di Mariavittoria Orsolato

Pare sia finalmente finita l’odissea dei 140 migranti stipati sul mercantile turco Pinar, che lo scorso giovedì li aveva tratti in salvo nel canale di Sicilia scatenando un braccio di ferro diplomatico tra l’Italia e Malta. Un gruppo di naufraghi, circa una ventina, sono giunti ieri mattina a Porto Empedocle su un guardacoste della Guardia di finanza, altri 90 sono arrivati successivamente a bordo della nave Danaide della Marina militare, mentre i restanti 20 erano già stati portati domenica a Lampedusa, assieme alla donna incinta trovata cadavere sulla Pinar dai primi soccorritori. Ma andiamo per ordine. Il 16 aprile il cargo turco Pinar avvista due barconi alla deriva; essendo in acque maltesi, il capitano Asik Tuygun contatta le autorità portuali di La Valletta che, immediatamente, si offrono di coordinare i soccorsi e indicano alla nave porta container diretta a Sfax, in Tunisia, di fare rotta verso il porto più vicino, ovvero Lampedusa. Le autorità italiane - pur inviando un’equipe medica per accertarsi delle condizioni dei migranti - non autorizzano il Pinar a dirigersi verso l'isola e lo bloccano a 25 miglia a largo della maggiore delle Pelagie. Perché? La ragione è che al momento del salvataggio il mercantile turco si trovava al limite delle acque Sar (Search and Rescue) di competenza del nostro Paese perciò, come suol dirsi, non era roba nostra. Immediatamente scatta il ping-pong di accuse tra Roma e La Valletta. Il ministro dell’Interno Maroni chiede a Malta di “assumersi le proprie responsabilità” e tira in ballo il commissario della Giustizia Ue, Barrot, affinché intervenga per risolvere la questione; ma la risposta del collega maltese, Carmelo Mifsud Bonnici, non tarda a pervenire: “Comprendiamo che la maggioranza di governo è in una posizione difficile, visto che ha vinto le elezioni promettendo proprio la riduzione degli sbarchi (ma) non è un problema nostro se l'Italia non vuole accettare gli immigrati”. Touché.

Le ore passano, i giorni pure e i 140 migranti rimangono sul ponte, esposti alle intemperie senza viveri né coperte. Intervengono allora le Ong, da Medicins sans Frontières all'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, che lanciano un appello affinché la situazione si sblocchi. Dopo tre giorni di estenuanti trattative Roma cede sulla base delle motivazioni umanitarie ma la polemica tra i due paesi mediterranei non accenna a placarsi. In un’intervista al Tg1, il ministro degli Esteri Frattini ribadisce che il governo maltese “non ha rispettato le regole sulla ricerca e soccorso in mare che affidavano a Malta la responsabilità di accogliere nel proprio Paese gli immigrati della Pinar”, ma da La Valletta le accuse rimbalzano.

Il premier maltese Gonzi pretende infatti l’appoggio dell’Ue, dal momento che “la procedura di soccorso effettuata da Malta è sempre stata la stessa. Abbiamo coordinato tutto come vuole la prassi in situazioni come queste”. Ed è proprio da Bruxelles che arriva la batosta. Il commissario francese Barrot, chiamato in causa da Maroni e Bonnici, ringrazia sentitamente l’Italia ma conviene con i maltesi sul fatto che la situazione della piccola isola mediterranea sia più difficile “dal momento che l'ampiezza del loro territorio è limitata”. Di questo ed altro si parlerà oggi a Strasburgo in occasione della riunione settimanale della Commissione Europea.

Il caso della nave Pinar non è l’unico nel suo genere, ma dovrebbe sicuramente essere l'ultimo: bloccare 150 persone in mare solo per scaramucce diplomatiche non è certo un esempio edificante e soprattutto non rende giustizia all’immagine degli “italiani brava gente”, quella che per capirci stiamo vivendo in diretta continua da due settimane e che non ammette riserve di nessun tipo (Annozero e Vauro ne sanno qualcosa). Ma allora perché si è arrivati a questo punto? “Esistono comunque le convenzioni che regolano il diritto internazionale marittimo”, spiega Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati, facendo riferimento alle Convenzioni per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Solas) e la convenzione sulla ricerca e soccorso in mare del 1979 (Sar). Alcuni emendamenti di queste due carte specificano come all’obbligo del comandante della nave di prestare assistenza, segua poi necessariamente l’obbligo degli Stati di collaborare nelle operazioni di soccorso, in modo da garantire la cura dei sopravvissuti e la loro rapida dislocazione in un luogo sicuro. “Il problema - spiega la Boldrini - è che questi emendamenti non sono stati firmati dal governo maltese e quindi è come se i due paesi facessero riferimento a due protocolli diversi”.

Ma la querelle tra Italia e Malta sui migranti ha anche un’origine, per così dire, geometrica: la delimitazione degli spazi marittimi mediterranei Sar. Se quello italiano è limitato al perimetro delle coste nostrane, quello maltese interessa un lembo di mare che va dalla Tunisia alle isole greche e - oltre a intersecarsi in più punti con quello italiano, come appunto nei pressi di Lampedusa - è obiettivamente sproporzionato al raggio d’azione delle autorità marittime. Nella lunga catena dello scaricabarile, l’ultimo anello è necessariamente quello dell’Unione Europea e dell’agenzia Frontex, il cui scopo è il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE e l'implementazione di accordi con i Paesi confinanti l'Unione per la riammissione dei migranti respinti lungo le frontiere. In molti l’hanno chiamata in causa in questi 4 drammatici giorni, ma l’organismo ha latitato nella stessa misura in cui sembra averlo fatto il buonsenso dei due paesi impegnati nel braccio di ferro.

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