di Eugenio Roscini Vitali

Mahmoud Al-Mabhouh, funzionario di Hamas conosciuto con il nome di battaglia di Abu al-Abd e tra i fondatori delle brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato del Movimento islamico di resistenza palestinese, non doveva morire: questa è l’ultima conclusione cui sarebbero arrivati gli uomini dell’intelligence americano. Che puntano piuttosto sull’ipotesi del rapimento e sulla possibilità che l’ostaggio sarebbe poi entrato a far parte di una trattativa di scambio per ottenete la liberazione del caporale Gilead Shalit, il soldato israeliano catturato il 25 giugno 2006 da un commando palestinese nei pressi di Kerem Shalom, kibbutz non lontano dall’omonimo varco al confine con la Striscia di Gaza.

La valutazione dell’intelligence, riportata sul web da alcuni organi di stampa israeliani, parte dal presupposto che i servizi segreti dello Stato ebraico sono stati sempre certi del ruolo svolto da Mabhouh all’interno dell’organizzazione che gestisce l’approvvigionamento di armi iraniane verso Gaza e che, per la sua liberazione, Hamas sarebbe stato pronto ad accettare qualsiasi richiesta.

Secondo il piano, gli uomini del commando, arrivati negli Emirati con voli provenienti da Parigi, Francoforte, Roma e Zurigo, avrebbero dovuto intercettare Mabhouh all’interno dell’hotel Al-Bustan Rutana di Dubai prima che lo stesso ripartisse per Bandar Abbas, in Iran, dove lo stava attendendo una spedizione di armi da inviare a Gaza. All’interno della camera, Mabhouh sarebbe stato messo fuori combattimento con una quantità di droga tale da poterlo scortare fuori dalla hall sulle sue gambe e senza destare sospetti. Raggiunto il porto, sarebbe stato imbarcato su uno yacht, con il quale avrebbe raggiunto il Mar Rosso.

Una volta superato il Golfo di Aden, sarebbe stato consegnato ad una nave militare israeliana e scortato fino al porto di Eliat, in Israele. Secondo i servizi segreti americani la seconda parte del piano non sarebbe però andata a buon fine e Mabhouh sarebbe morto a causa dell’eccessiva dose di farmaci somministratagli e al suo stato di salute. Di fronte al tragico “incidente”, il capo della cellula che aveva il compito di portare il leader palestinese al di fuori dell’albergo avrebbe deciso di annullare l’operazione, ordinando agli agenti di ripiegare e lasciare il Paese in tutta fretta.

Per alcune ore i servizi di sicurezza di Dubai hanno pensato che la morte del palestinese, arrivato da Damasco con il volo EK912, fosse dovuta a cause naturali e, quando hanno iniziato ad analizzare le immagini del capillare sistema di telecamere a circuito chiuso, era ormai troppo tardi: il team si era dileguato e quelle che rimanevano erano solo una serie di false identità contenute in undici passaporti (sei britannici, tre irlandesi, uno tedesco ed uno francese) che hanno fatto arrabbiare i governi occidentali e hanno messo in grave imbarazzo Israele, che comunque continua a negare ogni coinvolgimento.

Ma per il capo della polizia di Dubai, Dahi Khalfan Tamim, non ci sono dubbi: dietro la morte di Mabhouh c’è il Mossad e, a confermare tale ipotesi, ci sono gli undici ordini d’arresto emessi contro i presunti sicari e il fermo di altre cinque o sei persone, compresi un’ex funzionario dell’entourage del presidente Abu Mazen e Nehru Massud, uno dei fedelissimi del numero uno di Hamas che si sospetta abbia aiutato gli israeliani ad identificare la vittima e che la mattina del 20 gennaio sarebbe stato visto a Damasco in compagnia di Mabhouh.

Se l’operazione fosse andata in porto, sarebbe però passata alla storia come un’impresa eccezionale, un tentativo che, alla luce dei fatti, ha solo prodotto una crisi diplomatica e costretto il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a riprendere in considerazione la proposta del mediatore tedesco Gerhard Konrad. La morte di Mabhouh ha inoltre fatto un’altra vittima illustre, il capo del Mossad, Meir Dagan, affondato da quella serie di passi falsi, veri o presunti, che negli ultimi anni hanno minato un’immagine di uomo invincibile costruita in oltre quarant’anni di carriera.

A volerlo a capo dell’Istituto per l'intelligence e servizi speciali era stato Ariel Sharon, che nel 2002 lo aveva nominato direttore al posto di Ephraim Halevy. Fiducia confermata nel 2006 dal primo ministro Ehud Olmert, che gli aveva affidato il delicato compito di scoprire i segreti della struttura di comando e controllo degli Hezbollah, per altro fallito, e poi da Benjamin Netanyahu, che lo autorizzò a progettare ed eseguire il sequestro di Mahmoud Al-Mabhouh, miseramente conclusosi con la morte del membro di Hamas.

Sotto la guida di Dagan il Mossad ha sicuramente aumentato la sua attività e, a differenza del periodo in cui dirigeva Halevy (1998-2002), ha rilanciato le micidiali operazioni sotto copertura che negli anni Settanta l’hanno reso famoso. Preoccupato per la minaccia rappresentata dai legami tra Iran, Siria, Hamas ed Hezbollah, nel febbraio del 2008 avrebbe autorizzato l’attacco contro Imad Fayez Mughniyeh, esponente di spicco del movimento sciita libanese ucciso a Damasco dall’esplosione della sua auto, saltata in aria nei pressi del quartier generale dell’intelligence siriana.

Sei mesi più tardi, nell’agosto dello stesso anno, una cellula operativa del Mossad avrebbe inoltre partecipato all’assassinio del Generale siriano Mohammed Suleiman: il consulente per la sicurezza del presidente Bashar Al-Assad, venne assassinato a Tartus con una pallottola in testa sparata da un cecchino mentre passeggiava nel giardino della sua villa.

Fallita l’operazione “Al-Mabhouh”, la liberazione di  Gilad Shalit ha ripreso la strada della trattativa diplomatica, quella dello scambio di prigionieri proposto lo scorso anno dal mediatore tedesco Gerhard Konrad. Secondo quanto riportato dalla Tv araba Al Jazeera, il premier Benjamin Netanyahu avrebbe dato il suo assenso al rilascio di mille detenuti palestinesi, che potrebbero rientrare nei territori subito dopo l'assenso di Hamas al rilascio del caporale israeliano.

Ricordando il prezzo pagato dal fratello Jonathan, ucciso nel 1976 ad Entebbe, durante l’operazione che portò alla liberazione dei passeggeri del volo Air France dirottato in Uganda da un commando di terroristi palestinesi e tedeschi, Netanyahu ha però precisato che i detenuti più pericolosi non potranno tornare in Cisgiordania e che, nella lista dei mille prigionieri, non potranno essere inseriti i nomi di quelli ritenuti più pericolosi: «Tutti vogliamo il ritorno di Shalit, ma come Primo Ministro devo prendere in considerazione tutto ciò che possa evitare il ripetersi degli errori del passato e che possa causarci nuove tragedie».

Un discorso liquidato da Hamas come mero tentativo di manipolare l’opinione pubblica e che in Israele ha raffreddato gli entusiasmi di quella parte del Paese che sostiene la campagna pro-Shalit e preme sul governo in favore della trattativa.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy