di Daniele John Angrisani

Esecrazione, biasimo, disgusto e persino orrore. Sono questi i sentimenti provocati dalla notizia che è stata diffusa nel pomeriggio di venerdì scorso, in base alla quale il Parlamento di Teheran avrebbe approvato una legge che prevederebbe l'obbligo per gli ebrei, i cristiani ed i zoroastriani di indossare obbligatoriamente una fascia di riconoscimento di diverso colore a seconda della propria fede religiosa. Tale codice di colori permetterebbe ai musulmani di riconoscere facilmente gli aderenti ad altre religioni evitando che possano stringere loro la mano per sbaglio, diventando così ''najis'' (sporchi). Ciò che di gran lunga impressiona di più in questa notizia è però il colore giallo della fascia che sarebbero obbligati ad indossare gli ebrei, cosa che ricorda sin troppo da vicino uno dei principali provvedimenti presi dal governo nazista in Germania negli anni che hanno portato all'Olocausto. La notte tra il 9 ed il 10 novembre 1938, infatti, in seguito all'uccisione di un funzionario dell'ambasciata tedesca a Parigi da parte di un ragazzo ebreo diciassettenne, in Germania furono incendiate o distrutte oltre 200 sinagoghe, profanati cimiteri, e distrutti oltre 7500 negozi di ebrei. Fu la famosa Kristallnacht (Notte dei Cristalli) ed alla fine di questa notte di follia sarebbero state un centinaio circa le vittime. Pochi giorni dopo, il 14 novembre, il governo nazista decise di imporre alla comunità ebraica un "Tributo espiatorio" di 1250 milioni di marchi per aver causato questi incidenti. Gli ebrei furono inoltre obbligati a portare sugli abiti una fascia raffigurante una "stella di Davide" gialla e venne imposto loro il divieto di partecipare a pubbliche manifestazioni e di frequentare luoghi pubblici (teatri, stazioni turistiche, giardini) e mezzi di trasporto pubblici. Fu interdetto loro persino l'accesso alle scuole superiori. E' stato questo il via definitivo alla grande persecuzione che alla fine della guerra avrebbe portato ad oltre 6 milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento nazista.

E' facile quindi immaginare il sentimento che si è potuto provare da parte di chiunque avesse un minimo di coscienza storica di fronte alla notizia della legge discriminatoria approvata dal Parlamento di Teheran. Il problema è che siamo ancora una volta di fronte ad un ennesimo caso di falso clamoroso. Stavolta è stato un giornale canadese, il National Post, a pubblicare per prima questa notizia, sulla base di fonti dell'esilio iraniano in Canada, affermando che "una bozza della legge a tal proposito era già stata redatta nel 2004, durante la presidenza riformista di Mohammed Khatami, ma l'iter parlamentare era stato fermato. Il blocco è stato rimosso solo ora sotto le pressioni del nuovo leader Ahmadinejad". Immediata è venuta la smentita da parte iraniana. Il presidente della Commissione Cultura del Parlamento iraniano, Emad Afroogh, ha infatti dichiarato che si tratta di "una menzogna pura e semplice" e un suo collega, il parlamentare di origine ebraica, Maurice Motammed, ha smentito ufficialmente la notizia in una dichiarazione all'agenzia di stampa France Presse: "Ero presente in aula quando il progetto di legge sulla moda islamica è stato votato. Non c'è alcun riferimento a fasce o fiocchi colorati per le minoranze religiose".

Esiste infatti davvero un progetto di legge in discussione al Parlamento iraniano, riguardo la moda islamica. Ma non fa alcun riferimento nel suo testo a discriminazioni di qualsiasi tipo nei confronti delle minoranze religiose. L'obiettivo del progetto di legge in questione è invece quello di scoraggiare le ragazze iraniane a vestire all'occidentale, alzando le tasse sull'importazione di vestiti dall'estero e finanziando una campagna stampa per incoraggiare i cittadini iraniani a vestire secondo i dettami della legge iraniana. Una legge quindi ben diversa da quella che il National Post voleva far passare come reale, per quanto condannabile possa comunque essere ad occhi occidentali. Ricordiamo comunque che nonostante le restrizioni in vigore in Iran, le donne iraniane hanno comunque di gran lunga molti più diritti che le loro colleghe in Arabia Saudita o in altri Paesi islamici della regione. In Iran infatti le donne possono guidare l'auto, votare e persino essere elette ad uffici pubblici.

