di Michele Paris

Nella più recente tappa delle primarie repubblicane degli Stati Uniti, martedì il candidato ultra-conservatore Rick Santorum ha incassato vittorie di misura in Alabama e Mississippi, due stati meridionali che avevano assunto un’insolita importanza dopo il risultato tutt’altro che definitivo del supermartedì. Anche se il percorso per l’ex senatore della Pennsylvania resta tutto in salita, quest’ultima affermazione potrebbe quanto meno consentirgli di spegnere definitivamente le velleità di nomination di Newt Gingrich, così da imporsi come unica alternativa al favorito, Mitt Romney.

In entrambi gli stati, dove erano in palio complessivamente 90 delegati, il miliardario mormone è finito al terzo posto, preceduto anche dallo stesso Gingrich, nonostante avesse condotto una campagna elettorale piuttosto aggressiva, a fronte dell’organizzazione ridotta all’osso di Santorum, e dopo aver ricevuto l’appoggio di gran parte dei vertici locali del partito. L’esito di Alabama e Mississippi per Romney ha rappresentato dunque l’ennesima prova dello scetticismo che nutre nei confronti della sua candidatura la destra del Partito Repubblicano.

L’ambiente ostile nel sud degli Stati Uniti verso Romney era comunque in preventivo e il sostanziale equilibrio evidenziato dai risultati finali permetterà all’ex governatore del Massachusetts di ottenere anche in questi due stati un numero considerevole di delegati. Nella giornata di martedì, inoltre, non sono mancate le notizie positive per Romney, il quale è uscito vincitore dagli altri due appuntamenti elettorali in programma, i caucus delle Isole Samoa Americane, dove i votanti sono stati una settantina, e delle Hawaii (20 delegati in palio).

Il risultato più incerto è stato quello delle primarie in Mississippi, dove Santorum ha conquistato il 32,9% dei consensi, Gingrich il 31,3%, Romney il 30,3% e Ron Paul il 4,4%. In Alabama, Santorum ha chiuso al 34,5%, Gingrich al 29,3%, Romney al 29% e Paul al 5%. Solida è stata la prestazione di Santorum e Paul alle Hawaii, dove hanno ottenuto rispettivamente il 25,3% e il 18,3%. A vincere, come già anticipato, è stato però Mitt Romney con il 45,4%, mentre Gingrich è finito quarto con l’11%.

Prima del voto di martedì, c’erano state alcune competizioni minori che avevano ancora una volta premiato sia Romney che Santorum. Il 10 marzo, Santorum aveva fatto suoi in maniera molto netta i caucus del Kansas (40 delegati in palio). Una sconfitta annunciata per Romney, bilanciata però dalle vittorie in tre isole situate nell’Oceano Pacifico: Guam, Isole Marianne e Isole Vergini (27 delegati in totale). Fino ad ora, Romney ha prevalso in 19 stati o territori, 9 sono andati a Santorum e 2 a Gingrich. Secondo il conteggio della Associated Press aggiornato a mercoledì, Romney ha finora accumulato 495 delegati, contro i 252 di Santorum, i 131 di Gingrich e i 48 di Paul. Per assicurarsi la nomination repubblicana ne servono almeno 1.144.

Se pure Santorum continua a raccogliere ampi consensi tra l’elettorato più conservatore del partito in molti stati, il vantaggio di Romney in termini di delegati lo rende ormai pressoché inattaccabile. Tanto più che nelle prossime settimane sono in programma competizioni in stati teoricamente più favorevoli all’uomo d’affari mormone, a cominciare dalle primarie di martedì prossimo in Illinois. Nello stato di Barack Obama, oltretutto, Santorum non sarà sulle schede elettorali in alcuni distretti, come già era accaduto in un altro stato del Midwest in bilico, l’Ohio.

