di Carlo Musilli 

Per quanto faccia male, una gamba in cancrena va amputata. Altrimenti si muore. Lo hanno capito anche i parlamentari di Atene, rassegnandosi ad approvare il nuovo piano lacrime e sangue che spezzerà la schiena alla Grecia nei prossimi anni, ma le consentirà di sopravvivere. Con 155 voti favorevoli, 138 contrari e cinque astenuti, è passata la manovra da 28 miliardi: 14 di tagli, altri 14 di nuove tasse da riscuotere nel prossimo quinquennio.

Misure dolorose ma indispensabili per intascare il prestito da 110 miliardi concordato con Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale. Non solo: l'approvazione del piano farà scattare anche il via libera per definire i dettagli di un secondo prestito da 120 miliardi. Con tutti questi soldi il Paese dovrebbe evitare la bancarotta e ripianare entro il 2014 il suo debito pubblico. Al momento la voragine è da 340 miliardi. Il che vuol dire 30mila euro che pendono sulla testa di ogni greco, neonati compresi.

La manovra e gli aiuti però non bastano. Per allontanare l'incubo del default la Grecia ha bisogno di un'altra iniezione. La vera anima del piano di risanamento annunciato dal primo ministro Geroge Papandreou è un programma di privatizzazioni del valore di 50 miliardi da realizzare entro il 2015. Ma anche su questo fronte i problemi non mancano. Al momento, il Governo di Atene può contare su 15 partecipazioni in società quotate in Borsa, più altre 70 partecipazioni in aziende non quotate. Peccato che, secondo i dati forniti dal Privatisation Barometer, una banca dati che contiene informazioni su ogni singola transazione di questo tipo, anche vendendo tutte queste quote la Grecia non riuscirebbe a ricavare più di 13,6 miliardi.

Facendo una rapida sottrazione, il risultato è abbastanza preoccupante: per arrivare alla cifra prefissata mancano poco più di 36 miliardi. Secondo Bernardo Bortolotti, economista e fondatore del Privatisation Barometer, questo significa che l'Esecutivo dovrà iniziare a vendere praticamente qualsiasi cosa: terreni, immobili, concessioni, infrastrutture e altro ancora.

Forse il disastroso quadro generale sfugge a buona parte del popolo greco, giustamente accecato dalla rabbia nei confronti di chi avrebbe dovuto evitare che si arrivasse a tanto. Può essere comprensibile perfino la violenza con cui molti manifestanti hanno cercato di impedire ai politici di entrare in Parlamento per votare la manovra. La polizia in assetto antisommossa si è scontrata con circa 400 dimostranti che cercavano di sfondare i blocchi per accedere alla piazza Syntagma di Atene, dove ha sede il Governo. Almeno tre persone sono finite in ospedale.

Il rifiuto è una reazione normale quando si è posti di fronte alla certezza di non aver alcun futuro nel proprio Paese. Ma la verità è che in questo caso il Governo doveva prendere una decisione semplice. Se non altro per la totale mancanza di alternative. Nemmeno il suicidio era un'opzione calcolabile, perché il fallimento della Grecia avrebbe effetti sistemici più o meno in tutto il pianeta. Come se un depresso, sparandosi in testa, uccidesse tutta la città.

Da questo punto di vista, parlare di potenziale effetto domino non vuol dire essere fanatici della catastrofe. L'ipotesi è fondata. Una ricostruzione di quello che potrebbe avvenire in caso di default greco è stata fatta da Business Insider. Innanzitutto, nelle banche di Francia e Germania sono stipati buoni del tesoro ellenici per un valore di 46 miliardi. Di qui l'apprensione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, più che ansiosi di soccorrere i fratelli di Atene. La società di rating Moody's ha già messo in guardia i tre maggiori istituti di credito transalpini (Crédit Agricole, BNP Paribas, e Société Générale) sulla possibilità di un declassamento.

Fin qui i big, ma c'è molto più. Ad essere esposta in modo preoccupante sul debito greco è praticamente tutta l'area euro. Sono sotto pressione soprattutto i sistemi bancari di Austria e Portogallo. Perfino la finanza privata bulgara e romena in questi giorni non fa che mangiarsi le unghie. Al vertice della piramide c'è naturalmente la Banca Centrale Europea, che è esposta addirittura per 120 miliardi di euro. Non è totalmente da escludere che un'eventuale insolvenza di Atene porti con sé rischi analoghi anche per la Bce, che in ogni caso uscirebbe dalla vicenda con le ossa rotte. A quel punto, sentendo puzza di morte, gli avvoltoi della speculazione inizierebbero a fare i loro giri in cielo, avventandosi sui Paesi col debito più insostenibile, Italia e Belgio.

Alcuni economisti si sono spinti perfino più in là con le previsioni. Se Parigi e Berlino si ritrovassero improvvisamente con l'acqua alla gola, potrebbero mettere in atto una qualche forma di neo-protezionismo. A sua volta l'implosione dei mercati europei farebbe sentire i suoi effetti sulle esportazioni americane e asiatiche, portando a una progressiva contrazione dei consumi. Nel frattempo la Cina finirebbe schiacciata sotto il peso dell'inflazione, che già oggi rappresenta il primo guaio economico di Pechino.

Di fronte a uno scenario simile, il crollo innescato da Lehman Brothers sembrerebbe poco più di una simpatica merenda. Che paura. Bisogna fare qualcosa per evitare che la prima tesserina del domino perda il suo precario equilibrio. E allora via libera ai prestiti da centinaia di miliardi alla Grecia. Quello che ancora non è chiaro è come farà un Paese in ginocchio a restituire tutti quei soldi.

 

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