di mazzetta

I telespettatori italiani hanno avuto la misura della gravità dei problemi che stanno travolgendo il governo israeliano dall'apparizione del primo servizio critico di Claudio Pagliara. L'inviato del TG1 è un riconosciuto apologeta d'Israele, dove fu mandato a sostituire un corrispondente sgradito a Tel Aviv. La gravità della situazione é stata ribadita dall'apparizione del presidente Napolitano, che in visita in Siria ha dichiarato che è tempo che Israele restituisca a Damasco le alture occupate del Golan.

Oggi Israele è un paese isolato come non mai, perché al termine di una parabola durante la quale l'incapacità e le pessime intenzioni sono state mascherate con l'arroganza, è arrivato a minacciare addirittura il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. La storia presenta il conto delle licenze che i governi israeliani si sono presi, in particolare dal 2001 in poi, con il consenso dell'Amministrazione Bush. Israele ha avuto carta bianca e non ha saputo resistere alla tentazione di lanciare a ritmi mai visti prima la colonizzazione della West Bank, sigillandola con il Muro della vergogna, bombardando il Libano e Gaza, ma anche la Siria e addirittura il Sudan, compiendo o tentando omicidi degli avversari ospiti di altri paesi dell'area, fino all'ultimo caso che ha provocato l'offesa alla sovranità di Dubai e di alcuni paesi europei in un colpo solo.

Negli ultimi giorni c'è stata un'escalation impressionante, cominciata con l'offesa al vicepresidente americano Biden, in visita per perorare il processo di pace. L'annuncio dell'autorizzazione a costruire milleseicento case per Haredi a Gerusalemme Est è stato preso per uno sgarbo e Biden ha reagito male. Ancora peggio ha reagito il Segretario di Stato Clinton, che ha inviato a Netanyahu un richiamo all'ordine insolito per severità. I palestinesi l'hanno presa malissimo, sia perché gli haredi sono fanatici religiosi e la loro massiccia presenza nei quartieri arabi può essere giustificata solo dalla volontà di colonizzare anche Gerusalemme Est, sia perché Israele aumenta invece di allentare la morsa su Gza e West Bank.

Poi ci sono altre cinquantamila costruzioni in dirittura d'arrivo nelle colonie e, con la scusa della protezione del patrimonio storico, gli israeliani hanno pensato bene di assegnarsi il controllo di alcune aree d'interesse archeologico, mentre Gaza resta sigillata e la popolazione non può nemmeno riparare i danni delle ultime devastazioni. A Gaza andrà anche peggio, ora che l'Egitto si è convinto (è stato convinto) a costruire un muro alla sua frontiera che correrà sottoterra a trenta metri di profondità.

Che i rapporti tra Israele e USA dovessero ridefinirsi al tramonto di Bush era ovvio a chiunque, ma che in Israele un governo di estrema destra sarebbe andato allo scontro frontale non era prevedibilissimo. È un dato di fatto che l'esecutivo israeliano sembri un Barnum d'estremisti. Dal ministro della Sanità che propose prima di tutto di rinominare l'influenza suina in messicana (perché il maiale non è kosher) ai tempi dell'allarme-pandemia, fino al ministro degli esteri Lieberman, l'eccesso di papabili rende davvero difficile assegnare la palma del peggiore o del più impresentabile.

Secondo l'ambasciatore israeliano a Washington, questa è la peggiore crisi tra i due paesi dal 1975: un bel problema, perché la dipendenza d'Israele dalla protezione americana è totale. Gli Stati Uniti finanziano e riforniscono la supremazia militare israeliana, ma offrono anche la protezione all'ONU, esercitando il diritto di veto in Consiglio di Sicurezza ogni volta che Israele è chiamato sul banco degli imputati. Quello con l'America è l'unico rapporto di amicizia che resta a Israele, a parte l'ipocrita sostegno di Berlusconi, che vale meno di niente.

L'Europa manifesta la propria insofferenza da tempo e chiede di ridurre l'occupazione e il tormento dei palestinesi. Sudamerica, Asia e Africa seguono in ordine sparso e non aiuta che in mezzo all'aspro confronto con gli USA Lieberman si sia messo a fare i dispetti al presidente brasiliano Lula  in visita a Tel Aviv, colpevole di non aver voluto rendere omaggio alla tomba del fondatore del sionismo Theodor Herzl. Richiesta bizzarra e al di fuori del protocollo, giusto per avere il pretesto di mostrare i muscoli a favore dei compatrioti fanatici. Fratture che non hanno risparmiato l'alleanza militare con la Turchia, tramontata pure quella.

Israele ha tagliato i ponti con il resto del mondo e oggi sembra sprofondato nella paranoia, con quel che resta della sinistra in piazza a protestare contro la segregazione sessuale sugli autobus, pretesa e ottenuta dagli oltranzisti religiosi insieme a molti altri provvedimenti, benefici e privilegi che si traducono immancabilmente in una riduzione delle libertà e in un danno per i più laici. Obama in Israele è visto da parecchi come un pericolo, un cripto-musulmano, un antisemita (così l'ha definito anche il cognato di Netanyahu in un'intervista che ha fatto scalpore), ma non va meglio con la considerazione verso gli europei, generalmente giudicati in blocco (ancora) antisemiti.

La maggioranza tende evidentemente a farsi beffe del diritto internazionale e dei richiami della comunità delle nazioni, sostenendo sia la colonizzazione della West Bank che la repressione a mano armata dei vicini mediorientali, mentre punta a gran voce il dito contro l'Iran e si dice minacciata dai vicini. Ma come a chi nella favola gridava “al lupo!” oggi a Israele non risponde più nessuno Il copione è logoro e, se ancora funziona all'interno, si sta rivelando del tutto controproducente nei confronti della comunità internazionale, per lo più irritata da tante rumorose ed arroganti prese in giro e dalle infinite dichiarazioni di disponibilità al dialogo senza alcun riscontro che non fosse l'ulteriore pressione sui palestinesi o l'aggressione a qualche paese vicino.

Funziona sempre meno anche nella comunità ebraica statunitense, che ha partorito Jstreet, un'organizzazione filo-israeliana alternativa alla famigerata AIPAC, ad interpretare un'opposizione che in Israele è ridotta malissimo e incapace di evadere il menù della guerra infinita. L'alternativa dovrebbe essere il partito di Livni, che però non ha esitato a bombardare Gaza sperando di averne un tornaconto elettorale.

Solo il governo americano ha il potere di mettere mano alla situazione, Netanyahu lo sa e sta cercando in ogni modo di riparare ai danni, mentre in casa spiega che è una finta per tener buono l'uomo nero. Obama non è l'uomo nero e a Washington non butteranno a mare l'alleanza, ma Obama è la politica americana, sono i democratici e i repubblicani che devono rispondere ad elettori sempre più ostili ad Israele. Elettori che, da tempo, si chiedono perché Israele morda la mano che lo protegge e che non capiscono le esigenze “difensive” nel reprimere, recludere ed occupare i palestinesi, ma soprattutto non capiscono più perché i soldi delle loro tasse debbano finanziare questi avventuristi che si permettono pure d'offendere. A completare il pessimo quadro ci sono poi quelli per i quali la crisi è figlia dei soliti “banchieri ebrei”, il più classico capro espiatorio, buono anche oggi per distrarre l'attenzione dai banchieri bianchissimi e molto anglosassoni che hanno sfasciato il giocattolo.

Non sono però gli estremisti antisemiti americani la vera minaccia per Israele: molto più pericoloso che congressisti e membri dell'Amministrazione siano giunti alla conclusione che a trattare con Israele non c'è niente da guadagnare, o che un capo militare come il generale Petraeus dica senza alcun problema il conflitto israelo-palestinese mina la credibilità degli USA, accusati di tenere sfacciatamente le parti d'Israele. Quella che appare un'ovvietà ha suscitato la reazione piccata dell'ADL (L'Anti Defamation League, capace anni fa di conferire a Berlusconi il premio di “statista dell'anno”), che a sua volta ha suscitato una sollevazione in difesa del generale, aggredito per aver osato pronunciare una constatazione banalissima e del tutto auto-evidente.

La deriva estremista in Israele è un problema per l'assetto di tutto il Medioriente e Israele è ormai da tempo nella lista nera dei paesi che “minacciano la pace” in tutti i sondaggi delle opinioni pubbliche dei paesi avanzati. Un problema di sostanza e un problema d'immagine allo stesso tempo, l'immagine di un fallimento di fronte alla quale una Casa Bianca che voglia ribadire la leadership dell'unica superpotenza non può tirarsi indietro, sacrificando per l'ingrato alleato valori (anche etici) che eccedono di molti i già robusti aiuti militari e politici a Tel Aviv.

Resta da vedere se l'attuale Amministrazione americana avrà la forza e la volontà di intervenire con tutto il suo peso e mettere all'angolo i rozzi estremisti della destra israeliana, ma la radice del problema rimane in Israele, una società che sembra aver barattato gli alti ideali della fondazione con l'incubo a mano armata di un paese ostaggio di nazionalisti religiosi che non si fermano davanti a nulla, disposti ad uccidere un leader come Rabin perché si era incamminato verso la pace e persino ad aggredire l'alleato più fedele ed importante, senza la protezione del quale Israele avrebbe vita molto più grama.

Tipico della destra nazionalista ad ogni latitudine, prima o poi l'esaltazione nazionalista fa perdere il contatto con la realtà e commettere errori gravi, come quello di confidare sulla supremazia militare per non dover rendere conto a nessuno, senza considerare che quella potenza non stata è prestata ad Israele per soggiogare i paesi vicini, ma perché ne derivasse un deterrente sufficiente a garantire che l'esistenza d'Israele non sarà minacciata da nessuno.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy