di Michele Paris

Con il sollievo generale dell’establishment liberal americano, nel secondo dibattito presidenziale andato in scena nella serata di martedì a Long Island, il presidente Obama ha in qualche modo riacquistato una certa combattività dopo l’opaca prestazione offerta a Denver nel primo faccia a faccia in vista del voto del 6 novembre. In uno scenario che ha dato solo l’impressione della spontaneità, i due contendenti per la Casa Bianca hanno ribadito nuovamente le rispettive posizioni, scambiandosi attacchi talvolta accesi, ma senza mai affrontare i reali problemi che affliggono il paese o le cupe prospettive che attendono decine di milioni di americani nei prossimi mesi.

Le regole scelte per il secondo dibattito presidenziale hanno ancora una volta mostrato tutta l’artificiosità di un simile evento che, nonostante abbia fatto registrare circa 70 milioni di telespettatori, è apparso l’ennesimo rituale privo di particolare significato se non per la cerchia di politici e commentatori mainstream d’oltreoceano.

Definita “town hall”, la formula del dibattito di martedì prevede che i due candidati siano liberi di muoversi in uno spazio circondato da un pubblico di presunti elettori indecisi, alcuni dei quali hanno la facoltà di sottoporre delle domande prima di vedere rapidamente chiudersi i loro microfoni.

I partecipanti, tuttavia, sono stati preventivamente selezionati con cura, così come le loro domande che, in ogni caso, vengono quasi sempre evase dai due pretendenti e servono solo come occasione per parlare più in generale dell’argomento in questione secondo il loro punto di vista.

Esemplare in questo senso è stata la domanda che ha aperto il dibattito, posta da uno studente universitario 20enne che, dopo avere sottolineato le difficoltà che dovrà affrontare per ottenere un impiego decente dopo la laurea, ha chiesto ai due candidati un qualche conforto circa il suo futuro. Non avendo nessuno dei due alcuna ricetta efficace per creare posti di lavoro stabili e ben pagati, Romney si è limitato a lasciare intendere che la sua esperienza nel mondo degli affari lo rende qualificato per mettere in atto misure che aumentino l’occupazione, anche se il suo passato nel “private equity” indica piuttosto una propensione a fare milioni di dollari smembrando aziende e licenziando senza scrupoli.

Obama, invece, ha citato la bancarotta pilotata voluta dalla sua amministrazione per General Motors e Chrysler e i posti che avrebbe salvato, senza citare il conseguente dimezzamento degli stipendi per i nuovi assunti e la distruzione dei benefit e dei diritti dei lavoratori, imposti con la collaborazione delle associazioni sindacali. Un piano, quello implementato per i colossi dell’auto di Detroit dal presidente democratico, che ha fornito un modello regressivo per tutta l’industria americana e non solo.

A moderare il dibattito di martedì presso la Hofstra University di Hempstead, a Long Island, è stata la giornalista della CNN, Candy Crowley, protagonista di quella che i media USA hanno definito la principale gaffe della serata commessa dal candidato repubblicano. Nel discutere uno dei temi più caldi di queste ultime settimane negli Stati Uniti - l’assassinio dell’ambasciatore americano in Libia, J. Christopher Stevens - Obama ha affermato che il giorno successivo ai fatti di Bengasi era apparso nel Rose Garden della Casa Bianca per definire l’assalto come un “atto terroristico”.

Quando Romney ha ribattuto sostenendo che il presidente aveva in realtà atteso 14 giorni prima di definire l’attacco in questo modo, Candy Crowley è intervenuta confermando la versione di Obama, il quale ha immediatamente colto l’occasione per mettere in imbarazzo il rivale, chiedendo alla moderatrice di ripetere il suo intervento ad alta voce.

Gli scambi di battute, l’interazione a volte quasi fisica tra i due candidati, le ripetute interruzioni e le polemiche che hanno caratterizzato gli oltre 90 minuti di diretta televisiva hanno comunque fatto ben poco per nascondere la sostanziale identità di vedute di Obama e Romney sulle questioni più importanti all’ordine del giorno: dall’occupazione alle tasse, dalla politica energetica a quella dell’immigrazione.

Fuori dal dibattito, come dalla campagna elettorale in genere, è rimasta soprattutto la minaccia che incomberà sui lavoratori e sulla classe media americana a urne chiuse, quando cioè i due partiti, indifferentemente da chi si insedierà alla Casa Bianca, sigleranno un accordo per ridurre il deficit federale tramite tagli devastanti a programmi pubblici popolari come Medicare e Medicaid, nonché al sistema pensionistico, regalando nuovi sgravi fiscali a corporation e redditi più elevati.

Il presidente Obama, finito sotto pressione e chiamato a mostrare maggiore aggressività rispetto a Denver, aveva trascorso alcuni giorni in Virginia esercitandosi per il dibattito, così da arrestare un declino nei sondaggi che alla vigilia indicavano un sostanziale equilibrio a livello nazionale e un netto recupero di Romney nella manciata di stati in bilico che decideranno l’esito del voto.

Così, nella nottata tra martedì e mercoledì in Italia, Obama ha messo a segno gli attacchi diretti al rivale che in molti tra i suoi sostenitori chiedevano, come quello relativo all’ormai famosa uscita di Romney sul 47% degli americani che dipenderebbero dal governo, pronunciata durante una raccolta fondi in Florida nel mese di maggio. Inoltre, nel vano tentativo di presentarsi come il difensore della “middle-class” americana, il presidente ha fatto riferimento all’aliquota fiscale irrisoria pagata da Romney sui suoi redditi e agli investimenti di quest’ultimo in aziende cinesi che avrebbero sottratto posti di lavoro agli Stati Uniti.

Ignorate dai due candidati sono state anche altre questioni attorno alle quali la classe dirigente USA si trova d’accordo, come la preparazione di nuove guerre, con Siria e Iran ma anche, in prospettiva futura, con Russia e Cina, oppure l’ulteriore restringimento dei diritti democratici costituzionali in nome della guerra al terrore dopo quattro anni di politiche messe in atto dall’amministrazione democratica che per molti versi sono già andate ben oltre quelle adottate da George W. Bush.

Nel gioco degli “instant poll”, infine, i media americani hanno indicato una leggera preferenza degli spettatori del dibattito per Barack Obama, anche se con margini più ridotti rispetto al vantaggio per Romney registrato dopo il primo confronto in Colorado. Per verificare se la dinamica della sfida, tradizionalmente sempre più equilibrata con l’avvicinarsi dell’election day, verrà ancora una volta modificata bisognerà attendere però i prossimi giorni, anche se è probabile il persistere dell’incertezza fino all’ultimo, sintomo della virtuale indistinguibilità dei due pretendenti nonostante gli sforzi della stampa per presentare le proposte di Obama e Romney come diametralmente opposte.

Nel frattempo, la terza e, fortunatamente, ultima messa in scena in forma di dibattito presidenziale negli Stati Uniti si terrà lunedì prossimo alla Lynn University di Boca Raton, in Florida, dove i candidati del Partito Democratico e di quello Repubblicano, per l’ultima volta con a disposizione un pubblico così vasto, proveranno a convincere gli elettori ancora indecisi, cercando questa volta di fuorviarli sui soli temi legati alla politica estera.

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