di Michele Paris

L’uccisione del predicatore radicale Anwar al-Awlaki con un missile lanciato da un drone della CIA meno di due settimane fa continua a sollevare numerose perplessità negli Stati Uniti. La palese illegalità di un’operazione che ha tolto la vita ad un cittadino americano mai sottoposto ad alcun procedimento legale, sembra infatti segnare un nuovo triste primato tra gli abusi della decennale “guerra al terrore”. Per cercare di placare le polemiche, l’amministrazione Obama ha così tentato un’operazione mediatica che prova a fornire incerte fondamenta legali al blitz in territorio yemenita.

In un articolo apparso domenica scorsa in prima pagina, il New York Times ha descritto i contenuti di un memorandum segreto dell’amministrazione Obama nel quale si cerca di giustificare legalmente l’assassinio di al-Awlaki. Il reporter Charlie Savage non ha in realtà avuto accesso al documento - la cui esistenza era stata rivelata già il 1° ottobre dal Washington Post - ma cita alcune fonti governative anonime in un pezzo che appare dettato appositamente da Washington per spegnere le critiche provenienti dalle organizzazioni a difesa dei diritti civili, dagli ambienti accademici e da una parte del mondo politico americano.

Il memorandum, di una cinquantina di pagine, è stato redatto dall’Ufficio dei Consiglieri Legali del Dipartimento di Giustizia, lo stesso che durante l’amministrazione Bush produsse i pareri legali che giustificarono l’utilizzo di metodi di tortura negli interrogatori di presunti terroristi. Riecheggiando proprio la dottrina del presidente repubblicano, il documento in questione conferisce di fatto alla Casa Bianca l’autorità indiscussa di ordinare l’assassinio di un cittadino americano, senza che nei suoi confronti siano state sollevate accuse formali o sia stato istituito un regolare processo.

Anwar al-Awlaki e altre tre persone - tra cui un altro cittadino USA, Samir Khan, fondatore della rivista qaedista in lingua inglese, Inspire - sono stati fatti a pezzi da un velivolo senza pilota mentre viaggiavano a bordo di alcune auto nel nord dello Yemen lo scorso 30 settembre. Secondo il governo americano, Awlaki era coinvolto attivamente in numerose trame terroristiche sventate o andate a buon fine negli ultimi anni. Awlaki era inoltre considerato uno dei massimi esponenti di Al-Qaeda nella penisola arabica. Tutte queste accuse non sono mai state supportate da prove concrete, bensì motivate soltanto da rapporti segreti d’intelligence.

Le acrobazie legali dei consiglieri del governo americano rivelano implicitamente la sostanziale impossibilità di giustificare un atto di questo genere. Gli esperti del Dipartimento di Giustizia hanno dovuto infatti affrontare e cercare di superare gli ostacoli posti da una serie di ordini esecutivi presidenziali, da leggi federali, dalla Costituzione e dal diritto internazionale.

Secondo il New York Times, il parere legale espresso nel memorandum riguarda esclusivamente il caso di Awlaki e non costituirebbe perciò una nuova dottrina che consenta l’assassinio mirato di cittadini americani bollati come terroristi. Questa precisazione sembra voler tranquillizzare quanti hanno criticato l’operazione della CIA, assicurando che si tratta di un caso isolato. In realtà la morte del predicatore dalla doppia cittadinanza è un pericolosissimo precedente che potrà essere utilizzato non solo contro qualsiasi presunto terrorista ma anche, in un futuro forse non troppo lontano, addirittura contro dissidenti interni.

In ogni caso, il memorandum afferma che Awlaki era un bersaglio legittimo in quanto non esisteva la possibilità concreta di arrestarlo in Yemen e perché i servizi segreti avevano stabilito che lo stesso predicatore si era unito ad Al-Qaeda nel conflitto in corso contro gli Stati Uniti. Awlaki rappresentava poi una minaccia significativa e imminente per la sicurezza americana e le autorità yemenite non erano in grado - o non avevano manifestato la volontà - di fermarlo.

I consiglieri del Dipartimento di Giustizia passano poi ad analizzare le possibili obiezioni al parere espresso, per confutarle una ad una. Dal loro punto di vista, l’ordine esecutivo che vieta al governo di compiere assassini deliberati non si applicherebbe ai nemici in tempo di guerra, come veniva considerato Awlaki, ma soltanto a leader politici in tempo di pace. L’ordine esecutivo in questione è il n. 112333, firmato nel 1981 dal presidente Reagan, il quale era stato preceduto da altri due decreti simili, anche se meno comprensivi, durante le presidenze di Gerald Ford e Jimmy Carter. Estremamente significativo è il fatto che oggi un presidente democratico calpesti un ordine emesso da un presidente repubblicano che tre decenni fa era considerato come uno dei più reazionari della storia americana.

Il dettato costituzionale viene poi completamente messo da parte. Il Quarto Emendamento, ad esempio, stabilisce che i cittadini non possano essere imprigionati dal governo senza motivo, mentre il Quinto Emendamento impedisce al governo di privare una persona della propria vita senza un giusto processo. Per gli autori del memorandum, tuttavia, Awlaki non era un criminale ordinario, a cui sono garantiti i diritti costituzionali, e per rafforzare la loro tesi fanno riferimento a vari casi giudiziari nei quali cittadini USA che si erano uniti a “forze nemiche” sono stati detenuti o perseguiti in tribunali militari come nemici privi della cittadinanza americana.

Nato in Nuovo Messico da genitori yemeniti, Anwar al-Awlaki, era a tutti gli effetti cittadino americano, come stabilisce il 14° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Come se non bastasse, la libertà di parola era anche per lui garantita dal Primo Emendamento, applicabile - secondo quanto deciso da svariate sentenze della Corte Suprema - anche in caso d’incitamento alla violenza.

Per Washington, Al-Awlaki costituiva una minaccia imminente alla sicurezza degli USA, nonostante fosse rimasto sulla lista nera del governo americano per più di un anno e mezzo. Tale designazione ha reso possibile il suo assassinio anche in un momento nel quale non stava organizzando un attacco contro gli Stati Uniti. A supporto di questa opinione l’amministrazione Obama cita di nuovo alcune sentenze della Corte Suprema che nel passato hanno approvato l’uccisione da parte della polizia di sospettati in fuga poiché, diversamente, sarebbe stata messa a repentaglio la vita di persone innocenti.

Il governo americano dichiara inoltre che era impossibile catturare Awlaki in Yemen. Una tale operazione avrebbe infatti messo a rischio i membri delle forze speciali e avrebbe causato problemi diplomatici con il governo yemenita. Gli USA non hanno tuttavia avuto particolari impedimenti nel condurre un’operazione simile lo scorso mese di maggio, quando si sono introdotti nell’abitazione di Osama bin Laden in una cittadina pakistana, né si sono fatti eccessivi scrupoli nei confronti di Islamabad. Per quanto riguarda lo Yemen, oltretutto, la disponibilità del presidente Saleh verso gli Stati Uniti è ben documentata, come hanno mostrato numerosi cablo pubblicati da Wikileaks.

Awlaki si trovava poi lontano dal teatro principale della guerra al terrore (Afghanistan), ma per i consiglieri legali di Obama la distanza non gli impediva di partecipare al conflitto armato tra Al-Qaeda e gli USA. Numerosi esperti di diritto internazionale hanno peraltro da diverso tempo contestato la definizione unilaterale data alla guerra combattuta potenzialmente in ogni angolo del pianeta contro gli integralisti islamici da Washington. Essa non risponderebbe cioè ai requisiti fissati dal diritto internazionale per definire una guerra vera e propria, rendendo di dubbia legalità le operazioni extra-giudiziarie condotte in questi anni.

La pubblicazione del contenuto del memorandum del Dipartimento di Giustizia segue di qualche giorno le rivelazioni di un articolo della Reuters sulle modalità con cui vengono decise le sorti dei sospettati di terrorismo come Awlaki. All’interno dell’amministrazione Obama opera una commissione segreta composta da membri del governo che decide quali siano le persone oggetto di arresto o assassinio extra-giudiziario. La decisione ultima spetta al presidente e tutto il procedimento avviene senza alcuno scrutinio pubblico e senza nemmeno una legge apposita che abbia decretato la creazione della stessa commissione o definito l’iter da seguire.

In definitiva, le implicazioni del documento partorito dai consiglieri legali del governo americano e l’assassinio deliberato di Anwar al-Awlaki sono a dir poco inquietanti, dal momento che assegnano al presidente la facoltà di ordinare l’uccisione di una persona - anche con passaporto statunitense - al di fuori di ogni quadro legale e, per di più, al termine di una procedura segreta.

Il missile guidato esploso su un convoglio che viaggiava in una remota regione dello Yemen lo scorso settembre rappresenta dunque una sorta di punto di non ritorno che minaccia gravemente le stesse fondamenta democratiche degli Stati Uniti. La possibilità concessa al presidente di decidere della vita di un cittadino americano senza offrire prove di colpevolezza, senza passare attraverso un tribunale e senza possibilità di appello è la logica conseguenza delle aberrazioni inaugurate dall’amministrazione Bush e apre ancora di più la strada verso il conferimento all’esecutivo di poteri pressoché assoluti per intervenire ovunque siano minacciati gli interessi del governo e delle forze che esso rappresenta.

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