di Mario Lombardo

Con un’operazione segreta in territorio libico, domenica scorsa una squadra delle Forze Speciali americane e alcuni agenti dell’FBI hanno catturato e trasportato clandestinamente fuori dal paese il presunto ideatore dell’assalto al consolato USA di Bengasi del settembre 2012 che causò la morte dell’ambasciatore, J. Christopher Stevens, e di altri tre cittadini degli Stati Uniti.

Il sospetto, Ahmed Abu Khattala, è il leader di Ansar al-Shariah, una delle più influenti milizie che dalla caduta di Gheddafi controllano la Libia e di fatto alleata di Washington durante il conflitto che portò al rovesciamento del regime di Tripoli.

Secondo i resoconti dei media, Khattala sarebbe finito nelle mani degli americani al termine dell’ennesima giornata di scontri tra il suo gruppo armato e le forze guidate dall’uomo della CIA in Libia, generale Khalifa Hifter, protagonista qualche settimana fa di una sorta di colpo di stato a Tripoli e tuttora impegnato in una battaglia sanguinosa contro le milizie islamiste nel paese dell’Africa settentrionale.

Gli uomini della Delta Force del Pentagono avevano ricevuto venerdì dal presidente Obama il via libera ad un blitz che era programmato da mesi. Dopo la cattura a Bengasi senza vittime né spargimento di sangue, Khattala è stato trasferito su una nave militare americana presumibilmente nel Mediterraneo, dove l’interrogatorio sarebbe ancora in corso nonostante non gli siano stati comunicati i propri diritti di rimanere in silenzio e di essere assistito da un legale.

L’amministrazione Obama ha fatto sapere che Khattala nei prossimi giorni verrà portato negli Stati Uniti per essere incriminato formalmente in un tribunale civile. Nei suoi confronti pesano le accuse, mossegli contro in maniera formale lo scorso mese di luglio, di avere assassinato l’ambasciatore Stevens nel corso di un “attacco a un edificio federale con l’uso di armi da fuoco” l’11 settembre 2012 e di avere fornito “supporto materiale ai terroristi”, risultando nella morte di cittadini americani.

Da Washington, i membri repubblicani del Congresso hanno chiesto il trasferimento di Khattala nel lager di Guantanamo, visto che il jihadista libico sarebbe da considerarsi come “nemico in armi”. Obama e i democratici hanno però ribadito l’intenzione di ricorrere ad un tribunale federale, non tanto per la volontà di garantire i diritti costituzionali all’imputato ma, come ha spiegato la presidente della commissione per i Servizi Segreti del Senato, Dianne Feinstein, perché la giustizia civile ha già “condannato quasi 500 terroristi” contro i “pochissimi delle commissioni [tribunali] militari”.

Il blitz portato a termine domenica è l’ennesimo esempio di come gli Stati Uniti operino senza alcun vincolo sul territorio di un paese sovrano, conducendo operazioni che si risolvono in veri e propri rapimenti al di fuori di qualsiasi giustificazione legale, se non quella garantita dal loro stesso apparato pseudo-legale costruito con il pretesto della “guerra al terrore”. Nel caso di Khattala, inoltre, Washington non ha nemmeno informato le autorità libiche dell’operazione, in modo da evitare possibili fughe di notizie o proteste contro il governo locale per la violazione della sovranità del paese.

Un’operazione simile, infatti, aveva quasi scatenato una rivolta nel mese di ottobre, dopo che le Forze Speciali USA avevano allo stesso modo rapito a Tripoli e trasferito a New York Abu Anas al-Libi, accusato di avere partecipato agli attentati di al-Qaeda del 1998 contro le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania che causarono più di duecento morti.

Il governo libico mercoledì ha comunque condannato formalmente il rapimento, con il ministro della Giustizia, Saleh al-Marghani, che ha chiesto la restituzione di Khattala per sottoporlo a processo nel suo paese di origine.

Le accuse che Khattala dovrà fronteggiare negli Stati Uniti prevedono la pena di morte, tanto più che il Dipartimento di Giustizia ha già annunciato l’intenzione di formulare ulteriori capi d’accusa nei suoi confronti. Assieme a Khattala sono ricercati una decina di altri miliziani fondamentalisti per i fatti di Bengasi ma nessuno di loro è stato finora catturato in Libia.

Ahmed Abu Khattala aveva ricevuto la designazione ufficiale di “terrorista” dal Dipartimento di Stato nel mese di gennaio e il suo ruolo sarebbe stato quello di “senior leader” dell’organizzazione Ansar al-Shariah, finita anch’essa sulla lista nera di Washington dopo l’assalto al consolato di Bengasi.

