di Michele Paris

In questi ultimi giorni, il dibattito in corso tra Democratici e Repubblicani intorno alla questione dell’innalzamento del tetto del debito pubblico degli Stati Uniti ha fatto segnare qualche debole progresso. Pur rimanendo alcune divergenze, l’occasione di ridurre drasticamente la spesa federale farà in modo che i due schieramenti finiranno per accordarsi su un qualche provvedimento che eviterà un clamoroso default da parte del Tesoro americano.

Con l’approssimarsi della scadenza del 2 agosto per aumentare il livello di indebitamento USA - attualmente fissato a circa 14 mila e 300 miliardi di dollari - le trattative a Washington sono diventate a dir poco frenetiche. In mancanza di un punto d’incontro definitivo su un accordo di ampio respiro che ristrutturi interamente il sistema di spesa del governo federale, la data limite del 22 luglio fissata dal presidente Obama per approvare una misura definitiva risulta ormai superata.

A far aumentare le probabilità di un’intesa in extremis è stata martedì la presentazione di un nuovo piano di bilancio, frutto del lavoro della cosiddetta “Gang of Six”, la commissione bipartisan formata da tre senatori democratici ed altrettanti repubblicani che da tempo lavora all’individuazione di nuovi possibili tagli alla spesa pubblica. La commissione è composta dai senatori democratici Richard Durbin dell’Illinois (numero due al Senato), Kent Conrad del Nord Dakota (presidente della Commissione Bilancio) e Mark Warner della Virginia; e dai repubblicani Tom Coburn dell’Oklahoma, Mike Crapo dell’Idaho e Saxby Chambliss della Georgia.

In un documento di appena quattro pagine, la “Gang of Six” ha proposto tagli per 3 mila 700 miliardi di dollari nel prossimo decennio, di cui 500 miliardi da conseguire con effetto immediato. Ad addolcire la pillola ci sono alcune modeste misure che renderebbero più difficile l’evasione legalizzata delle tasse per le grandi aziende. Per evitare le proteste degli americani in difficoltà, questa proposta risulta piuttosto generica e non elenca nel dettaglio i programmi sociali che dovrebbero essere soppressi, lasciando alle commissioni del Congresso competenti sui vari dipartimenti il compito di individuare i destinatari dei tagli.

Nonostante il piano appena descritto preveda anche un abbassamento delle aliquote fiscali per le corporation nel lungo periodo, l’appoggio da parte di una parte dei parlamentari repubblicani è stata tiepida. I meno convinti sono i membri della Camera dei Rappresentanti sostenuti dai Tea Party - in particolari gli 87 deputati repubblicani entrati al Congresso dopo le elezioni del novembre 2010 - i quali, da un lato, non vogliono in nessun modo sentir parlare di aumenti per le tasse dei redditi più alti e, dall’altro, chiedono tagli ancora più profondi ai programmi Medicare e Medicaid e al sistema pensionistico.

Dopo le interruzioni dei colloqui, arenati sul persistente rifiuto repubblicano di comprendere in un eventuale accordo con i democratici limitati aumenti delle tasse per i ricchi, Obama e i leader di entrambi i partiti al Congresso sono tornati a confrontarsi separatamente mercoledì alla Casa Bianca. In seguito all’incontro è emerso il principale passo avanti nella trattativa. Come ha spiegato il portavoce del presidente, Jay Carney, durante la sua conferenza stampa giornaliera, Obama sembra ora disposto ad accettare un aumento del tetto del debito anche senza un accordo più ampio sul deficit, mentre in precedenza aveva minacciato di porre il veto su qualsiasi misura provvisoria.

L’innalzamento del tetto dovrebbe essere tuttavia di breve durata (“qualche giorno”), giusto il tempo insomma per permettere alle due parti di raggiungere comunque un accordo che, visti i tempi ormai molto stretti, potrebbe essere siglato solo dopo il 2 agosto.

Le ipotesi che rimangono sul tavolo per un provvedimento che riduca in maniera consistente la spesa federale nei prossimi anni sono in definitiva due: oltre al già citato piano partorito dalla “Gang of Six”, rimane ancora aperta la proposta della Casa Bianca per 4 mila miliardi di dollari di tagli in dieci anni. Questa ipotesi incontra però l’opposizione ancora più ferma da parte dei repubblicani, poiché comprende contenuti aumenti del carico fiscale per le fasce di reddito più alte.

L’ostacolo maggiore nelle discussioni è rappresentato proprio da quella frangia più a destra tra i repubblicani alla Camera dei Rappresentanti, i quali difficilmente potranno essere convinti ad appoggiare una misura di questo genere dalla loro stessa leadership, nonostante i tagli devastanti alla spesa che saranno inclusi in qualsiasi bozza di accordo. In questo scenario diventeranno perciò fondamentali i voti dei deputati democratici per giungere ad un’approvazione definitiva.

Superati a destra dallo stesso Barack Obama nelle discussioni sul tetto del debito, intanto, i repubblicani alla Camera hanno licenziato martedì un provvedimento tra i più estremi mai usciti dal Congresso americano. La misura appena approvata prevede tagli non meglio specificati per 5 mila e 800 miliardi di dollari nel prossimo decennio e, soprattutto, una modifica alla Costituzione che avrebbe effetti devastanti sulla spesa sociale, cioè l’obbligatorietà di raggiungere il pareggio di bilancio quando si rende necessario innalzare il tetto del debito.

Come se non bastasse, la legge definita “Cut, Cap and Balance” porterebbe ad una liquidazione di fatto del programma di assistenza pubblico per gli anziani Medicare, rimpiazzato da polizze assicurative private e sovvenzioni governative che non sarebbero comunque in grado di tenere il passo all’incremento dei costi previsti per le spese sanitarie nei prossimi anni. Nello stesso emendamento costituzionale è prevista infine la necessità di approvare qualsiasi aumento delle tasse con i due terzi dei voti del Congresso, mentre basterebbe la maggioranza semplice per tagliare programmi sociali di cui beneficiano decine di milioni di americani.

Questo provvedimento ha in ogni caso un valore puramente simbolico, dal momento che non ha alcuna possibilità di essere approvato dal Senato, dove i democratici conservano la maggioranza. Il presidente Obama ha poi già annunciato di esercitare il proprio potere di veto nel caso dovesse raggiungere la sua scrivania.

La mossa dei repubblicani ha dunque il solo scopo di ristabilire le gerarchie nella corsa alla distruzione dei programmi sociali finanziati dalla spesa federale negli USA. Essa, tuttavia, testimonia a sufficienza della distorsione del dibattito in corso sul tetto del debito in un paese dove milioni di persone continuano a rimanere senza lavoro e a scivolare al di sotto della soglia di povertà.

Per questi ultimi l’unica risposta che arriva da Washington è un ulteriore assottigliamento della già esile rete di assistenza pubblica, mentre rimangono rigorosamente fuori da ogni discussione le voci che hanno contribuito maggiormente a produrre il gigantesco buco di bilancio delle casse federali americane, e cioè le guerre in Iraq e Afghanistan, l’enorme trasferimento di denaro pubblico alle banche con il salvataggio di Wall Street del 2008 e i colossali tagli fiscali di cui le classi privilegiate continuano a godere.

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