di Carlo Musilli

Alla fine una decisione l’hanno presa e, come si dice in questi casi, stavolta si tratta di un “impegno concreto”.  Il vertice Onu sulla povertà si è chiuso con l’annuncio di uno stanziamento da jackpot: 40 miliardi di dollari raccolti fra governi, associazioni e singoli privati. Di soldi, effettivamente, non se ne erano mai visti così tanti. È il tempo che scarseggia. Resta ancora in piedi, infatti, l’ambiziosissimo progetto concepito dieci anni fa: la “Dichiarazione del millennio”, firmata da 189 capi di stato nel settembre del 2000.

Il documento stabiliva otto obiettivi da perseguire nei successivi quindici anni per il bene del pianeta. Più che da tecnici esperti di questioni internazionali, sembravano scritti da Tommaso Moro: dimezzamento della povertà, parità dei sessi, riduzione di due terzi della mortalità infantile, miglioramento della salute materna, lotta ad Aids, malaria e tubercolosi, educazione primaria per tutti, sostenibilità ambientale e partenariato mondiale per lo sviluppo.

Purtroppo, il 2000 è ormai un ricordo lontano. Restano solo cinque anni per dare seguito alle promesse. “Il tempo stringe e c’è ancora molto da fare”, ha ammesso Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu. Forse si sono resi conto di aver un po’ esagerato dieci anni fa, sull’onda dell’entusiasmo neomillenario. Eppure, sembra esserci ancora una certa fiducia sulla possibilità di salvare 16 milioni di vite umane entro il 2015.

In questo clima di palingenesi morale, l’astuzia tagliente del francese tascabile lascia ancora una volta tutti di stucco. “Non ce la faremo con i fondi pubblici, ci vogliono finanziamenti alternativi. Perché attendere? La finanza si è globalizzata in nome di che cosa?”. Con queste parole il presidente Sarkozy  scuote i suoi colleghi. Le orecchie dei banchieri cominciano a fischiare. Sarkò sgancia la bomba: servono i fondi per gli obiettivi del Millennio? Ricaviamoli da “un piccolo prelievo sulle transazioni finanziarie”.

Lodevole trovata, anche se non proprio originale. In realtà rispolvera la vecchia Tobin Tax, concepita nel 1972 dal premio Nobel per l’economia James Tobin, che proponeva di tassare le transazioni valutarie con un’aliquota bassa, attorno allo 0,05%.

L’aspetto ironico è che Sarkozy, proprio lui, sembra interpretare la Tobin Tax alla maniera dei no-global. Originariamente, infatti, lo scopo fondamentale dell’economista statunitense era di ammortizzare le fluttuazioni dei tassi di cambio scoraggiando le speculazioni a breve termine. Anni dopo, i movimenti contrari a questa globalizzazione accentuarono un aspetto che per Tobin non era capitale: la possibilità di investire i soldi ricavati dalla tassa per salvare il pianeta.

Per restare con i piedi sulla terra, sembra difficile che le lobby della finanza, dopo aver disinnescato perfino la riforma di Obama, si lascino sfilare anche una sola moneta dalla proposta di un inedito Presidente-Robin Hood. Tuttavia, é significativo che l’idea sia venuta a Sarkò proprio in questo momento. Per sei mesi è stato presidente dell’Unione Europea, ma evidentemente all’epoca aveva altre cose cui pensare.

E questa può suonare come l’ultima trovata funambolica di un vero esperto nelle tecniche della distrazione. Il rimpatrio dei rom ha distratto i francesi dallo scandalo Bettencourt. Forse la Tobin-Sarkozy Tax servirà a distrarre il mondo dal rimpatrio dei rom. Ai sondaggi non può far male.

Come al solito, l’Italia ha preso una posizione chiara e decisa sulla vicenda: “Non siamo contrari - ha dichiarato il ministro degli Esteri Frattini - ma deve essere un’iniziativa condivisa, non unilaterale, che trovi almeno il sostegno dei paese del G20”. Sarebbe a dire, “fate vobis”. In ogni caso, l’onestà intellettuale impone una precisazione. L’Onu ha chiesto ai paesi più sviluppati di stanziare lo 0,7% del Pil per lo sviluppo del terzo mondo. La media europea è del 4%.

Quella dell’Italia, causa debito pubblico ipertrofico, è di un imbarazzante 0,16%. Inoltre, siamo gli unici a non aver versato al Fondo globale per la lotta all’Aids, la malaria e la tubercolosi il denaro che avevamo promesso. Gli dobbiamo ancora 260 milioni di Euro. I finanziamenti francesi, invece, l’anno prossimo aumenteranno del 20%.

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