di Emanuela Muzzi

Londra. Qui la chiamano "royal charter". E’ un decreto legge sulla regolamentazione dei quotidiani inglesi, ma il senso, nonostante il fascino del sound anglosassone, resta sempre quello: legge bavaglio. Il voto sul disegno di legge che propone l’introduzione di un’autorità di controllo sull’autoregolamentazione della carta stampata, è atteso per il prossimo 30 Ottobre. Nel frattempo la polemica impazza e sconfina nei blog: nel piovoso weekend i giornalisti inglesi si sono chiusi in casa a twittare contro la “press regulation”.

Il vento freddo che spiffera dalle porte dell’inverno ha portato con sé la brutta notizia della bozza in arrivo. Una proposta “tripartisan” sottoscritta di buon grado dai tre leader di partito; il Premier David Cameron (Conservatori), il vice premier Nick Clegg (Liberal Democratici, partito di coalizione), ed il leader dell’opposizione Ed Miliband (Labour). Mai visti i tre così sorridenti, d’amore e d’accordo: del resto, quando si tratta di dare a stampa e giornalisti il “giusto ed etico codice di condotta” non si tirano indietro. Nel caso venisse approvata, la legge potrebbe anche subire degli emendamenti approvati con i tre quarti dei voti sia ai Lords che ai Comuni.

Background: l’esigenza di imporre una forma di "press regulation" risale allo scandalo “phone hackings”, quelle che chiameremmo volgarmente intercettazioni: i “giornalisti” di News of the World e testate affini (come il The Sun tra gli altri) di proprietà di Rupert Murdoch, hanno fatto per anni un uso sicuramente non etico e poco limitato di piccoli dispositivi sensibili al suono, dimenticandosi di avvertire centinaia di vittime - come ad esempio i genitori della bimba scomparsa Madeleine McCann, fino a Prince William - che i loro telefoni, segreterie telefoniche, cellulari e così via erano costantemente monitorati da giornalisti, e in nei casi più gravi, anche da Scotland Yard.

Con l’ammissione da parte dei giornalisti dell’allora The News of the World di aver intercettato il telefono dell’adolescente inglese Milly Dowler nel lasso di tempo tra il rapimento e l’assassinio, nel 2002, si è infine toccato il fondo: è un punto di non ritorno, una pagina nera della storia del giornalismo.

Il phone hacking scandal era finito su tutti i giornali, anche su quelli di Murdoch: la faccia rugosa del patron di Sky e la chioma rossa al vento della ex executive di News International, Rebekah Brooks, hanno tenuto banco dalla prima pagina del Financial Times. Sulla fonte privilegiata della finanza anglosassone ed internazionale si approfondiva l’ipotesi del tentativo da parte del governo inglese di evitare tramite la Leveson Inquiry l’offerta di acquisto da parte di Murdoch su BskyB per impedirgli di acquisire una posizione di monopolio sui media britannici.

La notizia campeggiava però fino sulle pagine patinate di Vogue, dove chi voleva sapere se Hugh Grant mentre protestava a squarciagola contro il phone hacking di fronte al Parlamento avesse perso qualche chilo, poteva trovare soddisfazione.

Il Gran Finale: i protagonisti sono, quasi tutti, finiti sul banco degli imputati di fronte al giudice Leveson. Sì, gli arresti ci sono stati, i Murdoch hanno subito un parziale ridimensionamento dell’impero con un danno d’immagine fino alla seconda generazione: in seguito all’inchiesta James Murdoch aveva lasciato al poltrona di Ceo del gruppo NGN News Group Newspapers, la holding che controlla il Sun e il Times.

Ma tutto questo a Westminster oggi non basta; bisogna estirpare la mala erba dalla radice: ci vuole legge che regoli il Quarto potere, ma che sia applicabile a tutta la stampa e non solo ai responsabili che hanno ridotto ruolo, prassi e contenuti del giornalismo, nonché la figura del giornalista, al livello dei dilettanti di X Factor e degli “zori” del Grande Fratello.

Un giornalismo d’intrattenimento e di consumo mutuato dal modello televisivo di Sky e sconfinato sui quotidiani che pagina dopo pagina rincorrono a fatica il nonsense delle news minuto per minuto. Questi sono i danni che ancora paghiamo nell’era post-Murdoch.

Lo scenario: Fare una regolamentazione ad hoc non è possibile del resto, né nel Regno Unito né altrove e certamente ogni forma di regolamentazione non deve certo venire dal Parlamento e dall’establishment. Va detto che un codice etico del giornalismo già esiste ed una chiara legge sulle intercettazioni è già in vigore in Inghilterra. La parola resta ai gruppi editoriali dei quotidiani che sono comunque chiamati a sottoscrivere la "royal charter". Sembra che non siano intenzionati a farlo.

Bob Satchwell, a capo della Società degli editori (che include anche televisioni e radio britanniche) ha rivendicato l’indipendenza della stampa; tuona dagli schermi della BBC con una voce degli anni Cinquanta che è un tuffo nel passato delle democrazie post Seconda Guerra. Quando tutto, anche i diritti fondamentali, era da ricostruire.

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