di Michele Paris

Il celebre giudice spagnolo Baltasar Garzón è stato chiamato ad apparire qualche giorno fa in un’aula di tribunale a Madrid per la prima udienza di uno dei tre procedimenti legali nei quali si trova coinvolto a causa della sua attività di magistrato. I tre casi hanno motivazioni esclusivamente politiche e sono stati sollevati nei suoi confronti per porre fine alle indagini su questioni ritenute scomode dalle élite politiche di Spagna, a cominciare da quella sulle responsabilità nei crimini dell’era franchista.

Nel processo aperto questa settimana, Garzón è accusato di aver disposto intercettazioni illegali in carcere durante alcuni incontri tra gli indagati e i loro legali nel cosiddetto caso Gürtel. In esso sono coinvolti, tra gli altri, esponenti del Partito Popolare (PP) di governo, implicati in un giro di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale.

Nel secondo procedimento, per il quale il 56enne giudice andaluso dovrà apparire in aula il 24 gennaio, le accuse sono invece di abuso di potere in merito ad un’inchiesta sui crimini commessi durante la Guerra Civile (1936-1939) e la successiva dittatura franchista fino alla morte del Caudillo nel 1975. In questo processo, Garzón sarà alla sbarra per aver provato ad indagare sulle responsabilità di crimini come omicidi, abusi, torture e la sottrazione di decine di migliaia di neonati alle detenute politiche per affidarli a membri del regime.

Il terzo caso, per il quale non è stata ancora fissata la data della prima udienza, riguarda infine presunti pagamenti che Garzón avrebbe ricevuto dal Banco Santander durante un soggiorno negli Stati Uniti per tenere dei seminari presso la New York University. Alla luce di questi compensi, peraltro smentiti dall’università americana, il giudice spagnolo avrebbe dovuto ricusare se stesso in un caso che vedeva coinvolto lo stesso Banco Santander.

Riassumendo il fuoco incrociato al quale è sottoposto Garzón nel proprio paese, il suo legale, Gonzalo Martinez-Fresnada, l’altro giorno ha definito una “tempesta perfetta” quella che il suo assistito si trova ad affrontare. Se condannato, Garzón potrebbe essere escluso dalla magistratura spagnola fino ad un periodo di vent’anni.

Il caso più controverso e che ha suscitato maggiormente i malumori della classe dirigente iberica è senza dubbio quello relativo ai crimini del franchismo. Gli altri due appaiono invece studiati a tavolino per screditare Garzón agli occhi dell’opinione pubblica. Dopo la morte di Franco e l’avvio della transizione democratica, nel 1977 la Spagna approvò un’amnistia che andava a coprire tutti i crimini del regime. A tutt’oggi nel paese non è stata perciò emessa alcuna condanna per le atrocità commesse durante la dittatura fascista.

In questa situazione, nel 2008 Garzón aprì un procedimento su richiesta dei familiari delle vittime del regime. Quasi subito, gli ambienti di estrema destra, tra cui il sindacato fascista Manos Limpias, chiesero però di fermare l’inchiesta e accusarono Garzón di aver abusato delle sue facoltà. Quest’ultimo, da parte sua, ha sempre sostenuto che l’indagine non contrasta con il dettato della legge sull’amnistia. Ciononostante, l’indagine è stata successivamente fermata e Garzón sospeso dal proprio incarico.

Le critiche più dure verso l’azione intrapresa da Garzón erano giunte dal Partito Popolare, nato proprio dalle ceneri delle formazioni di destra del dopo-Franco e i cui esponenti non desiderano vedere riaperte le “vecchie ferite”. Anche da sinistra, tuttavia, le reazioni non sono state tenere. L’ex segretario del Partito Comunista Spagnolo (PCE), Santiago Carrillo, uno dei protagonisti della transizione, aveva ad esempio denunciato Garzón, il quale a suo parere aveva commesso un errore e la sua indagine non era il modo migliore per ristabilire la memoria storica del periodo segnato dalla dittatura franchista.

In due decenni di carriera giudiziaria, Baltasar Garzón si è distinto per numerosi casi eclatanti, primo fra tutti quello che portò all’arresto e alla richiesta di estradizione dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet durante un suo soggiorno in Inghilterra. Facendo affidamento sul principio della “giurisdizione universale” per perseguire i crimini contro l’umanità, il magistrato spagnolo ha anche aperto procedimenti riguardanti le torture subite da connazionali detenuti nel lager di Guantánamo, la collaborazione del governo di Madrid nelle “rendition” della CIA e l’uccisione a Baghdad di un cameraman spagnolo finito sotto il fuoco americano. Nel 2009 inoltre, Garzón tentò di mettere sotto processo sei membri dell’amministrazione Bush - compreso lo stesso ex presidente - per crimini contro l’umanità.

L’intraprendenza del giudice della Corte Nazionale spagnola ha comprensibilmente sollevato molte inquietudini non solo in patria. Come hanno rivelato alcuni cablo pubblicati da Wikileaks, l’amministrazione Obama aveva fatto più di una pressione sul governo di Madrid per tenere a freno Garzón. Dopo l’apertura della già citata indagine sulle torture a Guantánamo, in particolare, i diplomatici statunitensi presero contatti sia con l’allora Procuratore Generale, Cándido Conde-Pumpido, che con il superiore di Garzón alla Corte Nazionale, Javier Zaragoza.

Sotto pressione da Washington, il governo Zapatero decise così di limitare il principio della giurisdizione universale per i magistrati spagnoli e di lasciar procedere le inchieste ai danni di Baltasar Garzón. Il Partito Socialista (PSOE) non ha infatti espresso alcun commento ufficiale circa la vicenda giudiziaria di Garzón, forse anche perché quest’ultimo aveva già messo sotto accusa alcuni esponenti del partito nell’ambito di un’indagine sulle squadre della morte che negli anni Ottanta avevano assassinato membri dell’ETA.

I processi farsa contro Baltasar Garzón hanno prodotto una situazione paradossale in Spagna, per cui colui che intende indagare su crimini atroci commessi durante i decenni della dittatura franchista finisce per essere perseguito legalmente, mentre i complici e i responsabili degli stessi reati godono della totale impunità e, anzi, hanno spesso potuto arricchirsi o avere accesso a posizioni di potere dopo la transizione alla democrazia.

Solo per citare il caso più clamoroso, la famiglia di Franco, cui il re di Spagna ha tra l’altro conferito titoli nobiliari, secondo un articolo del novembre 2011 del quotidiano El País, ha accumulato enormi ricchezze anche grazie alla posizione di capo di Stato del defunto dittatore. Malgrado l’evidenza, non solo nessuna indagine è mai stata aperta dalle autorità spagnole, ma, ad esempio, fino alla sua morte nel 1988, lo Stato ha addirittura garantito alla vedova del “Generalissimo”, Carmen Polo, una cospicua pensione, ben superiore allo stipendio previsto per la carica di primo ministro.

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