affari di quelli che vanno e vengono dal vicino Afghanistan. Di nuovo sembra esserci l'atteggiamento degli americani, che in Afghanistan come in Pakistan hanno deciso di seguire l'unica tattica che in Iraq abbia dato qualche risultato. Così, anche nelle aree tribali, dove da qualche tempo regnano i talebani e altre formazioni come Lashkar el Toiba, l'idea è quella di dare soldi e armi ai locali perché collaborino a cacciare gli “stranieri”, anche a costo di concedere loro di sostituire le leggi del Pakistan con la Sharia in nome dell'autonomia.

Se in alcune zone del Pakistan dove i talebani hanno imposto la loro regola decapitando gli anziani che si opponevano la cosa potrebbe avere un senso e chiamare all'azione molti che hanno in lista una faida personale con i talebani, altrove e in Afghanistan il rischio di riarmare i nemici è altissimo, anche se i tentativi di corruzione degli americani si sono fatti sempre più sofisticati, fino a giungere a regalare il magico Viagra agli anziani capi della tribù. All'apparenza un gesto ridicolo, ma pare di capire che il prestigio di un capo locale tragga grande giovamento dall'essere sessualmente attivo e che quindi il dono soddisfi ben più delle libidini personali.

Quel che resta alla fine è la sensazione di un pantano che nemmeno la nuova amministrazione Obama sembra essere molto attrezzata ad affrontare, con il Pakistan che resta un'incognita come alleato e come pedina nel grande scacchiere asiatico. Ad appena un mese dall'insediamento della nuova amministrazione americana il paese è in confusione e non aiuta certo che Zardari si agiti, invece il novello presidente è riuscito ad ottenere dalla Corte Suprema una pronuncia che stronca la carriera politica del rivale Sharif e anche quella di suo fratello che, accusato delle stesse malversazioni, dovrebbe ora lasciare il governo del Punjab, la regione più ricca del paese. A presiedere la Corte Suprema Zardari non ha richiamato il Chief of Justice Chaudri, cacciato da Musharraf e reclamato a gran voce dall'opinione pubblica, un atto che era stata una delle sue più importanti promesse elettorali.

La geniale iniziativa a portato migliaia di sostenitori di Sharif inferociti nelle strade e amplificato ancora di più la sensazione di caos istituzionale, provocando una sostanziale distrazione dell'esercito e della polizia dal confronto con il terrorismo interno e deprimendo ancora di più quel che resta della borsa pachistana. Tanto che il prestito del FMI sembra ora non bastare a tenere a galla il paese e che anche a questo dovranno provvedere i contribuenti americani. Zardari sembra procedere a testa bassa nel fare terra bruciata di qualsiasi nemico o avversario interno, una tattica che appare suicida, non disponendo di un consenso o di appoggi sufficienti a spadroneggiare in un paese storicamente noto per le sue sanguinose divisioni. Inutile dire che a Washington le quotazion di Asif sono già andate a picco, senza però che all'orizzonte ci siano idee per un suo rapido “bail out”.

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