di Mario Lombardo

Nonostante una serie di nuove proteste popolari, questa settimana il governo israeliano ha approvato quasi all’unanimità una bozza di bilancio all’insegna dell’austerity per gli anni 2013 e 2014 che dovrà essere approvata dalla Knesset (Parlamento) entro l’estate. Autore principale del pacchetto da oltre 106 miliardi di dollari, che contiene pesanti tagli di spesa e aumenti del carico fiscale, è il neo-ministro delle Finanze Yair Lapid, recentemente catapultato al centro della scena politica di Israele dopo una campagna elettorale condotta in nome del rilancio di una classe media sempre più in affanno.

Il punto più controverso del nuovo bilancio dello stato di Israele, contro il quale si è espresso un solo membro del gabinetto Netanyahu, è stato il taglio agli stanziamenti destinati alle forze armate che continuano a rappresentare il più importante capitolo di spesa del governo con 14,5 miliardi di dollari per il 2013 e 14,8 miliardi per il 2014.

Dopo un acceso confronto tra il ministro della Difesa, Moshe Ya’alon, e il ministro delle Finanze Lapid, a trovare un compromesso è stato il primo ministro con una proposta che ha fissato i tagli a poco più di 820 milioni di dollari invece dei quasi 1,1 miliardi inizialmente previsti. Oltretutto, ha promesso Netanyahu, il bilancio militare tornerà a crescere significativamente tra il 2015 e il 2018.

Per il resto, invece, quella che spicca è una serie di misure di rigore che il governo, di fronte alla massiccia opposizione popolare, ha affermato essere necessarie per fronteggiare un deficit più consistente di quanto si credeva. L’implementazione delle misure appena approvate dal gabinetto Netanyahu dovrebbe ridurre il deficit al 3% del PIL nel 2014 dopo aver toccato il 4,65% nel 2012.

I tagli complessivi alla spesa pubblica dovrebbero ammontare a quasi 2 miliardi di dollari nel 2013 e a 5 miliardi il prossimo anno. In particolare, ad essere pesantemente colpiti saranno i benefit erogati per i minori, quelli per i progetti legati ai trasporti pubblici, i sussidi destinati ai programmi dopo-scuola, ma anche i fondi previsti per le scuole religiose. Sul fronte delle tasse, l’IVA salirà dal 17% al 18%, l’imposta sui redditi personali e sugli immobili aumenterà dell’1,5%, mentre quella sulle aziende dell’1%.

Secondo i calcoli di alcuni analisti, l’intera manovra costerà ad ogni famiglia israeliana circa un mese di stipendio medio all’anno. La bozza approvata dal governo questa settimana dovrà ora confluire in un disegno di legge da presentare alla Knesset non oltre il 10 giugno. Il Parlamento avrà tempo fino al 30 dello stesso mese per approvarla ed entrerà in vigore a partire dal primo agosto prossimo.

Già le indiscrezioni sul contenuto del nuovo bilancio avevano portato nelle piazze delle principali città di Israele oltre 15 mila manifestanti nello scorso fine settimana. Sui social media, inoltre, la rabbia di lavoratori e classe media è stata rivolta soprattutto al ministro delle Finanze, Yair Lapid, ex giornalista televisivo e leader della formazione centrista Yesh Atid (“Esiste un Futuro”).

Quest’ultimo, infatti, aveva ampiamente beneficiato delle proteste senza precedenti che nell’estate del 2011 intendevano chiedere misure concrete per porre un freno al crescente costo della vita e alle disuguaglianze sociali dilaganti. Lapid aveva raccolto le richieste avanzate in particolare dalle sezioni della classe media urbana colpite dalla crisi economica e sociale, promettendo di invertire il loro declino e di riaprire i cordoni della borsa colpendo i redditi più elevati.

Nelle elezioni anticipate dello scorso gennaio, così, il movimento di Lapid aveva ottenuto un risultato sorprendente, piazzandosi secondo per numero di consensi e seggi parlamentari, dietro alla lista unitaria di estrema destra formata dal Likud di Netanyahu e dal partito Israel Beiteinu dell’ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman.

L’evoluzione di Lapid e di Yesh Atid dopo il voto, oltre ad avere mostrato l’opportunismo politico del nuovo ministro delle Finanze, è risultata esemplare dei limiti stessi della democrazia parlamentare israeliana e non solo, totalmente incapace di interpretare le necessità e le aspirazioni della grandissima maggioranza della popolazione in un sistema monopolizzato dai grandi interessi economici e finanziari.

Assieme all’altra sorpresa uscita dalle elezioni - il partito di estrema destra “Focolare Ebraico” guidato dall’ex capo di gabinetto di Netanyahu, Naftali Bennett - Lapid è entrato infatti in una coalizione di governo con Netanyahu nonostante le evidenti differenze emerse in campagna elettorale sia in ambito economico sia relativamente alla questione palestinese.

Netanyahu, quindi, dopo avere provocato una crisi di governo pilotata nell’ottobre del 2012 a causa dell’impossibilità di fare approvare durissime misure di austerity all’interno della propria coalizione, all’indomani del voto anticipato di gennaio, pur vedendo indebolito il proprio partito, è riuscito a far passare quelle stesse misure grazie alla personalità politica che le aveva maggiormente criticate in campagna elettorale.

In altre parole, dopo avere costruito la sua rapida ascesa politica sulla ferma opposizione alle misure di rigore proposte e implementate da Netanyahu, Yair Lapid è diventato in sostanza lo strumento principale per l’adozione di nuovi tagli alla spesa e aumenti delle tasse che penalizzeranno soprattutto la sua stessa base elettorale.

Secondo molti osservatori, tutto ciò sarebbe una mossa astuta di Netanyahu, il quale è riuscito a utilizzare una quasi sconfitta elettorale per avanzare la propria agenda reazionaria, cooptando il suo principale rivale in un nuovo governo di coalizione e determinando per quest’ultimo un prevedibile, e tutt’altro che sgradito, crollo nel gradimento popolare.

Le manifestazioni di piazza degli ultimi giorni, infine, se pure consistenti per gli standard israeliani, sono risultate decisamente più contenute rispetto al movimento di protesta scoppiato due anni fa. Lo sconforto di buona parte dei manifestanti del 2011 è dovuto senza dubbio proprio alla delusione prodotta dal voltafaccia di Yair Lapid, il quale da parte sua ha indicato come necessari i tagli al bilancio decisi in questi giorni, primo passo indispensabile verso illusorie “riforme” future che dovrebbero migliorare le condizioni di vita della classe media israeliana.

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