di Eugenio Roscini Vitali

Erano le 11:50 del 17 aprile 1984 quando all’ospedale Westminster di Londra si spegneva Yvonne Fletcher, poliziotta britannica uccisa da un colpo d’arma da fuoco partito dal primo piano della rappresentanza diplomatica libica a Londra. Al momento dello sparo - le 10:15 circa - Yvonne Fletcher si trovava in servizio di fronte al numero 5 di St James’s Square, dove un gruppo di dimostranti legati al Fronte Libico di Salvezza Nazionale stava manifestando pacificamente per protestare contro l’esecuzione di due studenti che in patria si erano opposti al regime del Colonnello Gheddafi.

Ufficialmente per l’omicidio della poliziotta londinese non fu mai stato incriminato nessuno, anche perché dopo aver fatto assediare per 11 giorni l’ambasciata libica il governo Tatcher decise di ritirare la polizia ed espellere 30 diplomatici libici. Ma Scotland Yard non ha mai chiuso il caso e ora, a ventisette anni di distanza, ha pianificato una missione in Libia nella speranza di assicurare alla giustizia i responsabili della morte di  Yvonne Fletcher.

A rivelarlo è il quotidiano britannico Daily Telegraph, che parla del coinvolgimento di tre uomini e di un testimone che avrebbe identificato come autore dell’omicidio un certo Abdulmagid Salah Ameri, all’epoca dei fatti funzionario diplomatico di secondo livello presso la missione libica di Londra. Dalle 140 pagine dell’inchiesta stilata dalla Procura della Corona risulterebbe inoltre che a dare l’ordine di aprire il fuoco sarebbero stati Abdelgader Mohammed Baghdadi e Matouk Mohammed Matouk, membri del comitato rivoluzionario presso la stessa sede.

Ad inchiodare Ameri ci sono le dichiarazioni di David Robertson, pittore e decoratore che quel 17 aprile assistette all’omicidio: «L’uomo teneva il calcio dell’arma con la mano destra, mentre con la mano sinistra era vicino al grilletto, come se fosse sul punto di sparare. C’erano altri uomini con lui, uno alla sua sinistra e almeno altri due in piedi alle sue spalle».

Le indagini accertarono inoltre che la raffica che uccise Yvonne Fletcher e ferì altre 11 persone fu sparata dal primo piano dell’ambasciata e che l’arma utilizzata tornò in Libia attraverso i bagagli diplomatici del personale espulso in quei giorni; il 30 aprile gli agenti rinvennero all’interno del numero 5 di St James’s Square 4.367 proiettili e sette pistole, nessuna delle quali identificata come l’arma del delitto.

Secondo i servizi d’informazione britannici dei tre indagati l’unico ad essere certamente ancora in vita sarebbe Matouk Mohammed Matouk, ex vice primo ministro del governo Gheddafi, arrestato dalle forze rivoluzionarie subito dopo la conquista di Tripoli. I ribelli sostengono che prima della cattura l’ex diplomatico aveva tentato di passare tra le fila del Consiglio nazionale di transizione(Cnt) e che attualmente sarebbe detenuto in un carcere di cui non hanno comunque rivelato il nome.

Per Ali Tarhouni, vice primo ministro del Cnt, l’informazione è del tutto falsa; Tarhouni non nega che Matouk sia in vita ma sostiene che le autorità non sanno dove si trovi. Sorte diversa per Abdulmagid Salah Ameri - di cui si persero le tracce subito dopo il rientro in patria e che si pensa sia morto - e per Abdulgader al-Baghdadi, assassinato insieme ad altri otto fedelissimi del regime nel quartiere di Tajoura, sobborgo di Tripoli. Il ritrovamento del cadavere, confermato da Osama al-Abed, membro del comitato rivoluzionario, risalirebbe ai giorni dell’attacco alla capitale, mentre la salma è stata identifica solo qualche giorno fa.

Per il governo britannico il caso Matouk è strettamente legato ad un’altra vicenda, quella di Abdel Baset Al-Megrahi, l’uomo ritenuto responsabile dell’attentato contro il volo Pan Am esploso sopra il villaggio scozzese di Lockerbie il 21 dicembre 1988. Per l’attacco terroristico nel quale perirono 270 persone la giustizia scozzese condannò Al-Megrahi all’ergastolo; ammalato di cancro, dopo otto anni di carcere fu rilasciato e riconsegnato alla Libia.

La libertà gli venne concessa per ragioni umanitarie, anche perchè Washington e Londra pensavano che dovesse morire entro pochi mesi. Le continue apparizioni in pubblico e il fatto che continuasse a sopravvivere molto più del previsto hanno fatto si che con la caduta del regime le autorità britanniche abbiano richiesto una nuova l’estradizione, istanza che probabilmente non sarà mai soddisfatta visto che Tripoli ha già fatto sapere che non ha intenzione di consegnare i suoi cittadini ad un paese straniero.

Che la Libia non sia disposta a collaborare con Londra lo confermano anche le dichiarazioni di Hassan al-Sagheer, membro del Cnt che in una intervista al Sunday Times ha negato la possibilità che Al-Megrahi possa essere consegnato alle autorità britanniche. Ma se le ultime informazioni sullo stato di salute dell’attentatore sono tali da prevedere che comunque non tornerà nelle mani degli inglesi, così non è per Matouk Mohammed Matouk.

Per assicurarsi che l’uomo coinvolto nel delitto Fletcher compaia di fronte alla Corte britannica, Downing Street ha già presentato al Cnt una formale richiesta di estradizione ed inviato a Tripoli un team di investigatori; ad accompagnarli ci sarebbero gli agenti dell’intelligence di sua Maestà (MI5) e   i commando dello Special Air Service (SAS), le forze speciali dell’esercito britanno che dal scorso febbraio operano in Libia a fianco dei ribelli e le cui  unità “Smash” hanno avuto un ruolo determinante nella caccia ai sistemi di lancio dei missili SAM di Gheddafi. Il team avrebbe il compito di raccogliere informazioni sui responsabili della morte della poliziotta inglese, rintracciare chi di loro è ancora in vita e, molto probabilmente, nel caso la via diplomatica dovesse fallire, assicurarne la consegna alla giustizia inglese.

 

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