di Carlo Benedetti


Non c’è mai stato tra Mosca e Pyongyang un grande amore. Tranne, ovviamente, la parentesi della guerra quando, nel 1950, i sovietici corsero ad appoggiare le armate nordcoreane impegnate contro gli americani. I tempi cambiano. Ed ora il Cremlino - non più legato a schemi ideologici - schiera in Estremo Oriente un sistema di difesa antimissile per prevenire eventuali attacchi della Corea del Nord. E’ una notizia destinata a sconvolgere la geopolitica asiatica oscillando fra interpretazioni e applicazioni diverse. Perché Mosca é preoccupata dai recenti esperimenti missilistici della Corea del Nord, soprattutto di quel test nucleare nei pressi della città nordorientale di Kilju con una potenza tra i 10 e i 20 kilotoni, equivalente degli ordigni americani che nel ’45 spianarono Hiroshima e Nagasaki, si mobilita sul fronte orientale, organizzando un sofisticato sistema di difesa antimissile, in grado di prevenire eventuali attacchi.
Il tutto è reso ancor più drammatico se si pensa che Pechino - appunto con reazioni diametralmente opposte - é sempre dalla parte del Nord Corea imponendo, soprattutto agli Usa, di non fare troppe pressioni su Pyongyang sulle questioni dei diritti umani e della riunificazione. La protezione di Pechino ha poi un altro valore: la Corea del Nord può essere agitata come una minaccia contro avversari reali e potenziali nell’area, e la capacità cinese di controllare tale minaccia ne aumenta il peso internazionale. Questo è un tipico passaggio relativo di una politica che auspica che proprio le nuove tecnologie generino, alla fine, nuove politiche.

Intanto la conferma dell’improvvisa decisione di Mosca viene dal generale russo, Nikolai Makarov, il quale – aprendo nuovi scenari - precisa che le truppe di Putin-Medvedev possono contare in questo momento d’alcune divisioni dotate di S-400 (missili terra aria) come garanzia di sicurezza contro i lanci missilistici falliti nordcoreani. Tutto questo è in opera – rileva Makarov - per evitare anche che eventuali frammenti cadano sul territorio russo. E improvvisamente l’incubo diventa realtà.

La notizia riaccende i timori di un’escalation militare nella regione, proprio mentre stavano arrivando ulteriori segnali di distensione da parte della Corea del Nord. Il governo di Pyongyang, infatti, ha raggiunto un importante accordo per ripristinare quel canale umanitario che si occupa di organizzare le riunificazioni tra famiglie coreane, divise dalla guerra del 1950-1953. In tal senso si è espresso il portavoce del ministero per l'Unificazione sudcoreano, Chun Hae-sun, confermando che la Corea del Nord ha accettato l'offerta di Seul per una serie d’incontri sotto l'egida della Croce Rossa, i primi del genere da quasi due anni.

I ricongiungimenti familiari tra Nord e Sud – è noto - furono inaugurati nel 2000 in seguito al primo, storico vertice intercoreano, tenutosi nello stesso anno a Pyongyang, tra il leader, Kim Jong-il, e l'ex presidente sudcoreano, Kim Dae-jung (premio Nobel per la pace) morto nei giorni scorsi. Tramite questi eventi, tenutisi complessivamente sedici volte (carichi sempre di manifestazioni di scetticismo e dissenso), si calcola che, pur se in via temporanea, abbiano potuto ricongiungersi circa 23.600 sudcoreani e 12.500 nordcoreani, mentre sono oltre seicentomila i cittadini del Sud che si stima abbiano ancora parenti nel Nord.

Nonostante tutto, gli Stati Uniti hanno dichiarato che lo schema delle sanzioni contro il regime di Pyongyang deve andare avanti. Lo ha detto Philip Goldberg, responsabile americano sull'attuazione e il rafforzamento delle sanzioni dell'Onu contro la Corea del Nord, nel corso della conferenza stampa presso l'ambasciata statunitense a Tokyo, che ha chiuso nei giorni scorsi la sua missione in Asia, durante la quale ha visitato anche Singapore, Thailandia e Corea del Sud. Goldberg ha osservato che gli Stati Uniti stanno avendo un'ottima cooperazione anche da parte della Cina, l'alleato più vicino di Pyongyang.

Dopo aver ricordato la recente missione dell'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, per la liberazione delle due giornaliste condannate in Corea del Nord a dodici anni di lavori forzati, Goldberg ha valutato positivamente l'atteggiamento più morbido della Corea del Nord. “Il nostro obiettivo, però – ha detto - è un processo che porti alla denuclearizzazione, alla fine della produzione di missili e della proliferazione di armi. Questo - ha proseguito il diplomatico - è quanto la risoluzione 1874 si propone di ottenere".

Sull'ipotesi di dialogo diretto tra Washington e Pyongyang, il responsabile americano ha categoricamente escluso una via di dialogo alternativa ai colloqui a sei (che coinvolgono le due Coree, Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti), ribadendo ancora una volta che eventuali negoziati bilaterali tra Stati Uniti e Corea del Nord sulla questione nucleare rimarranno comunque all'interno di quel contesto. Ma è anche vero che i nordisti per bussare alla porta di Obama hanno scelto l’unico modo che conoscono e cioè il ricatto nucleare.

