di Eugenio Roscini Vitali

Secondo fonti israeliane l’Iran avrebbe ormai assunto un ruolo di primo piano nella sanguinosa repressione che dal 18 marzo scorso il regime alawita di Bashar al-Assad sta mettendo in atto in Siria. Oltre alla fornitura di armi e di mezzi anti-sommossa, di fucili di precisione e di sistemi di comunicazione in grado di bloccare Internet, Teheran avrebbe inviato a Damasco un numero imprecisato di elementi appartenenti ai Guardiani della rivoluzione e alle forze Al-Quds. Guidati dal generale Qassem Suleimani, gli iraniani starebbero operando in appoggio alle forze speciali siriane e ai miliziani Hezbollah, determinati a prevenire la possibilità di infiltrazioni occidentali all’interno dei movimenti di protesta anti Assad.

Damasco nega che nel Paese siano presenti combattenti stranieri, ma alla Reuters un funzionario libanese della base araba vicino al regime siriano  ha dichiarato che «Hezbollah non interverrà mai in Siria. Questa è una questione interna che il presidente Bashar deve affrontare solo. Ma quando vedremo l'occidente attrezzarsi per abbatterlo, non potremo stare solo a guardare. Questa è una battaglia per l'esistenza del gruppo ed è tempo di restituire il favore alla Siria».

Sul fronte diplomatico l’ambasciatore Usa al Palazzo di Vetro, Susan Rice, ha dichiarato che «Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu deve condannare in maniera chiara e inequivocabile le atrocità e gli abusi che vengono commessi in Siria»; in relazione alla minaccia del veto posto da Russia e Cina sul testo di condanna presentato da Gran Bretagna, Francia e Germania la Rice ha inoltre ribadito che «il tempo è ormai scaduto e che è ormai giunta l’ora il Consiglio parli con una sola voce».

Bruxelles ha intanto esteso le sanzioni contro la Siria ad altre undici persone, tre delle quali iraniane, e a quattro società legate al regime di Bashar Assad. Gran Bretagna e Francia avrebbero inoltre messo a punto un’altra lista, composta da una decina di nomi tra persone ed enti, che si andrebbe ad aggiungere a quelle già esistenti e nella quale compaiono altri due iraniani, anche loro implicati nella fornitura di armi alla Siria. Le misure restrittive adottate da Bruxelles, che comprendono il divieto di visto e congelamento del patrimonio, sono state prese in considerazione a causa della gravità della situazione e fanno seguito alle sanzioni già imposte il 9 maggio scorso contro 13 funzionari e collaboratori del regime.

Secondo quanto reso noto dall'agenzia di stampa turca Anadolou, sarebbero poco meno di 12 mila i siriani che hanno già trovato asilo in Turchia (11.739 registrati alla mezzanotte del 23 giugno, più di 1.500 dei  quali arrivati nelle ultime 24 ore). Temendo l’assalto dell'esercito, sono centinaia le persone che superato il filo spinato che segna la frontiera; attraverso la strada utilizzata di solito dalle guardie di confine di Ankara, raggiungono poi la tendopoli che la Mezzaluna Rossa ha eretto nella provincia frontaliera di Hatay, all'estremità sud-orientale dell’Anatolia, regione tra l’altro rivendicata dalla Siria.

Damasco ha intanto schierato lungo la linea di confine migliaia di soldati, autoblindo e mezzi pesanti e secondo fonti della dissidenza le truppe siriane sarebbero già arrivare a poco più di 500 metri dal territorio turco. Testimoni oculari parlano anche d’irruzioni a Khirbet a-Joz, villaggio siriano a circa un chilometro dal confine, e a Managh, centro abitato situato 15 chilometri più a sud; qui i soldati, penetrati con l’appoggio dei blindati, avrebbero scatenando il panico e la fuga dei civili aprendo il fuoco incrociato sulla popolazione e dopo essersi ritirati avrebbero circondato l’area.

In base a quanto sta accadendo, le autorità turche hanno deciso di assicurare protezione a tutti coloro che si sentono minacciati e di poter attraversare il confine e raggiungere il campo profughi di Guvecci.

Nonostante le comunicazioni telefoniche intercorse tra Ankara e Damasco, l’apprensione rimane alta. Gli Stati Uniti sono preoccupati per le conseguenze che potrebbe avere la presenza di un così alto numero di soldati vicino al confine e il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha dichiarato che «se le forze siriane non cesseranno subito i loro attacchi e le loro provocazioni assisteremo a un’escalation del conflitto nella zona». Bashar Al-Assad intanto promette riforme democratiche e continua a parlare di complotto internazionale, mentre il suo ministro degli esteri, Walid Al-Moualem, ha chiesto ad Ankara di ripensarci e di non voltare le spalle alla Siria.

Il divorzio tra i due ex alleati sembra però già consumato, soprattutto dopo che il 10 giugno scorso, in un’intervista accordata alla tv turca, il premier turco Recep Tayyip Erdogan aveva denunciato senza mezzi termini i comportamenti inumani ed irresponsabili di Mahir Al-Assad, capo della Guardia repubblicana e fratello del presidente Bashar che sta soffocando la protesta puntando dritto al massacro.

Tornando alla presenza di unità iraniane in Siria, diversi testimoni avrebbero sentito alcuni componenti delle forze di sicurezza siriane parlare tra loro in Farsi: «Nella esercito siriano è vietato portare la  barba, così quando vediamo un militare con la barba sospettiamo che non faccia parte dell’esercito regolare».

I primi rapporti sulla partecipazione di iraniani alla repressione messa in atto dal regime Al-Assad, sarebbero arrivato dalla città di Daraa, dove ha avuto inizio la rivolta siriana, ma una fonte del quotidiano israeliano Hareetz parla addirittura di pasdaran coinvolti nell’organizzazione delle manifestazioni che hanno avuto luogo sulle alture del Golan il 15 maggio (commemorazione della Nakba) e lungo la frontiera israelo-libanese il 5 giugno scorso (commemorazione della Naksa).

Durante il giorno della memoria palestinese i Guardiani della rivoluzione avrebbero preparato il trasferimento in autobus dei manifestanti fino alla frontiera; gli iraniani sarebbero anche stati i promotori del radunato in Libano degli appartenenti al Fronte Popolare Ahmed Jibril per la liberazione della Palestina-Comando Generale, proteste che non hanno goduto del sostegno di Hezbollah e alle quali si era opposto l’esercito di Beirut. Tra l’altro in quella occasione si era parlato di 1.000 dollari pagati ad ogni partecipante alle proteste e di 10.000 dollari devoluti alle famiglie dei “martiri” rimasti uccisi durante le dimostrazioni anti-israeliane.
 

 

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