di Eugenio Roscini Vitali

Raggiungendo la capacità di produrre uranio arricchito al 20%, l’Iran si avvicina pericolosamente al punto critico ritenuto fondamentale per diventare una potenza atomica. Indifferente alle reazioni della comunità internazionale, lunedì scorso il presidente iraniano ha annunciato che la “buona notizia” potrebbe essere ufficializzata in occasione dell’alba dei giorni dell’aurora (dah-e-fajr), il periodo di festeggiamenti previsto per l’anniversario della Rivoluzione Islamica, che va dal 1° all’11 Febbraio.

Durante la conferenza stampa tenutasi a Teheran, Ahmadinejad ha reso noto che l’Organizzazione iraniana per l’energia atomica (AEOI) sta per mettere in funzione nuove centrifughe per l’arricchimento del materiale fissile, presumibilmente centrifughe di tipo P2, capaci di fornire uranio arricchito ad un ritmo diverse volte superiore a quello finora raggiunto negli impianti  già installati a Natanz e Isfahan e con le quali sarà possibile portare la concentrazione di isopoti U235 dal 3,5 al 20%.

Parlando ai microfoni dell’agenzia di stampa Mehr news, Ahmadinejad non si è certo lasciato sfuggire l’occasione per riaffermare la posizione iraniana sul nucleare: «Oltre al popolo iraniano, anche tutte le nazioni libere del mondo saranno felici di questa splendida notizia, perché si tratta degli ultimi successi conseguiti dalla Repubblica Islamica nel campo della scienza e della tecnologia». Per Teheran, lo sviluppo di tecnologie nucleari per fini pacifici è un diritto al quale il Paese non può e non deve rinunciare e non accetta alcun genere di negoziati che possano limitare la sua azione.

Proprio per questo il presidente della Repubblica Islamica ha voluto precisare che l’Iran non ha alcuna intenzione di scambiare combustibile con l’Occidente, come proposto recentemente da Usa, Francia e Russia; né, tanto meno, accettare da altre nazioni le quantità di uranio necessarie ad alimentare il reattore costruito nei pressi della capitale per la produzione di isotopi radioattivi utilizzabili nella cura del cancro e per altri fini medici.

Secondo le autorità i criteri contenuti nel Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), al quale l’Iran ha aderito nel 1970, permettono all’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) di fornire il combustibile nucleare ai paesi membri; in alternativa, Teheran ha già dichiarato la propria disponibilità  ad altre soluzioni, quali l’acquisto all’estero dell’uranio arricchito al 20% o lo scambio graduale del combustibile con le parti interessate ma all'interno del territorio nazionale.

In Israele all’accresciuta capacità iraniana di sviluppare un ordigno nucleare  ha destato preoccupazione, soprattutto in relazione alle attività pianificate dall’industria missilistica iraniana e alle notizie diffuse dalla stampa tedesca. Cercando di rimanere in tema di “buone notizie”, nei giorni scorsi il ministro delle telecomunicazioni, Reza Taqi Pour, ha infatti parlato di “sorprese spaziali”. Ad un anno dal lancio dell’Omid (Speranza), il 3 febbraio l’agenzia spaziale iraniana presenterà ufficialmente due nuovi satelliti: il Mesbah II (Lanterna II), che dovrebbe raggiunge un’orbita bassa per essere usato in  attività legate alle telecomunicazioni, e il Ya Mahdi (O Mahdi), realizzato con l’obbiettivo di riprodurre dallo spazio immagini dell’Iran, in pratica un satellite fotografico che se adeguatamente equipaggiato potrebbe essere utilizzato come satellite spia.

Secondo quanto pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, il settimanale tedesco Der Spiegel sarebbe poi in possesso di un dossier dal quale risulterebbe che in Iran è attiva un’agenzia, direttamente collegata al ministero della Difesa, che starebbe sviluppando un programma di ricerca nucleare, parallelo a quello ufficialmente dichiarato, ma con scopi esclusivamente militari. Il documento, attualmente in mano all’intelligence israeliano, tedesco ed americano, dimostrerebbe con sufficiente certezza che l’obbiettivo del programma è munire la Repubblica Islamica di missili a testata nucleare, target che potrebbe essere raggiunto nell’arco di tre o quattro anni, più esattamente tra il 2012 e il 2014.

Gerusalemme, che contro il progetto atomico iraniano non ha ancora accantonato l’opzione di una risposta militare, è comunque legata alle decisioni di Washington che, al momento, ha scelto la via delle sanzioni e del dialogo. Nonostante la certezza che l’unica alternativa agli insuccessi della diplomazia sia la forza, per Israele imbarcarsi in una guerra contro l’Iran senza l’appoggio Usa potrebbe essere comunque una missione troppo grande. Questa la convinzione di parte dei media israeliani che, a difesa della loro tesi, sollevano due argomentazioni: la possibilità che gli Stati Uniti si oppongano all’opzione militare e che, qualunque sia l’esito dell’operazione, l’Iran possa essere in grado di rispondere ai bombardamenti, dando inizio ad una guerra che potrebbe durare anni.

Chi è invece a favore dell’opzione militare è convinto che Teheran non sarebbe in grado di reagire ad un attacco aereo; colpendo le installazioni nucleari e le basi missilistiche verrebbe inibita ogni possibilità di reazione e la Repubblica Islamica non sarebbe più una minaccia. E a chi obbietta che nell’arco di qualche anno le centrifughe potrebbero tornare a produrre di nuovo uranio arricchito e l’industria bellica iraniana essere in grado di ricostruire il suo arsenale, magari più forte e più efficiente di prima, gli esperti rispondono che l’attacco del 1981 al reattore iracheno di Tuwaitah rappresentò la fine definitiva dei sogni nucleari di Saddam Hussein.

 

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