di Mario Braconi

Rupert Murdoch, con la sua News Corporation, possiede il 39% di BSkyB, conosciuta nel mercato borsistico britannico con il nome di Sky: si tratta di una partecipazione di controllo, che gli consente fra l’altro di nominare l’amministratore delegato; dal 2003 al 2007 questo incarico è stato ricoperto da suo figlio James. Eppure, vi sono ottime ragioni, finanziarie e politiche, per mettere sul piatto i 7,8 miliardi di sterline necessari a rilevare dagli altri azionisti la quota restante del pacchetto azionario dell’operatore televisivo satellitare.

BSkyB è una società di enorme successo: perfino in piena recessione è riuscita ad aumentare il numero dei suoi abbonati, spremendo a ciascuno di loro, mediamente, più soldi. Anche grazie al bundling (“pacchetto”) dell’offerta televisiva con quella di banda larga e telefono, infatti, il fatturato per singolo cliente di BSkyB è salito del 16% in soli due anni. Bastano due cifre: i sudditi della Regina, che si lamentano del canone dovuto alla BBC (145,50 sterline l’anno), pagano volentieri a Sky una somma tre volte e mezzo più elevata.

In effetti in casa BSkyB alla ciclopica potenza di fuoco finanziaria hanno dimostrato di saper coniugare un notevole fiuto per i gusti del pubblico, unitamente alla capacità di plasmarne le preferenze, spesso facendo leva su una combinazione di sapienza commerciale e tecnologia.

Come ricorda The Economist, BSkyB, la prima società a trasmettere via internet, è riuscita a vendere a 7,5 milioni di clienti i suoi recorder digitali (i dispositivi che consentono di fruire dei programmi televisivi come se fossero un dvd) e ha convinto 3 milioni di persone dell’indispensabilità della TV ad alta definizione (ad ottobre sono cominciate perfino le prime trasmissioni in 3D, quelle che richiedono l’uso degli speciali “occhiali”).

Insomma, BSkyB è una macchina per fare soldi e Murdoch vorrebbe averla tutta per sé. Peccato però che il magnate si sia inizialmente dimostrato un po’ tirchio: alla sua prima proposta di rilevare i titoli in mano agli altri azionisti ad un prezzo prima di 6,75 e poi di 7,00 sterline, si è sentito rispondere che non se non sarebbe fatto nulla, a meno che il prezzo non arrivasse almeno ad 8,00.

Murdoch e i potenziali venditori hanno concordato di ritornare sul tema del prezzo una volta ottenute le autorizzazioni degli enti di vigilanza. In primo luogo l’Antitrust Europeo, poi le autorità britanniche: prima quindi Ofcom (Antitrust) e poi il Governo di Sua Maestà. Poiché Murdoch è proprietario di quattro quotidiani inglesi importanti (The Times, News Of The World, Sunday Times e The Sun) la preoccupazione di molti è che l’acquisizione della proprietà totale di BSkyB possa comportare una seria restrizione del pluralismo nell’informazione in Gran Bretagna.

Un allarme in tal senso è stato lanciato già a settembre da Claire Enders, titolare di una società di ricerche di mercato di Londra specializzata nel settore delle comunicazioni: a quanto si apprende da un articolo del Guardian del 20 settembre, la battagliera americana (naturalizzata britannica) avrebbe trasmesso al ministro dell’Economia dell’attuale governo, il liberal-democratico Vincent Cable, un memo che, con il supporto di dati quantitativi, sintetizza una situazione della libertà d’informazione in Gran Bretagna piuttosto preoccupante.

Prima ancora dell’annuncio di Murdoch, la News International (la holding che detiene i pacchetti azionari dei quattro quotidiani) controlla oltre il 37% della tiratura dei giornali britannici, Sky ha l’80% del mercato della tv a pagamento ed il 16% della raccolta pubblicitaria. Enders sostiene, provocatoriamente, che in Gran Bretagna Murdoch avrebbe già oggi molto più potere di quanto Berlusconi abbia in Italia (come molti stranieri fa fatica a comprendere, o forse non riesce a capire che in Italia il Presidente del Consiglio controlla anche la televisione pubblica).

In ogni caso, conclude la Enders, se il progetto di Murdoch dovesse andare a buon fine, tra il 2015 e il 2020 le sue società controllerebbero più della metà delle entrate, tanto nel mondo della televisione che in quello dei quotidiani. Inoltre, il sussidio incrociato di introiti dalla televisione al mondo (finanziariamente più impervio) della carta stampata, finirebbe per fare a pezzi tutti i giornali concorrenti (di destra o di sinistra). In questo contesto si inscrive l’iniziativa bipartisan di quattro giornali non (ancora) controllati dal magnate di origine autraliana (The Daily Telegraph, Daily Mail, conservatori, Daily Mirror e Guardian, di sinistra) i quali, con una mossa inedita, hanno scritto direttamente a Cable, ribadendo la preoccupazione che “l’operazione di acquisizione proposta potrebbe avere delle conseguenze gravi e pervasive sul livello di pluralismo dei media in Gran Bretagna”.

Una bella gatta da pelare per il governo di coalizione Conservatore-Liberaldemocratico, ed in particolare per il titolare del Ministero dell’Economia. Murdoch, infatti, ha un’enorme influenza politica in Gran Bretagna (viene scherzosamente definito “il ventiquattresimo ministro”), specialmente adesso che, grazie al voltafaccia con il quale ha sostenuto i Conservatori dalle colonne dei suoi quattro quotidiani, ha portato Cameron a Downing Street.

A proposito di commistioni insane tra politica ed informazione, è il caso di ricordare che il responsabile della comunicazione di quest’ultimo è Andy Coulson, ex direttore di News of The World, periodico della scuderia Murdoch, cui viene attribuito un modus operandi incline all’uso di intercettazioni telefoniche illegali).

Riuscirà “il nostro eroe” Cable a bloccare il rapace Murdoch? Solo il tempo potrà dirlo. Vale la pena però notare la superficialità con cui l’Economist dà la sua benedizione all’eventuale futura fusione News of the World - BSkyB. Il blasonato settimanale argomenta che anche il Guardian sopravvive (perdendo 61 milioni di sterline solo quest’anno) grazie agli introiti di una società del gruppo controllante (un sito a pagamento di compravendita di autovetture) e che il Washington Post rimane a galla solo grazie al denaro del gruppo Kaplan (colosso della formazione).

Un argomento molto debole, dato che tanto i siti automobilistici che i servizi alla formazione non creano sinergie significative con il mondo dell’informazione o, comunque, sotto questo aspetto pongono un problema meno grave rispetto a quello di un player dominante sia sul mercato televisivo che in quello della carta stampata.

Ma, a quanto pare, anche le considerazioni più banali diventano tabù quando il liberalismo viene confuso con il liberismo più acritico ed arrogante. Senza dimenticare che, in un mondo dominato dai Murdoch, è possibile che anche i giorni di The Economist (almeno del The Economist che, grazie alla sua struttura societaria, fornisce informazione indipendente) siano contati.

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