di Michele Paris

Le brevi vacanze del presidente Obama a Martha’s Vineyard sono state animate negli ultimi giorni da alcune questioni che hanno riportato al centro del dibattito politico americano il tema delle torture eseguite in nome della lotta al terrorismo durante la precedente amministrazione. Nonostante la settimana fosse iniziata con l’annuncio di un portavoce della Casa Bianca che le “istruzioni” del presidente per i giornalisti erano di “rilassarsi e divertirsi”, la pubblicazione di un atteso rapporto del Dipartimento di Giustizia sugli abusi della CIA nelle carceri d’oltreoceano per presunti affiliati ad Al-Qaeda ha immediatamente innescato una valanga di polemiche. Ad animare la discussione e ad aggravare le divisioni a Washington, sono arrivate poi anche la notizia di un’imminente indagine sulle malefatte della principale agenzia di intelligence, la creazione di un nuovo team di esperti per condurre gli interrogatori dei detenuti sospettati di terrorismo e la conferma dell’utilizzo della discussa pratica delle deportazioni clandestine. Una task force appositamente creata dal neo-presidente all’indomani del proprio insediamento ad inizio anno, per rivedere complessivamente la politica di George W. Bush su interrogatori e detenzioni, ha stabilito la creazione di una unità specializzata nell’estrazione di informazioni dai detenuti sospettati di essere legati a reti terroristiche nei punti caldi del pianeta. Il cosiddetto “High-Value Detainee Interrogation Group” (HIG), approvato da Obama, sarà composto da agenti segreti e di polizia e, pur avendo sede presso l’FBI, finirà sotto la supervisione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, segnando così lo spostamento del controllo degli interrogatori dalla CIA alla Casa Bianca.

Tale trasferimento di responsabilità dovrebbe garantire l’abbandono dei metodi illegali autorizzati dall’amministrazione Bush, come la pratica del “waterboarding”, o simulazione di annegamento, peraltro già vietati da Obama all’inizio del suo mandato. A differenza del recente passato infatti, gli esperti selezionati dovranno basare le proprie tecniche di interrogatorio esclusivamente sulle direttive contenute nel manuale dell’esercito (“Army Field Manual”). L’unità speciale dovrà inoltre fissare una serie di pratiche ritenute maggiormente efficaci per ottenere informazioni, così da condividerle poi con le altre agenzie governative coinvolte negli interrogatori di prigionieri.

La decisione di porre l’HIG sotto diretta sorveglianza della Casa Bianca non comporterà tuttavia l’esclusione della CIA, che continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nella gestione dei sospettati di terrorismo. Quest’ultima circostanza rischia di attenuare i possibili effetti positivi delle modifiche al programma di interrogatori volute da Obama, con il pericolo di ridurre il tutto ad un semplice cambiamento di ordine burocratico.

La stessa task force presidenziale ha inoltre stabilito alcuni cambiamenti, ma non l’abbandono, alla famigerata pratica delle deportazioni segrete di presunti terroristi in paesi terzi (“rendition”) per essere sottoposti ad interrogatorio, quasi sempre con metodi di tortura. Tale consuetudine era iniziata durante la presidenza Clinton, per trovare poi rapidamente ampio spazio sotto Bush jr. dopo gli attacchi dell’11 settembre. I sospetti terroristi arrestati dall’intelligence americana venivano, e verranno, spediti clandestinamente verso altri paesi, spesso con precedenti ben poco confortanti in materia di diritti umani, per evitare ogni complicazione legale in caso di detenzione negli Stati Uniti.

L’amministrazione Obama si è affrettata a puntualizzare che ai detenuti sottoposti a deportazione verrà d’ora in poi garantito un giusto trattamento e che le torture e gli abusi degli anni precedenti saranno messi da parte. Contrariamente a quanto accadeva con George W. Bush, il Dipartimento di Stato avrà un ruolo fondamentale nel garantire la correttezza delle procedure di interrogatorio e, secondo fonti ufficiali, quei paesi nei quali i metodi di tortura sono all’ordine del giorno non saranno più considerati meta di trasferimenti di prigionieri.

Nonostante le rassicurazioni, è evidente e comprensibile lo sconforto delle varie associazioni a difesa dei diritti umani, le quali hanno fatto notare come già in passato le promesse di molti paesi di assicurare un trattamento umano ai sospettati, le cosiddette “assicurazioni diplomatiche”, non avevano potuto impedire il dilagare di abusi e scorrettezze. L’annuncio risulta particolarmente sconcertante soprattutto alla luce della posizione assunta da Obama durante la campagna elettorale per le presidenziali. Fin dal 2007, infatti, l’allora Senatore dell’Illinois aveva promesso di porre fine alla pratica dei trasferimenti segreti, una volta eletto. Secondo alcuni, d’altra parte, mettere fine alle deportazioni comporterebbe l’accettazione di nuovi detenuti sul suolo americano, alla quale si oppone la maggioranza del Congresso, o mettere ancora più a rischio la già complicata procedura di chiusura del carcere di Guantánamo.

