di Michele Paris

Di fronte alla continua erosione dei diritti democratici causata dalle politiche del governo conservatore ungherese del premier Viktor Orbán, lunedì scorso la società civile e i principali partiti di minoranza del paese hanno dato vita ad una manifestazione di protesta nel cuore di Budapest. Decine di migliaia di ungheresi si sono riuniti di fronte al Teatro dell’Opera, proprio mentre all’interno andavano in scena i festeggiamenti per l’entrata in vigore della nuova Costituzione che sancisce una preoccupante concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo.

La cosiddetta “legge fondamentale” era stata approvata lo scorso mese di aprile con i soli voti del partito di governo (Fidesz), il quale può contare sui due terzi dei seggi in Parlamento grazie alla vittoria schiacciante nelle elezioni del maggio 2010 ai danni di un partito socialista ampiamente screditato. La nuova Costituzione - che toglie significativamente la parola “Repubblica” dal nome ufficiale del paese - è già stata duramente criticata anche dai vertici dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti, preoccupati per l’evidente indebolimento dei meccanismi di controllo democratici e il venir meno della separazione dei poteri in diversi ambiti.

La manifestazione del 2 gennaio è risultata sostanzialmente pacifica, anche se ci sono stati alcuni momenti di tensione causati dalla presenza di un gruppo di appartenenti al partito di estrema destra Jobbik che ha tenuto una propria dimostrazione nelle vicinanze.

Anche se in Ungheria negli ultimi mesi ci sono già state svariate manifestazioni contro la svolta autoritaria del governo Orbán, quella di lunedì è stata la prima che ha fatto registrare una presenza così massiccia, nonché la partecipazione sia di diversi gruppi della società civile che dei partiti dell’opposizione.

I segnali di una reazione degli ungheresi alle iniziative del gabinetto sostenuto da Fidesz erano stati d’altra parte molteplici in queste settimane. Poco prima di Natale, ad esempio, parlamentari e attivisti del partito socialista (MSZP) e dei verdi (LMP) avevano cercato di bloccare l’approvazione di una nuova legge elettorale e altre misure anti-democratiche. Gli scontri seguiti con la polizia avevano portato in quell’occasione all’arresto di alcuni politici, tra cui il due volte ex primo ministro socialista Ferenc Gyurcsany.

L’ultimo giorno dell’anno, poi, di fronte al Parlamento si è svolta una manifestazione a sostegno dei giornalisti della TV pubblica ungherese, in sciopero della fame dal 9 dicembre per protestare contro la nuova legge sul controllo dei media.

Oltre alla riscrittura della costituzione, in diciotto mesi di governo il partito di centro-destra Fidesz ha intrapreso una serie di altre misure che hanno progressivamente ridotto le libertà e le garanzie democratiche in Ungheria. Le leggi promosse da Viktor Orbán, il quale è anche uno dei vice-presidenti del Partito Popolare Europeo, hanno, tra l’altro, “riformato” il sistema giudiziario dando maggiori poteri al governo nella nomina dei giudici, ristretto il campo d’azione della Corte Costituzionale, posizionato ai vertici degli organi dello stato uomini di Fidesz, sottoposto al controllo dell’esecutivo i media pubblici e privati, ridotto l’indipendenza della Banca Centrale ungherese e i poteri del suo governatore.

Proprio la legge recentemente approvata sulla Banca Centrale ha suscitato le più dure proteste di Bruxelles ed è giunta dopo i ripetuti scontri tra il governo e il governatore dello stesso istituto, Andras Simor. Il conflitto più recente è avvenuto all’inizio dell’anno attorno alla reale entità del debito pubblico ungherese. Lunedì scorso, la Banca Centrale ha reso noto le proprie cifre ufficiali, ottenute seguendo metodi di calcolo in linea con le direttive europee. In base ad essi, il debito totale del paese ammonterebbe così all’86,2 per cento del PIL ungherese, cioè ben al di sopra del tetto del 60 per cento stabilito per i membri UE.

Per tutta risposta, il governo Orbán ha sostenuto che le cifre sono state ricavate con metodi “non professionali”, poiché a suo dire la Banca Centrale avrebbe calcolato il PIL in fiorini, mentre una parte significativa del debito ungherese è in valuta estera. Per il Wall Street Journal, è la prima volta che un governo ungherese critica in maniera così esplicita la Banca Centrale sulla questione della portata del debito pubblico.

Secondo il primo ministro, in ogni caso, la riforma della Banca Centrale, la nuova Costituzione e le altre leggi adottate dal suo governo, oltre ad essere il mantenimento del programma elettorale di Fidesz, segnano la fine di una necessaria transizione “democratica” nel paese, iniziata nel 1989 con la caduta del regime stalinista.

Non così sembrano pensarla, invece, la comunità internazionale e la gran parte dei cittadini ungheresi che assistono pressoché impotenti allo smantellamento di un sistema democratico nel cuore dell’Europa. Secondo un sondaggio condotto durante la prima metà di dicembre dall’ungherese Szonda Ipsos, il gradimento di Fidesz è infatti crollato al 18 per cento, dal 42 per cento registrato un anno e mezzo fa.

Nonostante la perdita di consensi, Fidesz rimane la prima formazione politica in Ungheria, grazie soprattutto al discredito dei partiti dell’opposizione (i socialisti sono attestati su un misero 11 per cento). Questi numero disegnano una realtà desolante, nella quale la maggioranza degli ungheresi non si sente rappresentata da nessuna forza politica e che contribuisce a spiegare la pericolosa deriva autoritaria in atto in questo paese.

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