Intanto dalla Corea del Sud si fanno vive le organizzazioni di profughi nordcoreani e precisamente dal centro di Hanawon che - allestito dal governo sud-coreano ad Anseong, nella provincia di Gyeongi, confinante con il Nord - per la prima volta in dieci anni apre le sue porte. Dal 1999 ad oggi ha ospitato più di 14mila dissidenti del Nord. Al suo interno, corsi trimestrali per “superare i traumi della dittatura comunista” e imparare le regole per “sopravvivere” nel Sud.

Ad Hanawon, dal 1999, più di 14mila dissidenti hanno completato il programma trimestrale d’inserimento nella società sud-coreana. All’inizio esso ospitava circa 150 persone; oggi, fra muri di protezione e misure di sicurezza, ne accoglie fino a 750. Un secondo centro governativo, per 250 dissidenti, è stato avviato a Yangju, nella parte settentrionale della provincia.

Il ministero sud-coreano dell’Unificazione (nel tentativo di oscurare e censurare qualsiasi tipo di riflessione) spiega che, nelle 12 settimane di corso, i rifugiati seguono un programma di recupero fisico e psicologico di 50 ore. Altre 135 ore sono dedicate a corsi per aiutare i nord-coreani ad inserirsi in una società moderna, capitalista e competitiva. Ai rifugiati è infine offerta la possibilità di imparare un mestiere e garantita una somma di denaro di poco superiore ai 2.300 dollari Usa.

Quanto alle questioni future relative alla gestione nord-coreana sembra sbagliato prevedere che Pyongyang adotterà prima o poi la politica riformatrice alla cinese. Il nuovo leader ha quindi ripetutamente messo in guardia i suoi compatrioti contro il pericolo costituito dall’adozione del liberismo: “Il socialismo è inconciliabile con il capitalismo. Se si adotta il capitalismo in una società socialista, ciò porterà certamente al caos sociale prodotto dall’individualismo libertino”. Alla luce di simili discorsi, anche se si può prevedere un’eventuale perestrojka alla nordcoreana (riforma solo economica), non si avrà nessuna glasnost (pluralismo politico) nel prossimo futuro.

La Corea del Nord, attualmente in crisi, non ha molta scelta riguardo al suo futuro politico. Essendo scomparso il modello sovietico, se essa adottasse a medio termine un progetto di cambiamento non sarebbe altro che il modello cinese. In questo senso si può presumere che l’avvenire del sistema nordcoreano dipenderà in gran parte dal successo economico della Cina.

Ancora una questione relativa alla politica strettamente geomilitare di Pyongyang. Va ricordato, infatti, che dopo il crollo del blocco comunista, la Corea del Nord è precipitata in una crisi economica, pur se è stata evitata la sua disintegrazione finale. Soffre della carenza di materie prime fondamentali, come il petrolio e l’embargo decretato dall’Occidente la soffoca ogni giorno di più. È pertanto comprensibile che voglia ristabilire relazioni diplomatiche normali con i paesi occidentali, specialmente con gli Stati Uniti. Eppure proclama da tempo l’autonomia della sua economia in una dannosa perdita di tempo. Anche se ciò è parzialmente vero, l’aiuto economico straniero è questione di vita o di morte per un paese relativamente piccolo.

Sappiamo, infine, che questa crisi congiunturale si è aggravata in conseguenza della fine dell’Urss. Mosca ha smesso di sostenere Pyongyang dopo esserne stata per decenni uno dei due grandi sostenitori. Non avendo molta scelta, il governo nordista ha cercato di avvicinarsi a Washington, tentando di mantenere altresì buoni rapporti con il governo di Seul. Sembrava poi che la morte improvvisa di Kim Il-Sung, (8 luglio 1994) dovesse interrompere questo processo.

Alcuni osservatori occidentali prevedevano il crollo dell’estremo bastione comunista. Altri pronosticavano lo scoppio della guerra fra le due Coree. Ora, è evidente che senza Kim Il Sung la Corea del Nord non è più la stessa. Ma il timore di una nuova guerra, nutrito da alcuni occidentali, si fonda sul nulla. Kim Jong-Il, figlio e successore di Kim Il-Sung, sottolinea, infatti, la continuità nella politica di apertura inaugurata dal padre.

Eppure la divisione della Corea si impone ai coreani con una frontiera psicologica e reale tra le due parti che passa per il 38° parallelo. Psicologica perché è una barriera che impedisce praticamente ogni sorta di scambio, sia personale, economico o culturale. I cittadini dei due paesi sono sottoposti a grosse limitazioni. E per i sudcoreani, la Corea del Nord è il paese più lontano del mondo. Reale perché il 38° parallelo, fissato nel 1953 dal trattato d’armistizio, è oggi una vera frontiera nella misura in cui l’Onu riconosce due Stati nella penisola. Questa divisione influisce in modo determinante sull’identità coreana. Errori di calcolo e possibili ricadute sono sempre all’orizzonte. E coinvolgono – alla pari – le due capitali.

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