di Mario Braconi

Come nota Marco Niada de Il Sole 24 Ore, il New Labour è stato “il primo grande esperimento di marketing politico dopo la morte delle ideologie”. Al suo capezzale, al termine di una parabola di dodici anni in cui si è visto un po’ di tutto, compresa una dichiarazione di guerra, Gordon Brown: capro espiatorio di una serie interminabile di errori politici (di cui non è il solo responsabile), con il suo carisma inesistente e il suo pessimo carattere. Anche se il progetto alternativo dei Tory di David Cameron non è né chiaro né credibile, i Conservatori sembrano destinati a vincere le elezioni di maggio 2010. Sembra evidente ormai l’implosione del grande progetto politico mediatico ideato da Tony Blair, Alastair Darling e Peter Mandelson, i quali, in buona o cattiva fede, ritenevano di aver scoperto la pietra filosofale con la quale coniugare armoniosamente liberismo made in USA a visione sociale di stampo europeo. Insomma, come scrive Simon Heffer, giornalista politico conservatore sulle colonne del Daily Telegraph, gli Inglesi voteranno Tory per disperazione: secondo Heffer, infatti, i conservatori hanno un problema politico (“nessuna idea degna di questo nome”) ed uno di leadership: infatti “il modo in cui Cameron gestisce il suo stesso partito, come dimostra lo scandalo dei rimborsi spesa gonfiati, tende a favorire la sua cricca di amici”. Secondo Heffer, il possibile futuro Governo conservatore non perseguirà con sufficiente forza le politiche iper-liberiste che egli ritiene necessarie al Paese, quali tagli alle tasse e alla spesa pubblica: “Se Cameron continuerà ad emulare gli aspetti più sdolcinati e spreconi del New Labour, il suo sarà un governo terribile, e non solo per lui”.

Indipendentemente dalla inconsistenza dei Tory, un recente sondaggio pubblicato dal quotidiano progressista The Independent conferma la débacle dei Laburisti: arrivano al 24%, mentre i conservatori sono dati al 42% (con una crescita di ben 6 punti percentuali in un solo mese!) ed i Liberal Democratici si attestano al 18%. Segno che, in tempi di crisi, sventolare la bandiera dei tagli, come fanno (almeno a parole) i Tory, paga. Mentre la gente sembra aver superato il “trauma” dei deputati conservatori di secondo piano che rubacchiavano sulle note spese, il nuovo slogan laburista “Costruire il futuro della Gran Bretagna” (per la verità, non proprio il più nuovo e sexy che si potesse immaginare) non pare convincere troppo i sudditi del Regno.

Insomma, la sinistra di governo è in ginocchio e la destra sembra ben posizionata a vincere, a dispetto della mancanza di idee diverse da quelle di tagliare la spesa pubblica. Idea che, con buona pace dei vari Heffer in Gran Bretagna ed altrove, è deleteria da qualsiasi parte la si voglia guardare: politica, etica ed economica. Non è una sorpresa, però, che le grandi società di consulenza globali (KPMG, PricewaterhouseCoopers, Boston Consulting, Ernst Young) la pensino in modo diametralmente opposto: infatti, i tagli al settore pubblico spesso implicano la necessità di affidare ad un consulente esterno le attività eliminate.

Visto che il recupero di efficienza prodotto da simili progetti è tutto da dimostrare, dato che i consulenti sono non di rado più cari e spesso perfino più inefficienti delle risorse pubbliche tagliate, sarebbe forse il caso di considerare un ulteriore piccolo dettaglio: a parte Boston Consulting, le altre tre grandi firme, oltre a fare consulenza, si dedicano anche a servizi di audit e revisione di bilancio. A meno che non si voglia credere alla barzelletta delle “muraglie cinesi” che separerebbero dipartimenti diversi della stessa società di consulenza, la realtà è che esse potrebbero finire per certificare attività svolte da … sé stesse, finendo così per auto-certificarsi. Un problema generale, questo, che diventa particolarmente grave quando si tratta di cosa pubblica, come in questo caso.