I fatti del settembre 2012 avevano causato più di un fastidio all’amministrazione Obama e, in particolare, all’allora segretario di Stato, Hillary Clinton. La morte dell’ambasciatore Stevens e degli altri cittadini americani era stata attribuita inizialmente dalla Casa Bianca a un’esplosione di rabbia spontanea causata dalla diffusione in rete di un video realizzato negli USA nel quale si irrideva il profeta Muhammad.

Questa versione, però, sarebbe stata successivamente smentita e i repubblicani avrebbero usato la vicenda per attaccare il presidente, accusato di avere nascosto l’esistenza di un piano d’attacco jihadista organizzato meticolosamente. In questo modo, Obama avrebbe evitato ripercussioni negative, visto che in campagna elettorale aveva più volte sostenuto che la minaccia terroristica contro gli interessi americani era diminuita in seguito all’eliminazione di Osama bin Laden.

La polemica repubblicana sui fatti di Bengasi è proseguita nei mesi successivi e più recentemente si era concentrata proprio sulla mancata cattura dello stesso Khattala dopo che quest’ultimo era stato più volte intervistato anche da giornalisti americani in Libia, dove fino a pochi giorni fa continuava a vivere più o meno liberamente.

A segnare la sua sorte può essere stato il conflitto in corso tra le forze del generale Hifter e le milizie islamiste - tra cui Ansar al-Shariah - per il controllo del Paese. Proprio domenica, ad esempio, la formazione guidata da Khattala aveva subito pesanti perdite in uno scontro a fuoco a Bengasi, alcuni giorni dopo che egli stesso, secondo quanto riportato dalla testa on-line in lingua inglese Libyan Herald, aveva preso parte senza successo ad un incontro con Hifter per cercare una soluzione pacifica alla crisi in Libia.

Le operazioni militari condotte da Hifter contro le milizie di Bengasi rendono perciò poco credibili le smentite dell’ex generale dell’esercito di Gheddafi di avere contribuito alla localizzazione e alla cattura di Khattala. Infatti, il portavoce delle forze impegnate nella cosiddetta “Operazione Dignità”, Mohammed Hejazi, aveva più volte affermato che gli uomini fedeli a Hifter avevano “occhi e orecchie” in tutta Bengasi.

La cattura di Khattala chiude in ogni caso il cerchio dell’ambigua relazione degli Stati Uniti con le forze “rivoluzionarie” libiche di ispirazione islamista che hanno contribuito al crollo del regime di Gheddafi.

Le proteste popolari scoppiate nel 2011 in Libia erano state alimentate e sfruttate da Washington per pianificare un cambio di regime a Tripoli, da mettere in atto attraverso la promozione di formazioni gravitanti nell’orbita del qaedismo e ricorrendo ai tradizionali contatti della CIA nella galassia del fondamentalismo islamico e dell’opposizione al rais.

Tra le varie organizzazioni di matrice chiaramente terroristica spiccavano ad esempio i Gruppi dei Combattenti Islamici Libici (LIFG), la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio e, appunto, Ansar al-Shariah. Quest’ultima ha come le altre beneficiato dell’assistenza finanziaria e militare degli USA e della NATO, offrendo in cambio i propri servizi all’Occidente.

I rapporti degli americani con le forze fondamentaliste in Libia sono puntualmente rimasti fuori da qualsiasi dibattito pubblico e dall’attenzione dei media ufficiali. La stessa polemica infuriata a Washington attorno all’attacco di Bengasi del settembre 2012 è stata in buona parte orchestrata proprio per nascondere le responsabilità degli Stati Uniti nel promuovere formazioni terroristiche con conseguenze disastrose sia per la Libia che per gli interessi americani.

Gli stessi edifici finiti sotto assedio a Bengasi includevano peraltro, oltre al consolato, una struttura della CIA, dalla quale con il contributo dell’ambasciatore Stevens - inviato in Libia poco dopo l’inizio della “rivolta” anti-Gheddafi proprio per stabilire contatti con i “ribelli” - veniva coordinato il trasferimento di armi e di guerriglieri jihadisti in Siria per combattere il regime di Assad.

In definitiva, in Libia gli Stati Uniti hanno creato e usato forze fondamentaliste finite però ben presto fuori controllo e ritortesi contro i loro stessi sponsor una volta raggiunto l’obiettivo comune della rimozione e dell’assassinio di Gheddafi.

Dopo la morte dell’ambasciatore Stevens, così, gli americani hanno condotto una guerra aperta contro i responsabili dell’assalto al consolato, fino alla cattura qualche giorno fa di Ahmed Abu Khattala.

Sul numero uno di Ansar al-Shariah, gli Stati Uniti hanno potuto mettere le mani però solo in seguito all’ennesima intromissione nelle vicende libiche, appoggiando tacitamente il golpe del generale Hifter, i cui uomini hanno dichiarato guerra alle milizie islamiste e aperto la strada all’intervento delle Forze Speciali USA nella giornata di domenica a Bengasi.

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