Nonostante le immediate smentite da parte iraniana, la notizia ha comunque fatto il giro del mondo e non sono mancati i primi commenti durissimi da parte di leader politici e opinionisti. Ad esempio Stephen Harper, primo ministro canadese, e John Howard, premier australiano in visita a Ottawa, hanno denunciato la legge come "ripugnante". "E' incredibile che un regime possa immaginare di applicare una direttiva che ricorda il Terzo Reich", hanno commentato. Più sobrio è stato invece il commento del Dipartimento di Stato americano: il portavoce Sean McCormack era stato molto prudente. "Non è la prima volta che circolano notizie non confermate su questa legge", anche se "sarebbe un ritorno alla politiche della Germania nazista dovessero tali notizie essere confermate".

Anche l'Italia ha dato il suo contributo alle polemiche sul nulla. Come riportato dal Corriere, che ad onor del vero, assieme a La Repubblica ha anche espresso sia pur flebili dubbi sulla veridicità della storia, un parlamentare dell'UDC, Luca Volontè, ha chiesto al neoministro degli esteri, Massimo D'Alema, di valutare l'ipotesi di porre in essere un embargo economico nei confronti della repubblica islamica iraniana. Su Il Giornale invece, Renzo Foa è partito all'attacco a spron battuto, parlando di abberrazione, razzismo e comportamenti di stampo nazista a cui va risposto con assoluto rigore da parte dell'Occidente. Alla fine si è mosso anche il Centro Simon Wiesenthal che ha addirittura scritto al segretario generale dell'Onu Kofi Annan per protestate contro l'inesistente misura.

Il vero problema è che, molte volte, in casi come questo, se la notizia ha avuto subito le prime pagine dei giornali, non si può dire la stessa cosa della smentita. Il risultato è che per molte persone che sono venute a conoscenza solo in maniera superficiale della faccenda, la sensazione rimane quella di orrore e di sdegno per qualcosa che in realtà non è mai successo. Non è comunque certo la prima volta che accade.
Le Psychological Operations (PSY-OP è l'acronimo inglese) sono infatti quelle operazioni che vengono pianificate al fine di fornire informazioni selezionate a un determinato pubblico straniero o anche interno ad uno specifico Paese, in modo tale da influenzare le emozioni, i motivi, i ragionamenti oggettivi ed in ultimo anche il comportamento dei governi, delle organizzazioni politiche, dei gruppi e degli individui. Il proposito di una PSY-OP è quindi quello di indurre o rinforzare attitudini e comportamenti che sono ritenuti favorevoli a quelli che sono gli obiettivi di chi ha posto in essere tali operazioni. Tale concetto è stato usato in larga parte dalle istituzioni militari e di intelligence in tutto il 20esimo secolo ed è usato su larga scala ancora oggi, come abbiamo potuto vedere.

E' attraverso le PSY-OP che si sviluppa quel meccanismo vizioso che ha già portato più volte alla trasformazione della stampa americana e mondiale in semplice cassa di risonanza per le menzogne dell'Amministrazione americana, che abbiamo visto all'opera nei mesi precedenti la guerra in Iraq. Il gioco è semplice: basta spararle sempre più grosse e la stampa viene subito dietro a queste menzogne, propagandandole per tutto il mondo. Eventuali smentite arriverebbero solo quando è troppo tardi e tale 'non notizia' ha già provocato sdegno e riprovazione ovunque, a tutto vantaggio di chi vuole propugnare una causa particolare attraverso le menzogne, come in questo caso l'intervento militare contro l'Iran. Il fatto è che dopo la vergogna delle armi di distruzione di massa inesistenti per l'Iraq, la stampa mondiale avrebbe il dovere di verificare più in dettaglio le proprie fonti prima di sparare a zero notizie di questa gravità che poi, puntualmente finiscono per risultare false. Ne va della credibilità dei giornalisti e del loro lavoro, già fin troppo infangata dai tanti scandali degli ultimi mesi.

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