di Michele Paris

Il primo ministro romeno, Emil Boc, lunedì ha rassegnato le proprie dimissioni in seguito alle proteste di massa scoppiate nel paese contro le misure di austerity adottate dal suo governo. In diretta TV, il premier conservatore ha affermato di aver lasciato la guida dell’Esecutivo per cercare di attenuare le tensioni e, soprattutto, per salvare gli stessi provvedimenti draconiani che hanno spinto centinaia di migliaia di cittadini a scendere in piazza.

Nonostante l’addio di Boc fosse una delle principali richieste dei manifestanti, è comunque da escludere che il corso della politica in Romania possa prendere ora una strada diversa da quella seguita dal gabinetto uscente.

In seguito al crollo del governo Boc, il presidente romeno, Traian Basescu, ha immediatamente nominato nuovo premier ad interim il ministro della Giustizia, Catalin Predoiu, il quale aveva avuto un ruolo di primo piano nei colloqui con Bruxelles che portarono il suo paese nell’Unione Europea nel 2007. Con ogni probabilità, Predoiu rimarrà tuttavia in carica solo per pochi giorni, fino a quando cioè il primo ministro incaricato, Mihai-Razvan Ungureanu, avrà ultimato le procedure costituzionali per formare il prossimo governo.

Il 43enne Ungureanu è un ex membro del PNL (Partito Liberale Nazionale), attualmente all’opposizione, ed è il capo dei servizi segreti esteri romeni (SIE). Già ministro degli Esteri tra il 2004 e il 2007, Ungureanu si è subito affrettato a promettere di proseguire le “riforme” lanciate dal suo predecessore, cioè la politica di rigore che ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita di milioni di persone in Romania. A conferma della continuità del prossimo esecutivo, la testata giornalistica romena Mediafax ha ipotizzato che il premier in pectore potrebbe promuovere l’attuale vice-ministro delle Finanze, Bogdan Dragoi, a capo dello stesso dicastero e nominare la consigliera economica di Emil Boc, Andreea Paul-Vass, a ministro dell’Economia.

Per formare il nuovo governo, Ungureanu dovrà assicurarsi l’appoggio dei Liberal Democratici (PDL) dello stesso Boc che, assieme a formazioni minori, detengono la maggioranza in Parlamento. Dal momento che il sostegno appare scontato, la crisi dovrebbe risolversi in tempi rapidi. Le consultazioni per la scelta dei ministri sono già state avviate martedì. Ungureanu avrà dieci giorni di tempo per presentare il suo gabinetto e due mesi per ottenere la fiducia della Camera e del Senato. Le elezioni generali sono previste per il prossimo novembre ma, alla luce del crescente conflitto sociale, sembra tutt’altro che scontato che Ungureanu possa traghettare il paese fino a quella data.

Come già anticipato, la caduta di Boc è dovuta principalmente alle reazioni provocate dalle durissime misure di austerity imposte alla gran parte della popolazione romena fin dalla sua ascesa al potere nel dicembre del 2008. Il suo governo, tra l’altro, ha provveduto a tagliare di circa un quarto gli stipendi dei dipendenti pubblici (in un paese dove il salario medio mensile è di appena 350 euro), ha licenziato più di 200 mila statali dal 2009 a oggi ed ha aumentato l’IVA dal 19 al 24%.

Queste ed altre iniziative sono state chieste dal Fondo Monetario Internazionale come condizioni per un prestito da 20 miliardi di euro che è stato erogato nel 2009 per proteggere la Romania dalla crisi finanziaria internazionale.

Più recentemente l’FMI ha concesso un nuovo prestito precauzionale da 5 miliardi di euro alla Romania, in cambio del quale il governo di Bucarest si è impegnato a svendere alcune quote di svariate aziende pubbliche in settori nevralgici, a cominciare da quello energetico.

Dopo le dimissioni di Boc, lo stesso FMI ha tenuto a precisare che l’accordo siglato con il governo romeno non verrà messo in discussione dal nuovo governo. La fiducia del Fondo Monetario Internazionale deriva dal fatto che, nonostante le critiche rivolte dai partiti dell’opposizione alla maggioranza e la richiesta di elezioni anticipate, tutte le forze politiche romene condividono la necessità di continuare a far pagare gli effetti della crisi alle classi più disagiate. Quello che sta avvenendo in Romania, ha detto significativamente un’economista di Volksbank alla Reuters, “è solo un cambio di persone e non determinerà nessun mutamento radicale dell’agenda di governo”.

Partiti come il PNL o il PSD - Partito Social Democratico, alla guida della coalizione USL (Unione Sociale Liberale), di cui fanno parte altre due formazioni conservatrici - hanno d’altra parte già governato a più riprese negli ultimi due decenni, contribuendo dapprima alle privatizzazioni selvagge in seguito alla caduta del regime stalinista e successivamente abbracciando le direttive UE per liberalizzare ulteriormente l’economia romena.

Questo scenario fa sì che in Romania sia diffusa una generale avversione nei confronti di tutte le formazioni politiche. Le proteste delle ultime settimane, senza precedenti nel paese negli ultimi vent’anni, sono perciò esplose in maniera del tutto spontanea.

A fare da detonatore alla rabbia popolare erano state a gennaio le dimissioni del vice-ministro della Sanità, Raed Arafat, vittima di una campagna diffamatoria orchestrata dal presidente Basescu.

Arafat, medico di origine palestinese trasferitosi in Romania all’inizio degli anni Ottanta, si era infatti permesso di esprimere pubblicamente la propria contrarietà alla privatizzazione del sistema sanitario voluta dal governo. Le manifestazioni di solidarietà nei suoi confronti sono poi rapidamente sfociate in un movimento di protesta contro le misure di austerity implementate negli ultimi anni.

Alle proteste, le forze di sicurezza hanno risposto con il pugno di ferro, causando un innalzamento delle tensioni nel paese. Per placare gli animi a nulla era servito il reinsediamento dello stesso Arafat, né il licenziamento lo scorso 23 gennaio del ministro degli Esteri, Teodor Baconschi, il quale aveva apostrofato con parole gravemente offensive i manifestanti scesi nelle piazze.

Sull’onda delle pressioni popolari, il governo di Emil Boc è così inevitabilmente crollato, anche se al profondo malcontento diffuso nel paese non potrà in nessun modo far fronte il nuovo esecutivo romeno che si appresta a nascere nei prossimi giorni a Bucarest.

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