di Michele Paris

Mentre le forze “ribelli” si apprestano all’assalto finale contro la roccaforte della resistenza di Gheddafi a Sirte, ìeri a Parigi è andata in scena la conferenza dei cosiddetti “Amici della Libia”, fortemente voluta dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal primo ministro britannico David Cameron. Alla presenza di 60 delegazioni tra governi e organizzazioni internazionali, i leader dei paesi NATO protagonisti dell’aggressione militare hanno discusso il futuro del paese nordafricano con il Consiglio Nazionale di Transizione, rappresentato dal segretario Mustafa Abdel Jalil e dal primo ministro Mahmoud Jibril.

Alla conferenza parigina - organizzata significativamente nello stesso giorno in cui 42 anni fa Gheddafi saliva al potere rovesciando la monarchia di re Idris - hanno partecipato anche i rappresentanti di Germania, Cina e Russia. Tutti e tre questi paesi si erano astenuti nel voto al Consiglio di Sicurezza ONU del 17 marzo scorso con cui venne approvata la risoluzione 1973 che ha fornito il pretesto per aprire le ostilità contro il regime di Gheddafi e, in particolare Cina e Russia, avevano successivamente criticato la NATO per essere andata al di là del mandato ONU per proteggere la popolazione civile.

Ora, tuttavia, nessuno di questi governi intende rimanere indietro nella corsa alla spartizione delle risorse libiche che si sta per scatenare. Allo stesso modo, a motivare la loro condotta è il tentativo di salvare quanto possibile i contratti nei settori energetico ed edilizio che avevano stipulato con il governo di Tripoli prima del conflitto. A conferma dell’atteggiamento pragmatico adottato da questi governi di fronte alla cambiata realtà sul campo, proprio giovedì Mosca ha annunciato il riconoscimento ufficiale del CNT come rappresentante legittimo della Libia.

Assente dal vertice di Parigi è stato invece il Sud Africa, il quale, pur avendo votato a favore della risoluzione ONU come membro provvisorio del Consiglio di Sicurezza, rimane critico verso il comportamento dei paesi NATO, accusati tra l’altro di aver boicottato i ripetuti sforzi del governo del presidente Jacob Zuma per trovare una soluzione pacifica alla crisi libica.

Le discussioni, in ogni caso, hanno riguardato principalmente le azioni da intraprendere al termine della campagna militare e l’instaurazione di un governo docile che sia in grado di superare le divisioni che già stano emergendo in tutta la loro gravità tra i “ribelli” a poco più di una settimana dalla presa di Tripoli.

“Il lavoro non termina con la fine di un regime oppressivo”, ha avvertito il Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, ai convenuti a Parigi. “Vincere una guerra non offre garanzie di pace. Quello che accadrà nei prossimi giorni sarà d’importanza cruciale”. Come hanno sottolineato ampiamente i media in questi giorni, la preoccupazione dei governi occidentali è quella di evitare una deriva settaria e violenta come quella dell’Iraq all’indomani dell’invasione americana del 2003.

Anche se esclusa ufficialmente dall’ordine del giorno, la spartizione delle ricchezze energetiche libiche e l’assegnazione degli appalti per la ricostruzione hanno verosimilmente rappresentato due dei punti centrali nei colloqui tra le potenze NATO e il CNT. In questo senso sarà da verificare quanto terreno dovrà cedere l’ENI in Libia, dove con Gheddafi aveva goduto di una posizione di assoluto privilegio.

Nonostante la salvaguardia degli interessi energetici italiani sia stato il motivo principale per il quale il governo Berlusconi si è accodato a Parigi e a Londra nella guerra alla Libia, è probabile che soprattutto l’intraprendenza transalpina determinerà un cambiamento degli equilibri nel paese. I francesi, infatti, oltre ad aver orchestrato la ribellione contro il regime di Gheddafi, si sono mossi in fretta per stabilire rapporti con il governo provvisorio. Almeno a partire da giugno, ad esempio, i dirigenti di alcune grandi aziende come Total hanno iniziato a frequentare Bengasi per gettare le basi di futuri contratti.

