di Michele Paris

Con l’ennesima sentenza favorevole ai grandi interessi economici del paese, lunedì scorso la Corte Suprema degli Stati Uniti ha inflitto un colpo mortale ad uno dei pochi strumenti rimasti ai cittadini per contrastare lo strapotere e gli abusi delle corporation. Il supremo tribunale americano ha infatti rigettato una class-action intentata da un milione e mezzo di ex dipendenti del gigante della distribuzione Walmart, accusato di aver sistematicamente messo in atto pratiche discriminatorie nei confronti delle proprie “associate” di sesso femminile.

La gigantesca causa collettiva contro una delle maggiori corporation del pianeta era stata avviata nel 2000. Secondo l’accusa, la specifica politica aziendale promossa dai vertici di Walmart, assieme al comportamento nei singoli mega-negozi dei manager locali, aveva permesso a questi ultimi di prendere decisioni discriminatorie in merito a retribuzioni e promozioni, largamente a favore dei dipendenti maschi.

A conferma di ciò, tra l’altro, ci sarebbe una statistica ricordata da Ruth Baden Ginsburg, uno dei quattro giudici della Corte Suprema che ha votato contro la maggioranza. Nei 3.400 negozi americani di Walmart, cioè, le donne occupano appena il 33 per cento delle posizioni dirigenziali pur rappresentando circa il 70 per cento dei dipendenti con paga oraria.

Il verdetto è stato emesso grazie ad una maggioranza risicata - 5 a 4 - con il voto dei singoli giudici che ha ricalcato la divisione ideologica che caratterizza l’attuale Corte Suprema. Contro la class-action si sono espressi i giudici conservatori, Antonin Scalia, Clarence Thomas, Samuel Alito, Anthony Kennedy e il presidente della Corte, John Roberts; a favore delle dipendenti di Walmart hanno votato invece i più moderati Stephen Breyer, Sonia Sotomayor, Elena Kagan e, appunto, il giudice Ginsburg. All’unanimità, invece, i nove giudici avevano respinto la richiesta di ottenere l’eventuale rimborso per il mancato adeguamento degli stipendi a causa delle discriminazioni di genere.

La Corte Suprema non ha in realtà espresso un giudizio di merito sulle effettive discriminazioni messe in atto da Walmart. Bensì, la sentenza ha negato alle ex dipendenti il diritto di unirsi in un’unica class-action per chiedere a un tribunale di decidere se siano state vittime o meno di pratiche discriminatorie. Nel 2009 una Corte d’Appello federale aveva dato il via libera alla class-action, decisione contro cui i legali di Walmart hanno fatto ricorso al tribunale costituzionale americano.

L’opinione di maggioranza è stata scritta da Antonin Scalia, uno dei giudici più a destra della Corte e fermo sostenitore dei diritti delle corporation. A suo dire, anche solo per garantire alla class-action di procedere, le accusatrici dovevano dimostrare che nei negozi Walmart esisteva una deliberata politica discriminatoria adottata dalla compagnia e che tale politica era imposta ad ogni singolo dirigente locale. Un obiettivo iniziale arduo alla luce delle dimensioni e della complessità di Walmart. I circa 1,5 milioni di casi, inoltre, non sono apparsi sufficientemente simili tra loro per giustificare una class-action.

La class-action consente a un gruppo di persone (“classe”) danneggiate dalle azioni di una corporation, di unire i propri singoli casi in un unico procedimento. Il precedente fissato lunedì dalla sentenza della Corte Suprema nel caso “Wal-Mart Stores contro Dukes”, renderà estremamente complicato nel futuro intentare una class-action contro una grande azienda negli Stati Uniti.

In particolare, la Corte ha stabilito che i giudici dei tribunali americani chiamati a decidere sulla legittimità di una class-action dovranno d’ora in poi considerare preliminarmente il merito delle accuse per verificare che sussistano le condizioni anche solo per avviare una causa collettiva.

A nulla sono serviti per convincere i cinque giudici conservatori le testimonianze portate dall’accusa di numerose ex dipendenti di Walmart che hanno raccontato episodi di ordinaria discriminazione. Per Antonin Scalia queste testimonianze hanno rappresentato soltanto aneddoti isolati, del tutto insignificanti in una class-action di questa portata.

La Corte ha anche scartato lo studio sull’ambiente manageriale nei negozi di Walmart del sociologo William Bielby, il quale aveva messo in luce la condizioni più favorevoli per i dipendenti di sesso maschile. A giudizio della maggioranza della Corte, il gap tra uomini e donne nelle retribuzioni e negli avanzamenti di carriera potrebbe essere spiegato da altri fattori, come ad esempio la carenza di donne sufficientemente qualificate in una specifica realtà locale.

Di fronte ad una delle sentenze più benevole al business a stelle e strisce da parte della Corte Suprema guidata da John Roberts - a sua volta una delle corti più favorevoli agli interessi del capitale privato nella storia americana - alle vittime delle discriminazioni di Walmart non resta che presentare denunce singole o a gruppi più ristretti. Una prospettiva solo teorica in realtà, visto che la maggior parte di esse rinuncerà a procedere contro il colosso di Bentonville, Arkansas. Dopo un decennio di contese legali che non hanno portato a nulla, è improbabile che in molte vorranno accollarsi le spese per sfidare una potente corporation che può permettersi decine di costosi avvocati.

Walmart opera ormai in 15 paesi nei quali gestisce quasi 9 mila negozi. Solo negli USA occupa qualcosa come 1,5 milioni di persone, mentre nel 2010 i suoi profitti hanno toccato i 12,7 miliardi di dollari.

Il successo economico di Walmart è dovuto in gran parte ad una politica tesa a comprimere le retribuzioni di quelli che ipocriticamente vengono definiti “associati”. Da anni Walmart è al centro di aspre polemiche a causa delle pratiche autoritarie e anti-sindacali normalmente adottate.

Il verdetto della Corte Suprema, che restringe in maniera drastica la percorribilità della class-action, è stato accolto comprensibilmente in maniera trionfale dal business americano. Uno degli avvocati che ha discusso il caso per il team legale assoldato dalla Camera di Commercio ha riconosciuto che la sentenza “rappresenta senza dubbio la decisione più importante da più di un decennio a questa parte sulle class-action”.

Di parere opposto sono state ovviamente le reazioni dell’accusa e delle associazioni a difesa dei diritti dei cittadini. A cogliere la portata storica della decisione della Corte è stato uno dei legali delle ex dipendenti Walmart, Joseph Sellers, il quale ha fatto notare come i cinque giudici di maggioranza abbiano “ribaltato 40 anni di giurisprudenza”, che in passato ha permesso a casi collettivi di procedere contro pratiche aziendali comuni messe in atto dalle corporation pur con effetti differenti sui singoli lavoratori coinvolti.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy