di Michele Paris

Con l’arrivo nella capitale statunitense di una delegazione pakistana, mercoledì scorso è andato in scena il primo atto assoluto del “dialogo strategico” tra i due paesi con il coinvolgimento dei rispettivi responsabili degli affari esteri. La visita dei vertici diplomatici e militari del Pakistan negli Stati Uniti avviene in seguito all’accelerazione mostrata da Islamabad negli ultimi mesi sul fronte della lotta ai ribelli islamici operanti sul proprio territorio. Una guerra voluta fortemente dalla Casa Bianca e per la quale ora il fondamentale alleato in Asia meridionale di Washington sembra voler presentare il conto.

A guidare ufficialmente i rappresentanti del governo pakistano è stato il Ministro degli Esteri, Shah Mehmood Qureshi, anche se la personalità più importante appare chiaramente quella del capo delle forze armate di Islamabad, Generale Ashfaq Parvez Kayani. Quest’ultimo, infatti, aveva raggiunto gli USA anticipatamente per incontrare, in vista dei colloqui bilaterali, il numero uno del comando americano per il Medio Oriente e l’Asia Centrale, Generale David Petraeus, il capo di Stato Maggiore, Generale Mike Mullen, e il Segretario alla Difesa, Robert Gates. Prima della sua partenza, addirittura, Kayani aveva anche convocato tutti i ministri coinvolti nell’imminente trasferta a Washington senza nemmeno consultare il Primo Ministro, Yousuf Raza Gilani, o il sempre più indebolito presidente, Asif Ali Zardari.

Che siano i militari a dettare l’agenda diplomatica pakistana non è d’altra parte una novità. Il ruolo predominante assunto dal Generale Kayani conferma in ogni caso la dinamica del rapporto tra i due paesi. Come già accadeva con il deposto presidente-dittatore, Generale Pervez Musharraf, all’indomani dell’11 settembre, il Pakistan continua a fornire, sia pure con più di un’ambiguità, il proprio importantissimo supporto logistico agli Stati Uniti nell’ambito del conflitto nel vicino Afghanistan.

Quando il presidente Zardari visitò Washington, quasi un anno fa, la neo-insediata amministrazione Obama usò toni molto pesanti per convincere l’alleato a fare di più per contrastare le attività dei Talebani - con i quali ampi settori militari e dei servizi segreti pakistani mantenevano e continuano mantenere stretti rapporti - nelle aree tribali di nord-ovest. Da allora, l’esercito di Islamabad ha condotto un paio di operazioni su larga scala, nelle province di Swat e del Waziristan del Sud, assestando qualche colpo alla resistenza integralista ma, soprattutto, causando pesanti perdite tra i civili e sradicando qualcosa come due milioni di persone dalle loro abitazioni.

Parallelamente, gli Stati Uniti hanno intensificato le loro operazioni sul territorio pakistano, con il tacito accordo delle autorità locali, impiegando sempre più frequentemente i droni pilotati a distanza per colpire i Talebani. Una strategia che ha però alimentato ulteriormente un già diffuso sentimento anti-americano tra la popolazione, spesso colpita da quegli stessi attacchi aerei che si vorrebbero “chirurgici”.

Pressati da un’opinione pubblica sfiduciata e dal persistere dei nodi irrisolti legati alla propria sicurezza nazionale, Qureshi e Kayani si sono così presentati a Washington invitando il presidente Obama a prestare maggiore attenzione alle loro istanze. Oltre alla consueta richiesta di intervenire in maniera più incisiva nella disputa con l’India per la regione del Kashmir, la più recente pretesa emersa da Islamabad sembra essere quella di ottenere un accordo sul nucleare simile a quello garantito tra molte polemiche proprio al rivale indiano nel 2008 dalla precedente amministrazione americana.

Nuova Delhi, pur essendosi dotata di armi nucleari senza aver sottoscritto il Trattato di Non-Proliferazione, aveva eccezionalmente siglato con gli USA un patto per lo sviluppo del nucleare a scopi civili, così da sostenere il fabbisogno energetico di un’economia in rapida espansione. Nella stessa situazione dell’India si trova ora anche il Pakistan che gradirebbe un trattamento simile da parte di Washington per ristabilire l’equilibrio in ambito nucleare con il paese che continua a rappresentare, a torto o a ragione, la minaccia principale ai propri interessi.

Se l’eventuale accondiscendenza americana sulla questione nucleare finirà per infuriare il governo indiano, ulteriori frizioni saranno da mettere in preventivo anche nel caso venissero soddisfatte le richieste pakistane sul fronte degli armamenti. Il Ministro degli Esteri Qureshi, infatti, vorrebbe accedere agli equipaggiamenti statunitensi più sofisticati, tra cui appunto gli stessi droni che la CIA e l’esercito impiegano su larga scala in Pakistan. Su quest’ultimo punto, tuttavia, il Pentagono ha mostrato finora una certa freddezza e di certo nessun annuncio fondamentale sulle forniture militari verrà fatto al termine dei colloqui bilaterali.

Un altro punto all’ordine del giorno della visita pakistana a Washington è poi quello relativo alla trattativa con quei Talebani, ed esponenti degli altri gruppi ribelli, disposti a scendere a compromessi con il governo di Kabul. Una questione che si intreccia indissolubilmente con la necessità per Islamabad di giungere ad un governo afgano non ostile ai propri interessi una volta che le forze occidentali si saranno ritirate. In questa prospettiva, per il Pakistan risulta fondamentale limitare al massimo l’influenza indiana in Afghanistan, che in qualche modo è stata invece favorita da Washington negli ultimi anni nel perseguimento di un difficile equilibrio strategico.

La cattura da parte pakistana del leader talebano Mullah Abdul Ghani Baradar lo scorso mese di febbraio, a questo proposito, ha causato qualche attrito con Washington, nonostante le smentite. Secondo l’ex rappresentante ONU a Kabul, Kai Eide, l’arresto di colui che viene indicato come il vice del Mullah Omar avrebbe interrotto bruscamente i negoziati in corso tra il governo afgano e i Talebani. Una mossa decisa da Islamabad per ricordare agli americani e al presidente Karzai la volontà del Pakistan di ricoprire un ruolo di spicco in qualsiasi colloquio di pace in Afghanistan.

In definitiva, i vertici politici e militari pakistani appaiono voler incassare ulteriori concessioni dagli Stati Uniti per il proprio ruolo di contrasto alle forze integraliste negli ultimi tempi, ben sapendo che non sarà possibile prescindere dal loro contributo a qualsiasi soluzione pacifica verrà cercata per il futuro dell’Afghanistan e dell’intera regione. Una situazione della quale la Casa Bianca sembra essersi resa conto, anche se un punto di equilibrio, che dovrà pure tener conto delle preoccupazioni di Nuova Delhi, appare ancora lontano. Il rischio, nel frattempo, è che la rivalità indo-pakistana possa riesplodere complicando nuovamente i piani americani.

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