Sempre a Parigi, inoltre, nel mese di settembre è in programma un incontro tra i vertici del CNT e le compagnie francesi operanti in Libia per discutere di nuovi possibili progetti. “Dobbiamo fare un passo per volta”, ha detto chiaramente il numero uno della Camera di Commercio franco-libica, Michel Casals, alla Reuters, “ma dobbiamo trarre vantaggio da questo clima favorevole per le compagnie francesi, anche se i nostri concorrenti - turchi, cinesi o europei - sono molto agguerriti”.

Da parte sua, il segretario del CNT Jalil ha presentato la roadmap per la nuova costituzione, da sottoporre a referendum, e per le elezioni, da tenere entro 18 mesi. Per il CNT la questione più pressante è però quella dello sblocco dei beni libici congelati sui conti esteri di numerosi paesi occidentali. I vari governi partecipanti alla conferenza hanno già ottenuto di recente il via libera per qualche miliardo di dollari ma, soprattutto, stanno studiando nuove soluzioni per aggirare gli ostacoli legali che bloccano la gran parte dei fondi e chiedendo alla commissione ONU per le sanzioni di approvare apposite misure per poterli sbloccare definitivamente e trasferirli nelle casse del nuovo regime.

Sul fronte militare, intanto, i “ribelli” si sono posizionati alle porte di Sirte, città natale di Gheddafi e centro principale della tribù di cui il colonnello fa parte (Gaddafa). Il CNT ha lanciato un ultimatum - puntualmente rifiutato - alla resistenza del rais per arrendersi pacificamente entro sabato così da evitare un assalto militare. L’ultimatum è stato poi posticipato di una settimana, per consentire il proseguimento dei colloqui in corso tra il CNT e i capi tribù di Sirte. Nel frattempo, le forze “ribelli”, appoggiate da reparti speciali britannici e del Qatar, hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale di tre giorni, in occasione della festa per la fine del Ramadan (Id al-fitr).

Quello che si prospetta per Sirte e Bani Walid - una città di 50 mila abitanti nel deserto a sud-est di Tripoli dove secondo alcuni membri del CNT potrebbe trovare rifugio Gheddafi - se non si troverà una soluzione concordata è un bagno di sangue, preannunciato dai bombardamenti NATO degli ultimi giorni. Secondo il resoconto, peraltro senza riscontri indipendenti, del portavoce di Gheddafi, Moussa Ibrahim, in queste due località le bombe occidentali avrebbe già fatto oltre mille vittime.

L’imminente assedio di Sirte rischia di trasformarsi così in quell’evento (l’assedio di Gheddafi contro Bengasi, appunto) che la NATO pretende di aver evitato con l’intervento militare seguito alla risoluzione ONU di marzo. Lo scrupolo per la sorte dei civili da parte dei “ribelli” è apparsa d’altra parte evidente dalla dichiarazione fatta durante una recente conferenza stampa da Ali Tarhouni, numero due del CNT. Per quest’ultimo, infatti, “qualche volta per evitare una carneficina è necessario che ci sia comunque uno spargimento di sangue”.

Il massacro di civili che si prospetta andrebbe ad aggiungersi al già lungo elenco di crimini ascritti alle forze “ribelli” e alla NATO stessa in questi mesi, nonostante i media occidentali abbiano raccontato quasi unicamente la repressione del regime, come i bombardamenti indiscriminati su Tripoli ed altre città controllate da Gheddafi o l’uccisione e il linciaggio dei fedeli di quest’ultimo e degli immigrati africani di colore accusati di essere mercenari al suo servizio.

Mentre a Parigi si festeggia la buona riuscita dell’impresa libica, è proprio il CNT da Bengasi a dare un’idea più accurata del risultato dell’operazione. Secondo un portavoce, il bilancio provvisorio di quasi sei mesi di combattimenti per rovesciare il regime è di qualcosa come 50 mila morti tra civili e combattenti. Una cifra ben più pesante di qualsiasi repressione che si intendeva evitare e che la dice lunga sugli scopi “umanitari” dell’intervento NATO.

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