di Carlo Benedetti

Mosca. In Ucraina, per ora, la “rivoluzione arancione” continua, pur se il suo leader massimo - il presidente Viktor Juscenko - esce sonoramente battuto dalla consutazione elettorale di domenica. Perchè le urne delle presidenziali lo hanno relegato al quarto posto con un umiliante 5%, mentre la sua ex alleata - Julia Timoshenko - ha raggiunto il 25%. E’ andata quindi bene al maggiore sfidante, il leader del “Partito delle regioni”, Viktor Janukovic che ha superato il 33%. Ora sarà necessario andare al ballottaggio e il giorno fissato è il 7 febbraio.

Comincia da questo momento una nuova battaglia elettorale che verrà giocata, in particolare, ai tavoli delle trattative, poiché sulla scena politica del Paese sono attive varie formazioni minoritarie, che assumeranno un ruolo determinante quando si avvierà il ballottaggio tra Janukovic e Timoshenko. Nel conto generale andrà poi messo quel 13% di voti riportati da Sergej Tighipko - ex presidente della banca nazionale e uno dei trenta uomini più ricchi del Paese - e quel 4% incassato dal leader comunista Piotr Simonenko.

Ora si tratta. E la partita del ballottaggio vedrà in campo non solo i personaggi tradizionali dello scontro politico locale, ma anche forze esterne. Mosca, in primo luogo. Perchè è chiaro che la Russia di Putin-Medvedev, pur avendo già appoggiato clamorosamente Janukovic, flirta ora con la Timoshenko, le cui azioni sono significativamente salite negli ambienti del Cremlino.

Intanto sul tappeto del ballottaggio tornano i grandi problemi del Paese e il nuovo voto si annuncia cruciale per i rapporti tra Kiev e l’Ovest ed anche per le relazioni generali dell’Est e della Russia con l’Europa. Tutto questo tra la disillusione degli elettori, colpiti dalla crisi economica ma anche preoccupati per il fatto che l’Ucraina dipende pesantemente dalla Russia per i suoi bisogni energetici. Soprattutto dopo le tensioni degli ultimi anni dovute alla querelle del gas. Gli ucraini sanno bene che chi uscirà vincente dal ballottaggio dovrà cercare di rivitalizzare l'economia e prendere il controllo delle finanze pubbliche, sostenute da un programma del Fondo monetario internazionale da 16,4 miliardi di dollari.

Non mancano però nubi grigie sull’intera vicenda elettorale di queste ore. Perchè in appoggio a Juscenko e alla Timoshenko sono arrivati dalla Georgia i “fratelli” dell’altra “rivoluzione”. Quella delle “rose”, che nel novembre del 2003 sconvolse l’intera regione avendo ricevuto fondi e sostegni da parte dell’occidente e dei servizi iraeliani. Ora a Kiev sono sbarcati oltre cinquecento personaggi, provenienti da Tbilisi, che si sono presentati come “osservatori” per garantire la normalità delle elezioni. Ma questa vicenda si è subito tinta di giallo.

Perchè - come risulta negli ambienti della diplomazia ucraina e russa - quasi tutti questi “agenti” (così li definisce la stampa russa) fanno parte delle strutture vicine ai servizi segreti georgiani. Una notevole parte sono militari. Alcuni sono muniti di documenti falsi e tutti hanno seguìto corsi di addestramento per combattimenti corpo a corpo. Scopo di questa “invasione georgiana” - si rileva negli ambienti politici che appoggiano Janukovic - consiste nel prendere contatto con quanti sono restati “fedeli” alle prime mosse della rivoluzione arancione. E nei piani dei georgiani ci potrebbero essere azioni diversive con l’organizzazione di proteste e manifestazoni contro Janukovic. Su questo pericolo i media della Russia insistono particolarmente, riportando anche la registrazione di un compromettente colloquio tra la Timoshenko e il suo amico presidente georgiano, Saakasvili, notoriamente antirusso e quisling degli americani.

Nello scontro interno ucraino rientra poi il tema religioso, dal momento che nel recente passato il presidente Jushenko lanciò l’idea di fondare una chiesa ortodossa ucraina svincolata dal Patriarcato di Mosca. Attualmente la chiesa di Kiev è infatti subordinata alla Russia che è di fatto - dal punto di vista delle strutture religiose - l’unica sopravvissuta alla disgregazione dell’Urss. Molti dei territori un tempo parte dell’Unione e oggi indipendenti - come Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lituania e Lettonia - continuano a fare riferimento, per ciò che concerne l’organizzazione ecclesiastica, a Mosca. Il che dà modo alla Russia - che con Putin ha conosciuto una forte saldatura tra potere civile e potere religioso - di esercitare un’altra forma d’influenza, anche se decisamente più soft rispetto alle pressioni energetico-politiche, su nazioni sovrane non più parte dell’Urss ma ancora parte dello spazio russo.

Tutto peserà di conseguenza nel bilancio che gli ucraini dovranno fare nel momento in cui - il 7 febbraio, appunto - dovranno scegliere il nuovo presidente: uno Janukovic schierato sul fronte filorusso o una Timoshenko, pasionaria, volta all’Occidente, ma segnata fortemente dalle mode nazionaliste.

 

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