di Eugenio Roscini Vitali

Al Pentagono è ormai dissenso aperto: c’è chi non nasconde le sue preoccupazioni sul ritiro delle truppe dall’Iraq, chi pensa che lo sforzo militare in Afghanistan potrebbe diventare eccessivo, chi è certo che l’Iran abbia le capacità è il materiale sufficiente per realizzare la bomba atomica e chi infine smentisce. A dare il via alla prima querelle dell’era Obama è l’ordigno nucleare iraniano: da una lato l’annuncio dato ai microfoni della Cnn dall’Ammiraglio Mike Mullen, comandante dello Stato Maggiore interforze degli Stati Uniti, nominato da George W. Bush a giugno del 2007: questi si dice convinto che Teheran avrebbe una quantità di uranio arricchito superiore di un terzo rispetto alle previsioni e che sarebbe già in grado di sviluppare l’ordigno. Dall’altro la rapida smentita dello stesso segretario alla Difesa, Robert Gates, uno dei ministri repubblicani confermato da Barack Obama che sul canale Nbc ha detto di essere certo che al momento l'Iran non è neanche vicino ad avere il quantitativo di uranio arricchito necessario alla costruzione di una bomba atomica e ha la questione chiuso con un lapidale “c’è ancora tempo per convincerli a tornare indietro”. La tesi del segretario alla Difesa, che si sofferma piuttosto sulla capacità missilistica iraniana e sulla mancanza di volontà dimostrata da Teheran nel conformarsi alle risoluzioni Onu, frena anche gli effetti della denuncia dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA) che in un report pubblicato lo scorso 20 febbraio, parla di un preoccupante aumento della produzione di uranio da parte della Repubblica Islamica: 171 chili oltre le previsioni che porterebbero gli stock depositato negli impianti di Natanz dagli 839 chili registrati a novembre a più di una tonnellata, quantità ampiamente sufficiente ad ottenere più di 20 chilogrammi di materiale da fissione, limite minimo per alla produzione di un ordigno atomico. Il rapporto dell’IAEA evidenzia il fatto che il materiale radioattivo in questione, la cui concentrazione di U235 è per ora inferiore al 5% (LEU, Low enriched uranium), potrebbe essere sottoposto ad ulteriori fasi di arricchimento che lo porterebbero ad una concentrazione di isopoti U235 superiore al 85%, livello utilizzato nella produzione di armi atomiche.

Anche se il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hassan Ghashghavi, ha dichiarato che le accuse del Pentagono sono prive di fondamento e che la Repubblica Islamica non sta cercando di ottenere la bomba atomica, la situazione è indubbiamente delicata. Per dimostrare le intenzioni iraniane è innanzitutto necessario verificare se e quanto uranio sia già stato sottoposto a processi di arricchimento e se l’Iran abbia qualche intenzione di uscire dal Trattato di non proliferazione, cosa fondamentale per evitare la supervisione dei tecnici dell’Agenzia atomica. Gli elementi in possesso disegnano perciò un quadro piuttosto approssimativo e non permettono certo un’accusa precisa; un po’ come nel caso del sito siriano di al-Kibar dove i campioni prelevati durante una delle ultime ispezioni presenterebbero una concentrazione di particelle di uranio tale da rafforzare l’ipotesi secondo cui la struttura potrebbe essere un reattore nucleare in via di costruzione, senza però dimostrare che il materiale non proviene dai missili israeliani che nel settembre 2007 hanno colpito e distrutto la struttura.

Come afferma Gates, quello che senza ombra di dubbio è dimostrabile è la capacità e la volontà iraniana di colpire obiettivi che si trovano a grande distanza; secondo Washington sarebbe proprio la produzione di vettori balistici la vera dimostrazione della violazione iraniana alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. I Guardiani della Rivoluzione sono infatti in possesso di grosse quantità di Shahab 3, missili balistici a medio raggio (MRBM) derivati dal nord coreano Nodong-1, che possono trasportare testate nucleari a grappolo e che sono in grado di percorrere più di duemila chilometri (1.240 miglia), capaci quindi di colpire non solo Israele ma anche i confini turchi e le basi occidentali in Medio Oriente e nell’Asia centro meridionale, e la cui efficienza è stata dimostrata con successo durante l’esercitazione Grande Profeta III tenutasi la scorsa estate nel Golfo Persico.

Sul piano diplomato anche l’Iran si sta muovendo. La scorsa settimana l’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rasanjani, leader dei conservatori moderati molto vicino all’Ayatollah Ali Khameni, avrebbe invitato Obama ad aprire negoziati diretti con Teheran. In realtà gli israeliani credono che la proposta del regime islamico altro non é che un escamotage per guadagnare tempo, cercare un compromesso che gli permetta comunque di portare avanti il progetto atomico approfittando soprattutto del fatto che per risolvere la guerra in Afghanistan gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Iran. Altro soggetto importante è la Russia che pur avendo sospeso il progetto per il dispiegamento di missili Iskander, decisione presa in seguito al blocco americano sullo scudo antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca, continua a fornire combustibile nucleare all’Iran per la centrale nucleare di Bushehr.

Secondo il direttore del dipartimento per l’Asia del ministero degli Esteri russo, Alexander Maryasov, il reattore dovrebbe funzionare a pieno regime entro la prima metà del 2009, cosa confermata dal ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, e dall’Organizzazione iraniana per l’energia atomica che considera il sito già completato al 95%. Serghei Kiriyenko, attuale direttore dell'Agenzia atomica federale russa (Rosatom) e amministratore delegato della compagnia appaltatrice Atomenergoprom, ha dichiarato che i lavori di costruzione sono praticamente terminati e che si è ormai passati alla fase di preparazione, fase che richiederà non meno di qualche mese e che comprende l’immissione nel reattore di combustibile “virtuale” a base di piombo, materiale che verrà poi sostituito con le barre di materiale fissile.

In realtà, nella travagliata storia del “nucleare degli ayatollah”, la vera novità è il fatto che dopo gli anni di oscurantismo guerrafondaio negli Stati Uniti si stanno creando due diverse correnti di pensiero: la prima che, orfana della politica e delle lobby dei “cannoni”, punta a stigmatizzare le aperture condizionate della Casa Bianca, sottolineando il fatto che l’Iran è ormai arrivato ad un punto di non ritorno; l’altra, più moderata ed incline al dialogo, che prova a scardinare il palazzo con le armi della diplomazia e spera che anche ad aprile a Teheran si insedi un presidente più moderato. Che si ripresenti in pratica l’opportunità del 2003, quando il presidente Mohammad Khatami parlò di confronto tra Islam e civiltà occidentale come possibilità di dialogo. Una proposta che sul fronte interno portò alla rottura con lo schieramento khomeinista, ma che George W. Bush non seppe comprendere e che si concluse con la vittoria politica del partito dei militari.

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