La questione più scottante di questa fine estate è stata in ogni caso la pubblicazione di un rapporto sulle tattiche brutali di interrogatorio, realizzato dall’ispettore generale della CIA già nel 2004 e più volte tenuto segreto negli ultimi anni. In 109 pagine, spesso censurate, sono stati rivelati nuovi e pesanti abusi degli agenti dell’agenzia di Langley ai danni di detenuti nelle carceri segrete all’estero, tra cui minacce di uccidere e sottoporre a violenza sessuale i loro famigliari, finte esecuzioni, gravi percosse e intimidazioni sotto la minaccia di armi da fuoco. Complessivamente, oltre 100 sospetti sotto custodia degli americani sono morti in questi ultimi anni.

Secondo il rapporto, tali metodi d’interrogatorio avrebbero però consentito di ottenere informazioni fondamentali per l’identificazione di terroristi e per sventare nuovi attentati. Questi risultati tuttavia non hanno impedito allo stesso ispettore generale di sollevare pesanti dubbi circa la legalità e l’opportunità politica dei metodi adottati dalla CIA e, anche se non sempre, autorizzati dal Dipartimento di Giustizia. In risposta alla pubblicazione del rapporto, il Ministro della Giustizia Eric H. Holder ha disposto l’apertura di un’inchiesta ufficiale per stabilire l’opportunità di una vera e propria indagine criminale sui responsabili degli abusi.

La mossa del numero uno del Dipartimento di Giustizia è apparsa come un atto dovuto in seguito alle scioccanti rivelazioni del rapporto dell’ispettore della CIA e un tentativo di bilanciare la necessità di fare luce sulle vicende con il desiderio del presidente Obama di guardare avanti e non rimanere invischiato in dispute politiche con i membri della precedente amministrazione. L’indagine ordinata da Holder infatti si limiterà ad una dozzina di casi e riguarderà esclusivamente quegli agenti che si sono resi protagonisti degli abusi “sul campo”, lasciando fuori dall’inchiesta quanti stanno più in alto nella catena di comando ed hanno approvato e sanzionato i metodi di tortura.

Ad evitare un altro responso che come nei fatti di Abu Ghraib diede la colpa degli abusi al comportamento di un gruppo di poche “mele marce” ci proverà il procuratore del Connecticut John H. Durham. L’incaricato delle indagini da Holder è attualmente già titolare di un’inchiesta riguardante i misfatti della CIA, dal momento che sta investigando sulla distruzione nel 2005 di 92 videocassette di interrogatori con metodi brutali da parte di alcuni membri dell’agenzia di intelligence.

Le reazioni all’indagine disposta dal Ministro della Giustizia sono state in maggioranza critiche ed hanno spaccato in due il mondo politico americano. Se da sinistra si è sottolineato come ancora una volta verranno esclusi dall’inchiesta i consulenti legali del Dipartimento di Giustizia che hanno autorizzato le torture e gli stessi membri di spicco dell’amministrazione Bush, i repubblicani hanno messo in guardia dagli effetti negativi sulla lotta al terrorismo di un’indagine circa l’operato della CIA in questo ambito.

All’interno della stessa agenzia, d’altronde, le opinioni sui metodi illegali di interrogatorio non sono apparse unanimi nemmeno agli occhi dell’ispettore generale. L’analisi della corrispondenza di molti agenti con le rispettive centrali operative ha rivelato infatti il disagio, quanto meno per le possibili azioni legali a cui essi avrebbero potuto andare incontro nel condurre interrogatori di questo genere, e per il fatto che la stessa agenzia avrebbe potuto voltare loro le spalle in caso di future rivelazioni pubbliche.

La pubblicazione del rapporto, poi, ha finito per mettere nuovamente in una posizione delicata l’attuale direttore della CIA, Leon E. Panetta, già visto con sospetto da molti all’interno dell’agenzia per non avere un background legato all’intelligence. Pur condannando fermamente i metodi illegali adottati in passato, Panetta si è ben guardato dall’entrare nella polemica politica in corso a Washington, manifestando il suo completo appoggio ai propri subordinati per il loro operato.

Le vicende di questi giorni, in definitiva, non hanno fatto altro che riportare prepotentemente alla luce le richieste di verità e chiarezza, ampiamente diffuse nella società americana, in particolare tra gli elettori di un Obama che - fino ad ora - si ostina al contrario a non voler indagare le responsabilità ad alto livello delle aberrazioni commesse in nome della lotta al terrorismo. Il complicatissimo dibattito sulla riforma sanitaria e gli altri delicati temi nell’agenda del presidente non possono d’altra parte che essere danneggiati da un’ancora più inasprito clima di scontro con un’opposizione repubblicana sempre più spostata verso l’estrema destra. L’abbandono senza riserve delle pratiche permesse da Bush e Cheney e la ricerca delle responsabilità dei crimini passati, per quanto scomoda, appaiono però come esigenze imprescindibili per fare il passo decisivo verso quel cambiamento nel quale lo stesso Obama aveva promesso che tutti gli americani avrebbero potuto credere una volta conquistata la Casa Bianca.

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