di Michele Paris

Giovedì scorso, con una maggioranza risicata e relativamente a sorpresa, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la sostanziale legittimità della cosiddetta riforma sanitaria voluta da Obama e approvata dal Congresso nel marzo 2010. La decisione presa dalla Corte riguarda il punto centrale della legislazione (“Patient Protection and Affordable Care Act”), cioè la costituzionalità dell’obbligo individuale per tutti gli americani, ad eccezione di quelli più poveri, di acquistare una polizza assicurativa sul mercato privato.

Il caso (“National Federation of Independent Business contro Sebelius”) era finito all’attenzione della Corte Suprema dopo che fin dal 2010 la legge era stata oggetto di vari procedimenti legali, avviati dai procuratori generali di numerosi stati e da alcune organizzazioni imprenditoriali, risultati in altrettante sentenze contrastanti da parte dei tribunali federali interpellati.

Il via libera alla riforma è stato possibile grazie alla convergenza sulle posizioni dei quattro giudici “liberal” della Corte Suprema (Stephen Breyer, Ruth Bader Ginsburg, Elena Kagan, Sonia Sotomayor) del presidente conservatore (“Chief Justice”), John Roberts, dopo che nel corso dei tre giorni di udienze nel mese di marzo sembrava invece essersi formata una chiara maggioranza contraria.

I sostenitori della legge si aspettavano tutt’al più che un’eventuale vittoria sarebbe potuta arrivare con il voto decisivo del giudice centrista Anthony Kennedy, le cui intenzioni risultano spesso difficili da prevedere. Quest’ultimo, al contrario, ha votato assieme ai rimanenti tre giudici ultra-conservatori (Samuel Alito, Antonin Scalia, Clarence Thomas) e ha affermato non solo che l’obbligo individuale è a suo parere illegittimo ma anche che l’intera legislazione avrebbe dovuto essere cancellata.

Per l’amministrazione Obama, l’obbligo individuale risulta essenziale ai fini della sopravvivenza dell’intera riforma. Soltanto l’acquisto di una polizza anche da parte dei cittadini sani permetterà alle compagnie private, su cui si basa gran parte della legge, di ammortizzare le perdite derivanti dal divieto di negare la copertura assicurativa ai clienti con patologie pregresse.

Il presidente Roberts, in ogni caso, ha redatto il verdetto espresso dalla maggioranza della Corte, affermando che “la condizione prevista dalla legge, per cui un gruppo di individui deve pagare una sanzione nel caso non acquisti un’assicurazione sanitaria, può essere ragionevolmente definita come una tassa”. Con questo presupposto, ha scritto Roberts, “dal momento che la Costituzione consente tale tassa, non è nostro compito proibirla”.

Tale interpretazione del punto nevralgico della riforma contrasta in realtà con quanto sostenuto di fronte alla Corte Suprema da parte dell’amministrazione Obama, la quale riteneva invece che l’obbligo individuale andava confermato poiché rientrava nei poteri assegnati dalla Costituzione al Congresso di regolare il commercio tra gli stati dell’Unione (“Commerce Clause”).

Se il risultato, cioè la legittimità della riforma, è alla fine risultato identico, la bocciatura da parte del supremo tribunale americano della tesi basata sull’allargamento della Commerce Clause a questo ambito potrebbe avere conseguenze pesanti. Infatti, la Corte ha in questo modo smentito decenni di giurisprudenza, restringendo virtualmente i poteri del governo federale, dal momento che la Commerce Clause, fin dagli anni Trenta del secolo scorso, ha costituito il fondamento legale per l’implementazione, ad esempio, di misure legate alla regolamentazione dell’economia, ma anche delle riforme sociali durante la de-segregazione razziale degli anni Sessanta, fino alla proibizione del lavoro minorile.

Un altro punto della riforma all’esame della Corte Suprema era poi l’espansione di Medicaid, il programma pubblico di assistenza sanitaria destinato agli americani a basso reddito. Costringendo gli stati a partecipare all’allargamento del programma a circa 17 milioni di cittadini senza copertura, pena il congelamento di tutti i fondi stanziati dal governo federale, la maggioranza dei giudici ha stabilito che il Congresso è andato oltre i propri limiti costituzionali. Dopo la sentenza, dunque, l’allargamento di Medicaid diventerà per gli stati un optional e non più un obbligo.

La sentenza di giovedì influirà inevitabilmente sulla campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti e, per la maggior parte dei media americani, dovrebbe favorire Barack Obama. La reazione di quest’ultimo è stata dunque trionfale. Dalla Casa Bianca, il presidente democratico ha affermato che “la decisione odierna rappresenta una vittoria per tutti gli americani le cui vite saranno ora più sicure grazie a questa legge”.

Lo sfidante repubblicano, Mitt Romney, si trova inoltre in una posizione scomoda relativamente alla riforma sanitaria. La legge a cui il miliardario mormone sostiene ora di opporsi si ispira infatti largamente a quella approvata dallo stato del Massachusetts quando lui ne era governatore.

Qualche giorno fa, oltretutto, un’organizzazione vicina ai democratici ha fatto circolare un video nel quale l’allora governatore Romney sosteneva l’importanza dell’obbligo individuale per il funzionamento della riforma sanitaria nello stato. I repubblicani e lo stesso Romney, in ogni caso, hanno promesso di continuare a battersi contro la legge e di cercare di revocarla nel caso dovessero prevalere nelle elezioni di novembre.

Nonostante l’entusiasmo manifestato dopo la sentenza dagli ambienti liberal, la Corte Suprema ha in definitiva confermato una riforma che poggia pressoché interamente sul settore privato ed è stata adottata soprattutto per ridurre la spesa sanitaria degli Stati Uniti. In altre parole, la Corte ha legittimato un obbligo per quasi tutti gli americani di acquistare, sia pure con sussidi per i redditi più bassi, una polizza da una delle compagnie private del paese che si ritroveranno così decine di milioni di nuovi clienti.

Su alcuni giornali d’oltreoceano sono apparsi poi commenti che hanno assurdamente paragonato la riforma di Obama a provvedimenti progressisti del passato, come i programmi sociali adottati dall’amministrazione Roosevelt durante il New Deal o Medicare sotto il presidente Johnson. In realtà, il Patient Protection and Affordable Care Act è un provvedimento sostanzialmente regressivo che ridurrà in maniera sensibile i servizi a disposizione delle classi più disagiate, lasciando ugualmente senza copertura sanitaria milioni di americani.

La decisione tutta politica del presidente della Corte Suprema, nominato dal presidente George W. Bush e considerato uno dei più conservatori della storia del tribunale, di dare il proprio appoggio alla riforma di Obama, infine, dimostra come negli ambienti della classe dirigente americana, nonostante una certa opposizione, prevalga la volontà di vedere sopravvivere una legislazione che porterà enormi benefici per il settore privato.

Non a caso, infatti, la stessa legge è nata in stretta collaborazione tra la Casa Bianca e le compagnie operanti nel settore assicurativo e sanitario, il cui scrupolo principale è stato quello di escludere da subito la possibilità di dover fronteggiare la concorrenza di un piano di assistenza pubblico e autenticamente universale.

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