Secondo delle proiezioni riportate da The Independent, nei prossimi tre anni, lo Stato in Gran Bretagna arriverà a spendere 4 miliardi di sterline in consulenze; per questa voce di spesa il Ministero degli Interni, ha speso 96 miloni di sterline solo nel 2008, mentre, secondo un’indagine parlamentare, un solo consulente del Dipartimento Bambini, Scuole e Famiglia è costato al contribuente la non indifferente somma di 1,35 milioni di sterline in tre anni. Bastano questi esempi per comprendere perché i quattro “big” della consulenza abbiano deciso di sostenere i Conservatori, vincitori in pectore delle prossime elezioni, qualche volta con donazioni in denaro, più spesso offrendo gratuitamente servizi professionali (quella che non può che essere definita una forma di corruzione politica, nel gergo ufficiale viene invece pudicamente etichettata: “fornitura di personale qualificato”, “consulenza professionale”, “supporto tecnico”…). The Independent è riuscito a provare pagamenti “in natura” per circa 500.000 sterline.

E così che il Labour, che pure negli anni aveva costruito una relazione molto proficua con il mondo degli affari, si trova oggi a bocca asciutta. Secondo Peter Slowe, capo del Labour Finance & Industry Group, una specie di forum di imprenditori e finanzieri progressisti, che ai tempi d’oro contava oltre mille iscritti (oggi sono in 300), i rubinetti potrebbero riaprirsi solo ad una condizione: che il politicamente agonizzante Gordon Brown venga sostituito con il più raffinato Peter Mandelson, uno degli spin doctor che hanno dato vita al New Labour, ex (chiacchierato) Commissario Europeo al Commercio ed attualmente Ministro dell’Industria e dell’Innovazione. “Solo lui capisce come reagire con comportamenti adattivi, solo lui ha grandi idee e chiarezza di visione in materia di politica industriale”; così Slowe, secondo cui in autunno Brown dovrebbe passare il testimone a Mandelson, che guiderebbe l’esecutivo alle elezioni. In caso di vittoria laburista (?) diverrebbe Primo Ministro, altrimenti cederebbe il posto ad un giovane, ad esempio David Miliband (attualmente al Foreign Office). Anche se Slowe non arriva a dare dell’idiota a Brown, non gli fa sconti: “Non si vede come il Labour possa vincere fintanto che Brown non impari a comunicare la politica e i valori del suo stesso partito”.

Mandelson sembra mietere consensi anche al di fuori del suo partito: secondo William Rees-Mogg (classe 1924), decano della stampa conservatrice britannica e firma di punta di The Times, “egli sembra essere l’unico politico laburista con una personalità tale da scuotere un clima politico stagnante”. Eppure la base del partito continua a considerare con scetticismo, quando non con aperta ostilità questa scelta, che del resto è motivata esclusivamente da considerazioni di marketing politico-finanziario. A tirare le bordate più violente contro l’ex commissario è George Eaton su The New Statesman, settimanale di sinistra londinese: “L’agiografia da quattro soldi costruita attorno a Mandelson, trascura in modo strumentale l’umiliante retromarcia cui è stato costretto sulla decisione di privatizzare in parte la Royal Mail (le Poste inglesi alla cui privatizzazione inizialmente era infatti favorevole) e soprattutto la forte resistenza della base laburista ad accettare Mandelson come suo rappresentante.”

A differenza di altri, Eaton non crede che Mandelson sia dotato di carisma; al contrario, citando il romanziere Edward Docx che sulla rivista Prospect ha dedicato al ministro un lungo profilo, esprime il suo pensiero con la seguente velenosa metafora: “Il suo hard drive è settato per identificare la persona più potente in vista, per poi lavorare al suo servizio in modo esclusivo, quasi come uno schiavo, spesso rovinando altre relazioni.” Se la diagnosi di Docx è corretta, allora è più chiaro perché Mandelson sia tanto gradito alle lobby del business.

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