di Eugenio Roscini Vitali

Secondo gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) entro breve tempo Teheran potrebbe essere in grado di armare i propri missili balistici con testate nucleari. Dallo scorso maggio la produzione di uranio a basso livello di arricchimento sarebbe aumentata del 15% e negli ultimi mesi dalle centrifughe a cascata di Natanz sarebbero stati estratti tra i 1.800 e i 2.800 chilogrammi di combustibile nucleare arricchito tra il 3% e il 5% e 22 chilogrammi di materiale fissile arricchito al 20%.

Il fatto di per sé conferma il sospetto che in Iran il nucleare non sia solo finalizzato a scopi puramente civili e che l’industria bellica è ora più vicina alla soglia limite per produrre armi atomiche a bassa affidabilità, uranio a basso livello di arricchimento dove l’isotopo U235 raggiunge una concentrazione del 60%.

Attualmente le centrifughe attive sarebbero 3.772, ma a fine agosto 2009 l’IAEA ne aveva contate 8.308, 4.592 delle quali funzionanti; altre 3.000 sarebbero dovute diventare operative se la costruzione dell’impianto di Fordow, poi apparentemente sospesa, fosse stata terminata, ma secondo l’intelligence americano nei piani dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell'Iran (AEOI) ci sarebbero anche altri progetti.

Al timore che le continue obiezioni poste da Teheran sul personale scelto dall'IAEA servano ad impedite le attività di controllo stabilite dall’agenzia internazionale con sede in Vienna, si è aggiunto il sospetto che la Repubblica islamica abbia quasi concluso la costruzione di un nuovo sito segreto per l'arricchimento dell'uranio, un tunnel scavato nelle montagne a nord-ovest di Teheran che verrebbe gestito direttamente dallo stesso ministero della Difesa.

L'allarme è stato lanciato l’8 settembre scorso dalla rappresentante negli Stati Uniti per il Consiglio nazionale della resistenza iraniana, Soona Samsami, che durante una  conferenza stampa tenuta a Washington ha dichiarato che i lavori di costruzione sono stati quasi completati e che nel nuovo impianto potranno essere collocate migliaia di centrifughe.

Le informazioni divulgate da Samsami sono suffragate dalle foto raccolte negli ultimi anni nella regione ad ovest del lago Taleghan dai satelliti americani, sulle montagne di Alborz: 100 chilometri a nord della capitale e a non più di 25 chilometri dalla città di Abyek, lungo l’autostrada che collega Qazvin a Karaj, tra i villaggi di Behjatadan e Todaran, gli iraniani starebbero ultimando la costruzione di un impianto atomico sotterraneo che gli addetti ai lavori hanno identificato con il nome in codice di “sito 311”.

Il sito fa parte della rete di centri di comando e controllo e di laboratori per lo sviluppo di armi nucleari chiamata MOJDEH, la struttura diretta da Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, professore di fisica all’università Imam Hossein di Teheran e tra i responsabili del Progetto 111, il programma che segue la realizzazione di una testata nucleare da installare sui missili Shahab-3.

Accessibile attraverso una galleria alta 8 metri e lunga circa 200, l’impianto è posto a quasi 100 metri di profondità ed in superficie occupa un area di 30 chilometri quadrati; difeso da batterie anti-aeree, si trova all’interno di una zona militare identificata come Javad-nia 2 (Javad-nia 1 è una base di addestramento e supporto logistico che sorge qualche miglio a sud est nei pressi del villaggio di Jazmeh e che viene utilizzata per fornire supporto logistico al personale impegnato nel “sito 311”).

Nel novembre scorso le autorità iraniane hanno dichiarato l’intenzione di voler costruire dieci nuovi siti nucleari, impianti che si andrebbero ad aggiungere a quelli già esistenti o in avanzato stato di realizzazione. Il centro di ricerca di Isfahan, identificato come base industriale per la produzione dei missili Shahab, Fadjr, Nazeat e Zelzal e “primary location” dell’industria bellica iraniana, è ormai considerato il cuore del programma atomico iraniano.

