di Carlo Musilli

 La violenza è tornata in Sudan prima del previsto. A circa un mese dal referendum, a neanche una settimana dall'annuncio dei primi risultati ufficiali che ne sanciscono l'autonomia, il sud del Paese è già teatro di nuovi scontri. Mercoledì i ribelli della regione di Jonglei hanno posto fine alla tregua stipulata il 5 gennaio scorso con il governo del Sud. A guidarli è l'ex generale George Athor, che accusa il partito leader del Paese di brogli alle elezioni dello scorso aprile. Secondo molti sarebbe sostenuto da Kartoum.

La prima vittima del nuovo clima di tensione è stata Jimmy Lemi Milla, ministro per le Cooperative e lo Sviluppo rurale. E' stato ucciso a colpi di pistola nel suo ufficio di Juba, futura capitale del nuovo stato. Pare che a fare fuoco sia stato un autista ministeriale, ma non si sa che fine abbia fatto. Forse si è ucciso, forse è stato arrestato, forse è fuggito. Di sicuro c'è soltanto che Lemi Milla era un membro del National Congress Party: lo stesso di El Bashir, premier al nord, e opposto al Sudan People's Liberation Movement, la cui ala armata è, di fatto, l'esercito del Sud Sudan.

E' quindi improbabile che ad organizzare l'assassinio del ministro siano stati i ribelli. Le speculazioni sono state tante: oltre al delitto politico si è parlato di moventi etnico-tribali e anche familiari-personali. Poco importa. Certo è che questo piccolo mistero dà la misura dell'instabilità che domina il paese.  Forse è stata una miccia, fatto sta che, a poche ore dall'esecuzione di Lemi Milla, nel Sud Sudan sono iniziati due giorni di vera e propria guerra civile.

Le milizie ribelli di Athor hanno attaccato le città di Dor e Fangak, riuscendo a conquistare la seconda. I combattimenti sono continuati giovedì, finché l'esercito del Sud non è riuscito a recuperare il terreno perduto. Venerdi, finalmente, gli scontri si sono interrotti. Ma le 48 ore precedenti sono bastate a causare la morte di circa 140 persone. Secondo fonti militari, fra le vittime ci sarebbero 89 civili (compresi donne e bambini), 30 uomini di Athor e 20 fra soldati e poliziotti del Sud.

L'esercito ha detto di aver reagito a un attacco dei ribelli che fanno capo ad Athor, il quale a sua volta ha accusato i militari di aver attaccato per primi. Paradossalmente, entrambe le parti si dicono disponibili a trattare, ma non sembra essere in vista alcun negoziato.

Nessuno sembra disposto a prendersi alcuna responsabilità. Athor ha perfino detto al Sudan Tribune di non aver nulla a che fare con le violenze, che invece sarebbero state causate dell’Esercito per la Liberazione del Sudan, il più grosso movimento indipendentista e ribelle della regione. Il portavoce dell'Esercito del Sud, invece, ha dichiarato che, nonostante tutto, "lo spirito della riconciliazione sopravvive, perché la tregua è ancora in vigore. Quindi se Athor smettesse di combattere, noi lo accoglieremmo per riappacificarci".

Parole commoventi, che stridono però con il riarmo che entrambe le parti hanno iniziato da diversi mesi. Nulla può essere più precario di uno stato che ancora deve nascere (la dichiarazione di indipendenza è prevista per il 9 luglio) e in cui ancora niente è stato deciso: né il percorso del confine, né le modalità di sfruttamento delle risorse economiche, né il destino dello spaventoso debito pubblico del vecchio Sudan unitario.

In un quadro del genere, appare veramente complesso che possa prevalere lo "spirito della riconciliazione".  Soltanto la settimana scorsa, ad esempio, più di 60 soldati originari del sud, ma arruolati nell'esercito del nord, sono morti per un ammutinamento causato dalla notizia dell'imminente secessione. La mancanza di sicurezza è totale. D'altra parte il Sudan meridionale, dopo oltre 20 anni di guerra civile, è al contempo uno dei paesi più sottosviluppati al mondo e uno dei più ricchi di armi di tutta l'Africa.

Qui oltre 10 milioni di persone vivono di agricoltura su terreni prevalentemente desertici, con meno di un dollaro al giorno. La percentuale di mortalità legata al parto è una delle più alte al mondo e il tasso di analfabetismo è alle stelle. In compenso, il mercato dei kalashnikov, degli Ak 47 e soprattutto delle armi di piccolo calibro è una delle attività più redditizie.

Da tutto ciò si comprende quanto possano apparire velleitari, anche se apprezzabili, certi atteggiamenti di Salva Kiir, ex ribelle durante la guerra civile diventato leader del nascente stato meridionale. Rivolgendosi al governo del nord, Kiir ha chiesto di "guardare a questo grande momento della nostra storia e di prendere una decisione logica per la pace". Ma forse i fronti da gestire sono troppi. I ribelli di Athor, infatti, potrebbero addirittura diventare una preoccupazione marginale. Il vero timore di Kiir è che riprendano i combattimenti fra l'Esercito di Liberazione del Sud e le truppe di Kartoum.

 

 

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