Il calendario repubblicano prevede però già sabato prossimo i caucus del Missouri, dove Santorum appare favorito, e il giorno successivo le primarie a Porto Rico. Il 24 marzo sarà la volta di un altro stato del sud ostile a Romney, la Louisiana, mentre ad aprile quest’ultimo dovrebbe riuscire a capitalizzare una serie di sfide favorevoli, come Washington D.C., dove Santorum non sarà presente, Maryland, Connecticut, Delaware, New York e Rhode Island. Santorum potrebbe rifarsi il 24 aprile nel suo stato, la Pennsylvania, anche se la pesante sconfitta che subì nel 2006 per la rielezione al Senato lascia più di uno spiraglio a Romney per ridurre il margine di distacco.

La sconfitta patita martedì da Gingrich in due stati sui quali aveva puntato tutto ha alimentato parecchi dubbi sull’opportunità di proseguire la corsa per l’ex speaker della Camera. Per il momento, facendo notare come sia in Alabama che in Mississippi il suo distacco da Santorum è stato minimo, Gingrich ha fatto sapere di voler continuare e, anzi, ha promesso ai suoi sostenitori di resistere fino alla convention del partito ad agosto a Tampa, in Florida. L’impazienza nel team di Santorum sta comunque aumentando e lo stesso ex senatore alla vigilia del voto di martedì aveva lanciato un velato invito a Gingrich ad abbandonare la competizione, così da coagulare il voto conservatore attorno ad un unico candidato anti-Romney.

Sia Santorum che Gingrich, in ogni caso, ammettono più o meno apertamente che le chances a loro disposizione per superare Romney nel numero di delegati sono pressoché inesistenti. L’obiettivo, perciò, sembra essere più che altro quello di impedire al “front-runner” il raggiungimento della soglia dei 1.144 delegati, in modo da arrivare ad una convention divisa, durante la quale i delegati dei due candidati conservatori potrebbero formare una maggioranza anti-Romney, presumibilmente assegnando la nomination a Rick Santorum.

Dalla sua parte, oltre a risorse finanziare decisamente superiori a quelle dei rivali, Mitt Romney ha la cosiddetta “eleggibilità”, cioè viene considerato dagli elettori repubblicani come il candidato maggiormente in grado di allargare la base elettorale del partito nel voto di novembre per sconfiggere Obama.

Il principale problema per lui, tuttavia, è che una parte consistente dei votanti in queste primarie lo considera non abbastanza conservatore e questa carenza continua a pesare sull’esito delle urne negli stati del Midwest, dell’Ovest e, soprattutto, del sud degli Stati Uniti. In Alabama e Mississippi, ad esempio, gli exit poll hanno evidenziato come otto su dieci elettori presentatisi ai seggi martedì erano cristiani evangelici, i quali hanno finora mostrato una netta preferenza per Santorum.

Le difficoltà per Romney nel chiudere il discorso nomination sono anche la conseguenza del brusco spostamento a destra del baricentro politico americano negli ultimi anni e, di conseguenza, di quello repubblicano. Durante la sua carriera politica, Romney si è sempre collocato su posizioni relativamente moderate, quanto meno in rapporto alla tendenza generale del suo partito. Nel clima politico attuale, la necessità di abbandonare tali posizioni per svoltare a destra lo ha esposto inevitabilmente alle accuse di ipocrisia e opportunismo.

Fin dall’inizio del suo secondo tentativo di conquistare la Casa Bianca, Romney ha così dovuto cambiare le sue opinioni su svariati temi delicati e rinnegare molte delle scelte fatte in passato, soprattutto in veste di governatore, tra il 2003 e il 2007, di uno stato massicciamente democratico come il Massachusetts. In particolare, Romney è stato praticamente costretto a sconfessare la legge da lui firmata sulla copertura sanitaria universale in questo stato, sia pure basata sul settore privato, e che pare aver fatto da modello alla riforma di Obama del 2010, ma anche il suo appoggio all’aborto e all’introduzione di un salario minimo legato all’inflazione.

Nell’impossibilità di scavalcare a destra il fondamentalismo cristiano di Santorum sulle questioni sociali, Romney ha finito allora per attaccare da destra il suo principale rivale per la nomination sui temi economici, proponendosi come il candidato repubblicano con le maggiori credenziali pro-business nel pieno di una crisi causata precisamente da oltre tre decenni di politiche ultra-liberiste.

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