di Michele Paris

Dopo il tracollo elettorale registrato dal Partito Socialista (PS) nel voto amministrativo in Francia, il presidente François Hollande ha operato come previsto un immediato cambio di governo, liquidando il primo ministro Jean-Marc Ayrault. L’inquilino dell’Eliseo ha tratto però le conseguenze più nefaste possibili dall’appuntamento con le urne caratterizzato dall’ascesa del Fronte Nazionale, dal momento che le aspettative degli elettori per politiche progressiste mai materializzatesi in questi due anni sono state nuovamente ignorate con la promozione a premier di uno dei ministri più a destra del gabinetto uscente.

A determinare la perdita di ben 155 comuni francesi con più di 10 mila abitanti in mano ai socialisti è stata in larghissima misura l’adozione e la programmazione a livello nazionale di “riforme” che hanno gettato le basi per il drastico ridimensionamento del welfare relativamente generoso d’oltralpe. A ciò vanno aggiunte le decine di miliardi di euro in benefici fiscali offerti alle aziende francesi, da recuperare con ulteriori tagli alla spesa sociale, come fissato nel cosiddetto “Patto di Responsabilità” recentemente firmato dagli industriali e da alcune organizzazioni sindacali sotto gli auspici del presidente e del governo.

Dal momento che il non esattamente brillante candidato Hollande era stato premiato nelle presidenziali del 2012 grazie all’impopolarità di Nicolas Sarkozy e alla promessa di sia pure modeste iniziative di stampo progressista, il PS è stato inevitabilmente punito nelle elezioni conclusesi domenica scorsa per avere sostanzialmente proseguito il percorso della destra sotto la spinta dell’Unione Europea e degli ambienti finanziari internazionali.

Nella serata di lunedì, Hollande ha parlato in diretta TV, affermando di avere “personalmente ricevuto il messaggio degli elettori”, per poi annunciare la nomina a nuovo capo del governo del ministro dell’Interno, Manuel Valls, autentica incarnazione della deriva conservatrice degli ultimi decenni del Partito Socialista e delle formazioni socialdemocratiche occidentali.

Non conoscendo l’affiliazione politica di Valls, risulterebbe infatti difficile distinguere il neo-premier francese da un esponente della destra ultra-liberista con tendenze autoritarie se non addirittura razziste. Valls fa parte dell’ala destra del Partito Socialista e ammira apertamente la disastrosa esperienza politica del “New Labour” di Tony Blair, al quale viene spesso accostato.

Le sue posizioni in ambito economico e sulle questioni della sicurezza interna erano emerse già nel corso delle primarie per le presidenziali francesi vinte da Hollande. Nonostante in quell’occasione giunse quinto su sei candidati alla nomination per l’Eliseo, raccogliendo un misero 6%, Valls utilizzò la vetrina come trampolino di lancio della sua carriera politica, ben consapevole dell’utilità di figure dalle credenziali reazionarie in un quadro politico sempre più spostato verso destra.

Valls fu ad esempio molto critico nei confronti della settimana lavorativa di 35 ore, introdotta anni prima sempre da un governo socialista, mentre più in generale manifestò la volontà di procedere con la “modernizzazione” del partito, esemplificata dalla sua proposta di cambiare il nome stesso, togliendo l’aggettivo “socialista” così da mettere fine alla pretesa puramente formale del riferimento al socialismo, definito dal neo-premier francese come un pensiero “obsoleto” e “da diciannovesimo secolo”.

Sul fronte delle politiche legate alla sicurezza, inoltre, nel corso del suo incarico a ministro dell’Interno Manuel Valls ha promosso un rafforzamento dei poteri degli organi di polizia, rispecchiando tra l’altro la parabola dell’ex presidente Sarkozy prima della sua elezione a Capo dello Stato. Particolarmente controverse sono state poi le sue posizioni sui Rom, i cui campi ha continuato a smantellare per poi dichiarare che i membri di questa minoranza etnica che vivono in Francia avrebbero dovuto essere deportati in massa perché “non assimilabili”.

Proprio l’atteggiamento dell’appena nominato primo ministro su tali questioni chiarisce ancora una volta la risposta del tradizionale establishment politico francese alla crescita dell’estrema destra, affrontata cioè incorporando nei propri programmi e nella propria retorica alcuni dei temi cari a quest’ultima, provocando inevitabilmente un ulteriore spostamento a destra del baricentro politico.

Non a caso, d’altra parte, uno dei dati più significativi delle amministrative secondo i media ufficiali francesi sarebbe lo scardinamento del sistema bipolare che vede alternarsi al potere i socialisti e i gollisti dell’UMP (Union pour un Mouvement Populaire), con l’irruzione a pieno titolo del Fronte Nazionale nel panorama politico transalpino.

Una simile evoluzione comporta tuttavia la legittimazione delle istanze neo-fasciste del movimento fondato da Jean-Marie Le Pen e, nuovamente, contribuisce allo spostamento verso destra dell’asse politico generale.

Sul fronte economico, la scelta di Valls dimostra invece quali siano i punti di riferimento di Hollande, vale a dire Bruxelles e i circoli finanziari piuttosto che gli elettori francesi. Il licenziamento del governo Ayrault e la nomina al suo posto di un ministro tra i più convinti sostenitori delle “riforme” di libero mercato intendono rispondere infatti ai malumori espressi per la mancanza di decisione con cui Parigi ha finora condotto gli attacchi alla spesa pubblica e alle condizioni di vita dei lavoratori.

Come ha spiegato il Financial Times, d’altra parte, la Francia è sotto pressione per rimettere in ordine le proprie finanze, visto oltretutto che ha già ottenuto dall’Unione Europea due anni di tempo in più - fino al 2015 - per ridurre il deficit di bilancio al 3% del PIL, attestato ora al 4,3%.

Prevedibilmente, la notizia dell’arrivo di Valls all’Hôtel Matignon ha suscitato le proteste dei partiti a sinistra del PS. Secondo Libération, ad esempio, Jean-Luc Mélenchon, Pierre Laurent e Olivier Besancenot - leader rispettivamente del Partito della Sinistra (Parti de Gauche, PG), del Partito Comunista Francese (PCF) e del Nuovo Partito Anticapitalista (Nouveau Parti Anticapitaliste, NPA) - hanno definito la nomina decisa da Hollande un “tradimento” e hanno poi fatto appello ai Verdi (Europe Écologie-Les Verts, EE-LV) ad abbandonare il governo per costruire insieme un’alleanza alternativa.

Il riferimento al “tradimento” è legato al fatto che queste formazioni avevano appoggiato nel 2012 la candidatura alla presidenza di Hollande, alimentando nell’elettorato l’illusione di potere esercitare pressioni sul governo socialista, così da convincerlo ad adottare una serie di politiche progressiste.

Due anni più tardi, con la scelta di Manuel Valls per guidare un governo nominalmente socialista e i successi elettorali del Fronte Nazionale, la realtà francese vede tuttavia un netto dominio delle forze di destra, con prospettive ancora più cupe in vista dell’imminente voto per il Parlamento europeo.

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