di Rosa Ana De Santis

I professionisti della geopolitica, a poche ore dalla tragedia di Charlie, hanno numerosi scenari in cui misurare la loro competenza. Un duello a tratti esaltante e di raffinato sapore accademico sulla miglior lettura del panorama internazionale e di come, di fatto, gli Stati Uniti abbiano lasciato alle porte dell’Europa terre di nessuno, paesi ad alta instabilità, abbandonati in pasto alle bombe e a primavere arabe fallite, che hanno solo aggiornato oppressioni e rivitalizzato il fondamentalismo islamico

Fin troppo evidente che scontiamo la sconfitta solenne della strategia bellica di Bush lasciata in eredità ad Obama. Ma sorprendente che a parte Salvini nessuno impugni con competenza e decenza il tema della religiosità di questo terrorismo per portarlo nell’agone del dibattito in un modo che non sia certamente quello della retorica anti immigrazione. Semplice perfino, ma troppo dimesso nei toni.

Gli attentatori Said e Cherif Kouachi sono francesi a tutti gli effetti. Godono di tutti i diritti di cittadinanza, nonostante peraltro alcune ombre passate. Sono entrambi reduci dalla «Jihad» in Siria e non da Mare Nostrum. Non sono esuli, né rifugiati ma zelanti fedeli. L’urlo di morte “Allah Akbar” non è un urlo qualsiasi. Non è un incitamento di guerra come altri rivolto a nemici, ma un anatema che si scaglia contro degli infedeli. Non importa se siano cittadini, patrioti della stessa Francia, persino fratelli musulmani.

Sono infedeli perché tradiscono l’ideale fanatico della teocrazia, perché come occidentali hanno scelto di secolarizzare, tanto tempo fa,  la loro vita e di restituire lo Stato a Cesare e la Chiesa a Dio. Una divisione che solo nel piccolo Stato Vaticano non è del tutto chiarita. Ma per fortuna lì non si fa catechismo per futuri kamikaze. Questa valutazione non soddisfa i complottisti e i raffinati dottori della geopolitica, eppure recupera un concetto vecchissimo che l’Europa ha vissuto, ha pagato e ha risolto con l’Illuminismo.

I killer, gli sgozzatori dell’Isis, quali che siano le loro sovrane regie, sono formati scientificamente al martirio. Sono istruiti a credere che il miglior sistema di governo sia quello d’ispirazione religiosa. Forse perché la religione è lo strumento più temibile e più semplice per tenere il dominio sul popolo in nome della paura, della repressione e del primo terrorismo che è tutto psicologico. E la mentalizzazione di questo concetto ha confermato con dolore il potere che una mente grande come quella del maestro Marx aveva ben analizzato.

Questo terrorismo di fucilazioni, sgozzamenti, treni e discoteche che saltano, non è solo legato all’economia delle armi, ai territori conquistati, alla resistenza contro gli invasori e i droni americani ed europei. E’ una battaglia di civiltà in grande stile e quanto prima lo comprenderemo, come nel suo editoriale segnala con passione Eugenio Scalfari, quanto meglio sapremo difenderci contro chi dentro il cuore delle nostre democrazie, perfettibili certamente, parziali, zoppicanti ma ben salde nella testa delle persone, si nasconde sotto i panni della cittadinanza europea per condurre una crociata religiosa.

Ne siamo stati esperti come cristiani in un orrendo passato di violenza ed è un fatto, non un dettaglio neutro e trascurabile, se oggi tutto questo ritorna in nome di Allah e non di Gesù.

Cosi mentre Salvini mette il binocolo su Lampedusa per scovare il terrorista, non si accorge che la clandestinità di cui aver paura è quella di cittadini regolarissimi ingaggiati per una battaglia di religione dentro qualche garage delle nostre città. Magari padanissime e leghiste fino a morire.

Non abbiano paura di denunciarlo, come hanno fatto, gli imam. Molti, alcuni. Non abbiano timore di chiudere le moschee e di cacciare i fiancheggiatori di questi barbari del duemila. Perché la fede, anche la loro, sarà salva solo se non sarà sovrapponibile alla religione e al potere temporale. Che lo vogliano o no questa è la lezione che l’Occidente, che su molto altro ha da imparare, può invece dare a tutti.

Le guerre di religione patite nel cuore dell’Europa sono morte sul nascere di una primavera della ragione, molti secoli fa. E i lumi che brillarono allora, sono gli stessi accesi sui colleghi caduti martiri in nome di alcun Allah, ma di valori condivisi da tutti, non importa il credo della fede. Voler portare o no il velo ad esempio. Non essere lapidati per adulterio, solo se donne. Non essere uccisi per apostasia, altro esempio. Non pensare che il martirio sia qualcosa di diverso dal suicidio. E tanto altro ancora per cui basta rievocare la Bastiglia. La libertà, l’eguaglianza e la fraternità.


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