Intorno alla città di Isfahan, 415 chilometri a sud di Teheran, il regime ha costruito il progetto annunciato nel febbraio 2003 dal presidente Mohammad Khatanmi: l’intero ciclo industriale che entro il 2023 permetterà all’Iran di produrre in ambito nazionale il combustibile nucleare necessario a produrre 6.000 megawatt di energia.

Dal 1988 ad oggi l’Iran ha aperto non meno di dieci miniere di uranio, depositi stimati per un totali di circa 5.000 tonnellate di materiale fissile: la miniera di Saghand, nel deserto dell'Iran centrale, è certamente la più conosciuta ma se ne registrano numerose anche nella vasta regione del Khorassan e nelle province di Hormozgan, Sistan-Baluchestan, Bandar-e-Abbas e Badar-e-Lengeh, sul Golfo Persico. Il materiale estratto in natura viene poi trattato nella struttura di Ardekan, provincia di Yazd, dove viene macinato e trasformato in ossido di uranio, lo yellowcake, che viene utilizzato nella fase di arricchimento e che in Iran dovrebbe essere disponibile per circa 20.000 tonnellate.

Ufficialmente utilizzato per fini scientifici, il reattore sperimentale a bassa potenza da 40 megawatt costruito nella città di Arak, 300 chilometri a sud di Teheran, è sicuramente uno dei siti di maggiore interesse per l’intelligence occidentale. Inaugurato il 26 agosto 2006 dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, l’Arak Heavy Water Production Plant è un reattore nucleare IR-4 ad acqua pesante (di-ossido di deuterio) che favorisce l’utilizzo di uranio non arricchito dal quale viene prodotto il plutonio e trizio, sostanze utilizzate nella produzione di armi nucleari avanzate.

Al centro ricerche di Isfahan, che impiega circa 3.000 scienziati e dispone di un reattore di ricerca miniaturizzato a sorgente neutronica da 27 chilowatt, e alla centrale di Arak si aggiungono: il sito sotterraneo di Natanz, 40 chilometri a sud di Kashan, utilizzato per l’arricchimento dell’uranio e in grado di ospitare fino a 50.000 centrifughe; gli impianti sotterranei di Abyek e Fordow, ancora in costruzione ma che entro breve tempo potrebbero essere usati per produrre uranio altamente arricchito; la centrale da 360 megawatt di Darkhovin, in costruzione nei pressi del fiume Karun, a sud della città di Ahvaz, provincia del Khuzestan, un progetto annunciato il 10 dicembre 2005 che prevede l’uso esclusivo di combustibile prodotto in Iran, e la centrale nucleare ad uso civile di Bushehr, inaugurata lo scorso 21 agosto, che con il suo primo reattore sarà in grado, entro fine anno, di produrre 915 megawatt (altri due reattori sono in fase di costruzione e dovrebbero entrare in funzione nel 2011 e nel 2012).

E’ proprio a Bushehr che l’Iran starebbe spostando gran parte delle risorse utilizzate nel programma di ricerca nucleare: nell’enorme area di stoccaggio utilizzata dalle società russe durante la fase di costruzione dell’impianto starebbero affluendo armi e una grande quantità di materiale proveniente dagli impianti a nord di Teheran e dal sito di Arak. Secondo fonti israeliane l’Iran è certo che l’attivazione della centrale abbia reso l’area più sicura e che il pericolo di un attacco contro Bushehr sia ormai scongiurato: la paura dell’emissione di radiazioni e il conseguente disastro ambientale causato da un bombardamento aereo avrebbe dissuaso il Pentagono dall’intraprendere una missione di attacco.

L’iniziativa, proposta dal Consiglio nazionale di sicurezza ed approvata dallo stesso Ayatollah Ali Khamenei, capo delle forze armate iraniane, prevede inoltre il trasferimento dei laboratori di ricerca e sviluppo impegnati nel settore dei missili balistici e degli armamenti presenti nella provincia meridionale del Khuzestan.

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